Capitolo 7

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Quella notte le urla di Davina mi tennero sveglia per ore.
"Non capisco".
E' giovedì, e da circa due giorni la mia compagna di stanza ha assunto le sembianze di un disco rotto. "Spero solo che anche oggi venga". Una parte di me continua a pensare che dovrei dirle che lui con me ha parlato per ben due volte, l'altra invece non vuole ingigantire qualcosa che comunque non avrà un seguito. E' stato un caso, continuo a ripetermi. "Non si è capito perchè martedì era qui?"
Sfoglio le pagine di un libro che ho preso in biblioteca ieri, ma non sono affatto concentrata ora. "Figurati se fa trapelare qualcosa quel ragazzo", sbuffa. "E ovviamente tu non hai intenzione di fare il primo passo", dico mordendomi la lingua l'attimo dopo. Perché questa cosa mi infastidisce? Karl non mi piace, è un bel ragazzo. Solo quello. "Sai come la penso", sussurra con tono triste. "Allora non cambierà mai nulla. Tu continuerai ad esserne innamorata e i giovedì continueranno a volar via". "Pensi davvero che debba parlarci?". "Solo se è quello che vuoi", sospiro passandomi le mani sul viso. "Ci penserò", sorride. "Potrebbe andare bene". "Sei una ottimista tu", le dico abbandonando controvoglia il mio letto. E' ora di pranzo e oggi mi sento particolarmente debole. Dopo colazione l'ho fatto due volte. Inizia a farmi schifo, ma non abbastanza da fermarmi. "Sei pallida kendra. Vuoi che ti porti qualcosa in camera?" Preferirei non scoprire se Karl è qui o meno, ma non presentarmi implica ritrovarmi Dan o Anne alle calcagna per tutto il giorno. E non voglio. "No, grazie. Voglio prendere un pò d'aria", mento. A me l'aria manca. "Come vuoi, ma cerca di non svenire", ridacchia e cerco di farlo anch'io. "Certo". Tuttavia non sono sicura di riuscire a mantenere la promessa. Il calore di questa stanza mi abbatte ancora di più. Certo, ho sempre freddo a causa della poca carne che nasconde le mie ossa fragili, ma questo è troppo. Davvero troppo. Aumento il passo riuscendo ad accaparrarmi un posto lontano dagli occhi indiscreti di Karl anche se non è ancora arrivato. Davina mi lancia un'occhiata interrogativa ma le indico Anne e lui subito afferra ciò che intendo. Una bugia. Abbasso la testa sul mio piatto vuoto, nell'attesa che qualcosa arrivi per riempirlo ma è un altro profumo ad attirare la mia e non solo, attenzione. "Salve". Gli occhi di tutte si sgranano. Credo stiano per sentirti male e non per il vassoio di pasta che è appena finito al centro del tavolo. Qualche timido saluto suona in risposta ma lui sembra non farci caso andando a sedersi al fianco di sua madre. Mi impongo di non guardare, credo lui non possa vedermi qui ma io si e dopo pochi secondi cedo. Controllo e lo vedo guardare da ogni parte, fin quando non mi intercetta cogliendomi in flagrante. Di nuovo quel sorriso, così sfacciato, prepotente, sexy. Vorrei affogare nel cibo ora, e lo faccio. Riempio il mio piatto fino all'orlo e inizio a mangiare più di quanto sia necessario. I minuti passano e io non alzo più lo sguardo, fin quando qualcosa di orribile torna a bussare alla mia porta e tutto quello che involontariamente stavo per ricostruire si spezza. Mi alzo e corro. Corro come se da questo dipendesse la mia salvezza. Corro e me ne frego dei richiami alle mie spalle, delle botte che le mie braccia hanno subito sulle scale. Corro e apro la porta della mia stanza che con un calcio richiudo. Il bagno sembra così lontano ma sono abituata. Passo l'orà più brutta di sempre in quei pochi metri, e dopo chissà quanto tempo scoppio in un pianto che mi piega in due. Ho dolori ovunque, e mi sento peggio quando la mano di Anne sfiora la mia schiena curva. Non ho mai provato tanta vergogna in vita mia. Non ho mai odiato me stessa tanto quanto quella sera. Ho chiesto alla signora Anne una camera singola ma non mi è stata concessa. Voglio andarmene e lo farò.

"Che cazzo avete da guardare?" Oggi è il giorno delle visite, il giorno della verità e come la scorsa settimana so già quale sarà l'esito. "Devi stare calma. Smettila di pensare che tutti parlino male di te", bisbiglia Davina. Lei non sa che in questo momento non vorrei parlare neppure con lei. Mi sento uno schifo, mi sento una pessima persona. Per tutto il week end non ho fatto altro che pensare a lui, a cosa lui abbia pensato di me dopo avermi vista ingozzare e correre via come una pazza. Vorrei sotterrarmi. "Abbiamo tutte lo stesso problema, è successo altre volte", cerca di confortarmi e i sensi di colpa aumentano. E' lunedì e io mi ritrovo a contare e maledire le ore che mancano all'arrivo di quel maledetto giorno. "Lo so", mi siedo in attesa del mio turno. Domani chiederò a mio padre di sbattermi in un'altra struttura. Tutto ma non qui. Non ci riesco, non più. Tutto questo può sembrare esagerato, in parte lo è ma non mi sono mai curata tanto di quello che la gente potesse pensare di me, prima che quella gente avesse un nome ben preciso. Non voglio rivederlo e farò in modo che questo non accada. "Ma non devono guardarmi". "Oggi sei più strana del solito", sbuffa. "E più magra", aggiunge con preoccupazione. A volte mi chiedo se siamo qui per lo stesso motivo ma poi mi fremo a pensare. Lei vuole migliorare, vuole guarire e ci sta riuscendo. L'ammiro, davvero, ma non riesco a vedere attraverso i miei occhi la gioia che c'è nei suoi. "Credo di aver preso qualche grammo, invece", dico ma solo per chiudere la conversazione. Ci penserà il dottor Morrison a farmi innervosire. Tiro un sospiro di sollievo quando arriva il suo turno, mi lascia un bacio sulla guancia e corre verso quello studio allegra e con un enorme sorrido stampato in volto. Non credo di aver mai conosciuto una come lei. Una capace di vedere la luce anche all'inferno. Resto in quella sala d'attesa per più di un'ora, tutte entrano prima di me. Alcune sono tranquille, altre piangono. Siamo tutte diverse e odio chi ci etichetta con quella famosa parola che mai e poi mai pronuncerò.Tutte le sedie si svuotano e quando la porta si apre lasciandovi uscire l'ultima ragazza, capisco che il mio turno è arrivato."Rogers", mi alzo camminando piano verso la mia destinazione. Il dottor Morrison è al centro della stanza, ha l'aria stanca, provata. Lavora molto e sicuramente non tutte gli rendono le cose facili. Io sono una di quelle. "Allora, come stai? Ho saputo che in settimana sei stata male". "Meglio", replico prontamente. "Mi fa piacere", sussurra ma non ne è affatto convinto. "Controlliamo". Sospiro preparandomi psicologicamente ai brividi che compariranno sul mio corpo non appena sfilerò i miei vestiti. Il lettino è freddo, scomodo. Ho male alla schiena. "Cinque millimetri", sorride, io sgrano gli occhi. "La circonferenza vita è aumentata di cinque millimetri. Non è molto ma è comunque il tuo primo miglioramento". "Com'è possibile?" Scendo dal lettino e mi precipito sulla bilancia. Lo sento avvicinarsi alle mie spalle. "Anche questo è un piccolo miglioramento, ma dobbiamo lavorare di più e meglio". Sono senza parole, mi viene da piangere. "Non ricordo la tua età", continua mentre i miei occhi sono ancora fissi su quel numero. "Kendra". "Venti", sussurro con un groppo in gola. "Ho vent'anni", chiudo gli occhi ma una lacrima cede al mio controllo. "Hey, Kendra", la sua mano si posa sulla mia spalla. "Devi stari tranquilla, faremo tutto con calma". "P-posso andare?" Mi sposto iniziando a vestirmi. "Possiamo parlare di un piano alimentare nuovo?" Domanda con cautela. Vorrei avere la forza di scappare anche stavolta ma non ci riesco. Annuisco e vado a sedermi sulla prima sedia che intercetto. Morrison sembra soddisfatto ma non sa che le mie intenzioni sono altre.

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