Capitolo 3

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Peggio del previsto.
Sono queste le parole che mi ripeto per tutta la notte, la prima notte in questo posto strano, falsamente accogliente. Avevo immaginato che prima o poi il momento che tutte qui dentro odiano sarebbe arrivato, ma non avevo preventivato alcune cose.
Non avevo previsto tutti quegli occhi sulla nuova arrivata, non avevo previsto la mia reazione. Non avevo previsto nulla. Una piccola luce notturna illumina la stanza, Davina dorme. La invidio. Invidio vedere il suo sorriso per essere riuscita a mangiare un boccone in più, invidio chiunque abbia una scopo da portare a termine. Invidio chi ha ancora la forza di accettare qualcosa che io non mai avuto il coraggio di nominare. Gioco con il piccolo anellino di ferro al mignolo, lo indosso da una vita, ne aveva uno simile anche lui. Mi si blocca il respiro ogni volta e mi rendo conto di quanto tutto questo abbia poco senso. Il giorno uno di trecentosesssantacinque è andato. Male, ma è pur sempre un giorno in meno da dover condividere con chi ancora si illude che un'anima persa possa guarire. La nausea è qualcosa di orribile, eppure col tempo è diventata un'abitudine. Un segno di libertà, di leggerezza che mi permetteva di tornare a respirare dopo ore di agonia pura. Mi alzo, le ginocchia rosse per la posizione scomoda di sempre. Fisso il mio riflesso allo specchio. Mi faccio schifo, lo ammetto ma continuo a provare uno strano senzo di appagamento nel vedere la mia pelle pallida contornata da occhiaia, il mio viso piccolo, lo sguardo vuoto. Merito questo e molto altro per non essere stata con lui in quel momento. Non avrei mai dovuto lasciarlo solo."Hai finito?" Per un attimo, uno soltanto, ho dimenticato di essere qui. "Tutto tuo", sblocco la porta e per poco Davina non mi finisce addosso. "Mh", mi guarda male. "E' vietato chiudersi in bagno a chiave, se ti senti male dobbiamo rompere la sarratura". "In quel caso puoi farti gli affari tuoi", scrollo le spalle. "Sai, a volte preferisco il tuo mutismo", arriccia il naso. E' una brava ragazza, simpatica e in un'altra vita saremmo state amiche. Ora tutto è diverso, non ho tempo per questo. Non ne ho abbastanza. Mi chiudo in me ancora una volta. Mi chiudo in un mondo nel quale nessuno può e deve entrare. Mi chiudo in una bolla troppo fragile ma che cerco di tenere intatta il più a lungo possibile.

"Ciao Kendra". "Perchè?". Domando. Gli imprevisti aumentano, le cose che mio padre mi ha tenuto nascoste pure. "E' una semplice chiacchierata", continuo a guardare quest'uomo nel peggior modo possibile. Non ho bisogno di uno psicologo e non mi metterò di certo a parlare della mia vita privata con un tipo che indossa una gravatta gialla e verde. "Anne mi aveva avvertito", accenna un sorriso. Mi chiedo perchè, qui, tutti abbiano voglia di farlo. "Preferisci fare una passeggiata in giardino, sai questa struttura è enorme. Ti sentiresti più a tuo agio?". "Mi sentirei più a mio agio nella mia stanza". Mi alzo. Credevo che i lettini degli psicologi fossero solo una vecchia leggenda metropolitana.
"Ah, mi fa molto piacere che ti sia già ambientata così bene", mi segue lungo il corridoio. Mi fermo di scatto e lui giusto in tempo. "E' il marito della signora Anne?" Domando. "Si cara", sorride ancora. Vorrei tirargli un pugno ma so che mi farei molto male. "Bene, usi quel lettino per qualche attività più divertente con sua moglie", e me ne vado, lasciandolo solo, sconvolto o forse deluso dalla mia reazione. Una reazione che neppure io riesco a spiegarmi. Ci sono giorni in cui la rabbia mi divora dall'interno, giorni in cui non ho neppure la forza di respirare. Momenti in cui ho la forza di reagire, di farmi odiare, momenti in cui desirerei solo un abbraccio. Uno soltanto. Chiudo gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime, e dopo quasi un intero giorno, vedo il sole. Oggi fa abbastanza caldo da non dover usare una giacca, ma io continuo ad indossare le mie larghe maglie a maniche lunghe pur di nascondere quanto sia piccola, esile, fragile. Odio queste parole, le odio perchè sono le uniche con cui le amiche di mia madre mi hanno descritta nell'ultimo anno. Mi hanno convinto, ora vedo qualcosa che prima non vedevo e per quanto mi renda conto di quello che sto facendo, non mi fermo. Mangio poco, bevo poco, vivo poco, eppure questo mi sembra ancora il male minore. Mi siedo a terra, sull'erba verde, perfettamente curata di questa clinica lussuosa. E' mercoledì, un giorno come tanti, senza un senso. E' mercoledì, un giorno in meno qui, un giorno in più senza te.

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