Capitolo 13

5K 315 29
                                    




La mia nuova stanza è molto piccola, eppure non appena l'ho vista ho subito pensato che questo fosse il mio posto. Aldilà di quello che ho sempre pensato, mi dispiace per quello che è successo con Davina. Non credevo che fra noi potesse nascere una grande amicizia, ma questo solo a causa mia e dei miei mille complessi. Una parte di me vorrebbe ancora darle delle spiegazioni, l'altra pensa che invece, per una volta, devo smettere di angosciarmi più di quanto già non faccia normalmente. E' passato un giorno dall'ultima volta che ho visto Karl. Mi ha salutata con un bacio che lasciava pochi dubbi, eppure ora mi chiedo quando lo rivedrò e se mi riserverà lo stesso trattamento. Non credo gli chiederò spiegazioni in merito, per ora posso solo considerarla una frequentazione un pò strana. So davvero poco di lui, non abbastanza da potermi fidare, eppure dentro di me temo di essere già a quel punto. Con lui mi sento forte, poi va via ed ogni certezza svanisce come neve al sole. Le fragilità tornano e non so fin quando la mia mente riuscirà a mantenere questo ritmo. Fisso il soffitto della mia nuova stanza. Uno dei lati positivi è il letto matrimoniale posto sotto la finestra. Da qui vedo tutto, persino le auto che entrano ed escono dal cancello principale, ed è lì che passo tutto il giorno ad aspettare qualcuno fino a tarda sera. Mi porto le mani alla testa che rischia di scoppiarmi da un momento all'altro. Con una mano afferro il cellulare dal comodino notando che è quasi ora di cena. Ho dormito tutto il giorno, ed oltre ad un forte mal di schiena, alla lista posso aggiungere una terribile nausea dovuta al fatto di non aver mangiato nulla per più di dodici ore di fila. Prima era un'abitudine, qui è diverso. Domani ho una visita con il dottor Morrison per controllare il mio peso, ma sopratutto ho una scelta ancora più importante da prendere. La proposta di Anne non mi garba affatto. Sono consapevole delle mie condizioni. E' come se parlare con Karl, seppur indirettamente, mi avesse messa di fronte la realtà dei fatti. E sarà stata la sua discrezione, il suo aspettare che fossi io a parlargliene, a farmi capire che forse io ho ancora voglia di trovare uno scopo. Alcune cose non possono tornare, altre si. Vorrei pensarla sempre in questo modo, vorrei che in ogni momento della giornata qualcuno me lo ricordasse, ma non è possibile. Lui non è qui e non so quando e se lo rivedrò. Non può esserci sempre. Nessuno può farlo. Stare bene è una scelta che bisogna prendere per se stessi. Appoggiarsi a qualcuno è la cosa più sbagliata che si possa fare in questa vita. Non so perchè ora io stia pensando a queste cose, non lo so davvero. La mia mente è un turbine di cambiamenti continui, non si ferma mai. A volte vorrei lo facesse. A volte vorrei provare la pace e quella serenità di cui non conosco neppure il profumo. Devo andare se non voglio che Anne provi a rompere anche questa porta. Non ho voglia di affrontare gli occhi indiscreti delle altre, qualcosa mi dice che sanno già tutto. Prendo un lungo respiro e lascio il mio letto. Evito di guardarmi allo specchio e tiro dritto fino alle scale che mi condurranno al piano terra di questa enorme struttura. C'è silenzio, troppo ma qui è sempre tutto abbastanza tranquillo tranne che nel giorno delle visite. In quel giorno impazziamo un pò tutti. Vorrei sapere cos'altro cura questo posto. Vorrei sapere tante cose ma non sempre ho il coraggio di chiedere. E' più facile restare in silenzio quando non vuoi che gli altri ti facciano parlare. Sto per scendere l'ultimo gradino quando qualcosa va storto e mi ritrovo schiacciata al suolo. "Che male", gracchio tentando di alzarmi mettendomi a sedere su quel dannato scalino. Un lancinante dolore al braccio bagna il mio viso di lacrime. Fa malissimo, non posso muoverlo. Non è stata una gran caduta ma le mie ossa sono troppo fragili, e forse piango proprio per questo. Sto per tornarmene in camera fregandomene delle conseguenze della mia scelta, quando un paio di scarpe grandi e nere occupano la mia visuale. "Mi aspettavi principessina?" La mi testa si alza di scatto, il suo sorriso scompare all'istante. "Che ti è successo?" Si abbassa sulle ginocchia scrutandomi attentamente. "Sono caduta", mi sto vergognando da morire. Cazzo, ho vent'anni e piango per tutto. "Credo di essermi rotta un braccio", gracchio stringendo gli occhi non appena mi sfiora. "Lo credo anch'io", fa una smorfia poi mi prende in braccio. "Guarda che le gambe mi funzionano".
"Hai sempre da lamentarti", sbuffa poi mi guarda e sorride.  "Non posso lasciarti sola un attimo". "So badare a me stessa, caro Karl", arriccio il naso quando preme il suo contro il mio. "Non ne dubito, Kendra", sussurra continuando a camminare verso la stanza del dottor Morrison. "Ma per una volta fingiamo che tu abbia bisogno di qualcuno", bussa alla porta. "Quel qualcuno saresti tu?" Aspettiamo e io spero che Morrison ci metta molto tempo ad aprire ma la sfiga è da sempre mia amica. "Ragazzi, che succede?". "E' caduta ai miei piedi e si è rotta un braccio". "Coglione", ringhio fra i denti quando mi poggia sul lettino. "Si", si allontana. "Lo ammetti pure", parliamo come se non ci fosse nessun altro qui dentro. "No Kendra, rispondevo alla tua domanda", ammicca. "Ti aspetto fuori". Resto a fissare quella porta per oltre un minuto. E' pazzo, completamente. "Allora, posso vedere questo braccio?" Fra i tre, credo che il dottor Morris sia quello più confuso. "Oh, si.....si certo", balbetto cercando di darmi un contegno. Stringo i denti per tutto il tempo. "Non è rotto, ma dovrai portare una fasciatura per una o due settimane", parla mentre continua a torturare il mio povero braccio. "Ne è sicuro? Fa un male cane". "Ne sono sicuro, Kendra e per quanto riguarda il dolore è normale. Sei debole, la tua resistenza è alquanto bassa".
"Sempre molto gentile lei", borbotto imprecando mentalmente quando inizia a fasciare il mio braccio. "Dico solo la verità", scrolla le spalle. "Finito. Spero di vederti domattina. Abbiamo qualcosa di più importante di cui parlare". "Me lo ricordo", alzo gli occhi al cielo. La parte stronza sta tornando e potrei usare questa cosa a mio vantaggio con Karl per non sembrare una stupida quindicenne in piena crisi ormonale. "Molto bene, allora a domani", si prende beffa di me con il sorriso di chi ha appena vinto una battaglia. "A domani"; quasi ringhio uscendo dalla sua stanza, ma i problemi non sono finiti. Il più grande, bello ed inaspettato è appoggiato con le spalle al muro, con la sua sfacciataggine nascosta sotto una dolcezza che mi confonde. "Ti sbagliavi, non è rotto", sollevo il braccio che ora fa decisamente meno male. "Per una volta sono felice di essermi sbagliato", con una spinta si stacca dal muro avanzando nella mia direzione. "Che stavi facendo prima di svenire di fronte cotanta bellezza?" Incrocia le braccia al petto. "Non ho ancora mangiato, solo per questo non ho ancora vomitato", alzo gli occhi al cielo. "Acida", le sue labbra sorridono. Sono sottili e fastidiosamente perfette. "Tu hai già cenato?" Chiedo calpestandomi i piedi da sola. Ho l'ansia, ma non quel tipo d'ansia. "No, ma credo che tutti siano già andati via". "Oh, mi dispiace. Non eri tenuto ad aspettarmi. Per colpa mia ora hai saltato la cena". "Puoi sempre farti perdonare". "Cosa intendi?" Assottiglio lo sguardo. "Conosco un posto qui vicino dove potremmo andare a mangiare qualcosa", il suo tono è incerto, completamente diverso da quello di pochi istanti fa. Questo mi crea disagio. "Karl, io...scusami, non me la sento". "Tranquilla, non è un problema", si gratta la nuca in difficoltà. Ecco, è questo quello che provoco alle persone. "Non ho molta fame, potremmo...", lo interrompo. "Tu vai, io torno in camera", sussurro a capo chino. Ho davvero creduto che fra noi questo tipo di conversazione non sarebbe mai esistita, ma dovevo aspettarmelo. E' inevitabile."No", afferra la mia mano. "Io sono venuto qui per vederti, che si fotta il cibo". Alzo il mio viso con le dita. E' delicato, attento ad ogni cosa. "Sono venuto qui per stare con te, non importa cosa facciamo". Lo guardo e mi fido ancora. Sembra così facile farlo. "Posso confessarti un segreto?" Mi trema la mano e lui la stringe di più. Annuisce in attesa, poi avvolge un braccio dietro la mia schiena. "Ho un leggero languorino", scoppiamo a ridere entrambi. Ho le lacrime agli occhi ma stavolta per un motivo decisamente diverso. "Allora andiamo?" Mi guarda dolcemente, questo ragazzo ha più potere su di me di quanto sia giusto. "Andiamo", annuisco lasciandomi guidare dalla sua mano che non ha mai mollato la mia. Neppure per un istante. Non so cosa aspettarmi questa volta. Karl ti sorprende, ti spaventa e non ti dà modo di rimurginare su quello che stai per fare. E' un tornado inarrestabile, che ti trascina ovunque lui voglia, ed io gliel'ho concesso troppo facilmente. Ci stiamo allontanando dall'istituto, ed è incredibile come questa cosa mi tranquillizzi. Guidare la notte ha sempre rappresentato per me un segno di libertà. Amavo farlo. Amavo accompagnare tutti i miei amici a casa dopo una serata e poi passare le successive ore con mio fratello a girovagare ovunque. Non avevamo mai una meta precisa, ci bastava stare insieme. Era l'unica cosa che contava davvero per noi.Lo stereo è accesso, mi volto a guardarlo e mi incanto. Il suo profilo è perfetto, l'espressione serena. Sembra felice ora. LCome va?" Sussulto non appena mi guarda cogliendomi in flagrante. "Il braccio intendo?" Si morde le labbra per non ridere, io vorrei sotterrarmi. "Meglio, fa meno male". "Perfetto", mi strizza l'occhio e dopo poco rallenta posteggiando l'auto. "Allora, a destra schifezze a più non posso, a sinistra c'è un ristorante italiano, un tailandese e...". "Schifezze a più non posso", chiudo gli occhi. E' così strano per me desiderare un mega panino pieno di ogni cosa possibile, eppure è così. Ho fame. Sento i suoi occhi bruciarmi addosso, passano dei secodi in cui non dice nulla e posso immaginare cosa stia pensando. "Allora andiamo", apro piano gli occhi trovando il più bello dei sorrisi ad accogliermi. Con Karl è davvero facile affrontare le mie paure. Camminiamo lungo il parciapiede per qualche mentro, poi mi tiene la porta e ci immergiamo in uno dei più famosi fast food di New York. L'odore è familiare ma così lontano. Sembra passata una vita dall'ultima volta che ho messo piede qui dentro. Fa caldo, davvero troppo, ma non sono così forte da togliere la felpa e restare a mezza manica. Non mostro il mio corpo da più di un anno. "Vieni", le sue dita afferrano di nuovo le mie, è come se Karl non volesse mai perdere il contatto e questa cosa mi fa impazzire. Ci sediamo al primo tavolo libero. I menù al centro di questo e ora la paura di aprirli. Karl deve aver compreso quello che mi sta passando per la testa, e spero sia l'unico. Basta davvero poco per ricaderci. Tengo lo sguardo basso, poi le sue mano si allungano verso la mia sedia. Mi attira a se, il nulla fra di noi. "Possiamo andarcene in qualunque momento", poggia la fronte contro la mia costringendomi a guardarlo. "Ma tu sei più forte". Non rispondo perchè non saprei come spiegargli che mi sento l'opposto di quello che dice. Essere forte è qualcosa che non so più fare. "Per me va bene una confezione di patatine senza salse", smetto di guardarlo ancora. Sospira ma non aggiunge altro. Lo lascio parlare con la cameriera che ci prova spudoratamente. E' bellissima, bionda, alta e formosa. Mi chiedo davvero cosa ci faccia questo ragazzo, altrettanto perfetto, ad un tavolo con un'anoressica incasinata. "Porto tutto il prima possibile", cinguetta sculettando fino al bancone delle informazioni. Non posso fare a meno di guardarla e provare schifo per me stessa. "Kendra? Kendra Rogers?" Non è possibile. Sgrano gli occhi, Karl mi guarda con aria interrogativa. "Sei proprio tu?" Alzo il capo sperando di sbagliarmi ma la sfiga continua ad essere dalla mia parte. "Tom", forzo un sorriso quando vorrei solo prendere a pugni questo tipo che continua a ripetere il mio nome. "Non ti vedo da una vita", per educazione dovrei alzarmi ma ho sempre odiato questo ragazzo che per tutto il liceo ha cercato di infilarsi nelle mie mutande. "Come stai?" Sospiro. "Alla grande", non ho mai desiderato che un pasto arrivasse il più velocemente possibile. "Te?" Ci guardiamo per un attimo e il suo sguardo cambia. "Cavolo, ma che ti è successo? Sembri uno scheletro". "E tu sembri un coglione, sparisci", sgrano gli occhi quando Karl si alza. "Bello calmati, è una mia amica. Le stavo solo chiedendo...". "Considera che non me ne frega un cazzo, sparisci", ringhia. Le mani strette a pugno lungo il corpo e la cameriera con le nostre ordinazione che sta per avere un orgasmo solo a guardarlo. Tom va via e io spero vivamente di non rivederlo. "Non volevo interrompere", sussurra accennando un sorriso al primo ragazzo che mi ha difeso per la mia "diversità". "Ecco le vostre ordinazioni", finalmente si accorge di me e avrei preferito non lo facesse. Le sputerei in un occhio per come mi guarda ma sono così stanca da riuscire a fregarmene. "Il conto", ammicca in direzione di Karl. Alzo gli occhi al cielo quando, oltre il conto, noto un altro biglietto. "Qualcuno ha fatto colpo", non lo guardo mentre cerco di frenare l'ondata di gelosia che mi ha colpita come un fiume in piena. "Fantastico", scrollo le spalle e per poco non mi strozzo con la saliva. "Ho rimediato un panino gratis". "Ah...il p-panino", balbetto portando una patatina alle labbra. "Dovresti conoscerli i miei gusti", mormora dando un generoso morso alla sua cena. "Non ti conosco così bene", ed è vero. "Lavori?", continuo a mangiare."Do lezioni di pianoforte ai marmocchi". "Al conservatorio?" Chiedo. Sono fin troppo curiosa di sapere qualcosa in più sul suo conto."Si, ma soprattutto privatamente", non aggiunge altro e dal suo tono credo non voglia parlarne. Questa cosa mi stranisce ma non insisto. "Capito", sussurro posando la confezione vuota per metà sul tavolo. Sono piena. "Chi è quel tipo? Tom, giusto?" Finge disinteresse, ma una parte di me, forse la più stupida ed illusa, crede davvero che lui sia geloso. "Io e Tom abbiamo frequentato lo stesso liceo. Gli piacevo, voleva portarmi a letto", scrollo le spalle in attesa della sua prossima mossa. "E ci è riuscito?" Stavolta mi strozzo sul serio. "No", sgrano gli occhi. "Non avevo dei gusti così orribili, poi avevo anche un ragazzo ai tempi". "Ah si?" Poggia i gomiti sul tavolo , credo non abbia più fame. "Si, Harry", accenno un sorriso che di innocente ha ben poco. Se voglio, so ancora come far impazzire un uomo. "Harry", ripete quel nome come fosse una parolaccia. "Ma ora non esiste più questo Harry, giusto?". "Ho già risposto a questa domanda, pensavo fossi un tipo più attento", presso le labbra fra loro. Questa "cena" si sta rivelando più interessante del solito e mi ritrovo a sgranocchiare le mie patatine fino a finire l'intera confezione. "Principessa, sono molto più attento di quello che tu puoi solo immaginare", si sporge mettendo le mani ai lati del mio corpo. "Ma davvero?" Lo guardo negli occhi. E' una lotta continua fra di noi, e amo profondamente i momenti in cui lui è in grado di far ritornare la vecchia me. Quella spensierata, allegra, piena di vita. Un tempo ero tanto diversa. "Davvero", sussurra, poi quelle mani afferrano la mia maglia. Mi tira a se e mi bacia. Mi bacia come a voler dimostrare qualcosa a qualcuno, poi mi abbraccia, inaspettatamente. Il suo viso nell'incavo del mio collo, il mio nel suo. "Stronzo", rido contro il suo petto quando noto Tom e la famosa cameriera guardarci con gli occhi sgranati. Lo sento ridere e spostare una ciocca di capelli dietro il mio orecchio prima di sussurra una frase mai sentita prima. "Sono attento a te, piccola Kendra".

365Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora