Capitolo 26

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Il giorno dopo è stato tutto molto imbarazzante. Ci siamo svegliati abbracciati, ci siamo guardati, ed io sono solo riuscita a scappar via e chiudermi in bagno. Al mio ritorno, Davina e Dylan erano già svegli. Non c'era tempo per parlare di noi.

"Quindi avete chiarito".
"Mi ha solo raccontato tutta la verità". "E vi siete baciati", puntualizza Davina. "Si, ci siamo baciati, ma questo non vuol dire nulla. Sicuramente ora capisco molti suoi comportamenti e sono meno incazzata, ma...non siamo una coppia. Ecco". "E' solo questione di tempo. Sono sicura che Karl lo voglia. Ti ha detto delle parole importanti".
Forse avrei dovuto omettere qualcosa. Davina avrebbe un gran futuro come regista per i film che è in grado di inventare.
"Karl mi ha sempre riempita di belle parole", sbuffa una risata, "e sappiamo tutti com'è andata a finire".
"Non gli credi?" Spalanca gli occhi.
"Credo alla sua storia, al fatto che molti suoi comportamenti siano dovuti ai suoi genitori, ma non mi fido al cento per cento. Magari questo è il suo ennesimo tentativo di vendicarsi". "Non te ne avrebbe parlato. Tu hai solo paura", sussurra sorridendomi dolcemente.
"Può darsi, ma voglio andarci con i piedi di piombo".
"Fai bene, ma non chiudere la porta dell'amore".
"Sei schifosamente romantica", alzo gli occhi al cielo.
"Oh, ma io lo sono sempre stata, solo che ora....ho un motivo in più per esserlo. Sai....ho detto a Dylan della mia cotta per Karl".
"Davvero?"  Per poco non mi strozzo con il latte. Guardo male tutte quelle che vorrebbero impicciarsi di noi. "Tengo molto a questa relazione, volevo essere sincera".
"E lui?"
"Bhe, credo ci sia rimasto un pò male. Non sembra, ma Dylan è davvero geloso. In ogni caso ha apprezzato la mia sincerità. Sa che, ora, per me esiste solo lui".
"S-si, credo tu abbia fatto bene a parlargliene", sussurro. Non posso negare a me stessa di provare un pizzico di gelosia. E' assurdo, fra Davina e Karl non c'è mai stato nulla, eppure l'idea che lei sia stata innamorata di lui mi infastidisce.
"Non fare quella faccia", scoppia a ridere. "E' acqua passata, e non è mai successo nulla. Lui vuole te fin dalla prima volta che ti ha visto, e non per quel motivo".
"Mh", scrollo le spalle. Forse ha ragione, forse ho solo troppa paura.

"Sei contenta?".
"Queste domande non spetterebbero al dottor Hunt?"
"Non c'è scritto da nessuna parte. Infondo, è anche merito mio se stai migliorando", ridacchia. "Mh, può darsi", scrollo le spalle rivestendomi all'istante. Ho ancora qualche problema a riguardo.
Quattro chili.
Non sono tanti, ma neppure pochi.
Tre mesi fa questo sarebbe stato per me il momento più brutto della mia vita. Non avrei mai accettato alcun miglioramento.
"Kendra, a parte gli scherzi, sono davvero felice per te. Non prenderla a male, ma non ero tanto sicuro che tu decidessi di curarti".
"Neanch'io", sussurro.
Il dottor Morrison ha sempre rappresentato la figura che più temevo di incontrare durante la settimana, in lui vedevo colui che portava brutte notizie, quando poi, è stato quello che mi ha permesso di scegliere e migliorare.
"Ma non pensiamoci più. Sembra che tu stia per voltare pagina. Siamo quasi a metà percorso, e questa parte può essere solo che in discesa".
"N-non ci sono mai state...ricadute?"
"Siamo umani, Kendra. Vivere con la paura non ci aiuterà a non  sbagliare".
"Lei è davvero saggio, potrebbe far concorrenza al dottor Hunt".
"Ah, forse in un'altra vita", sospira. "Comunque dovresti parlare anche con lui. Mi ha detto che da tempo lo ignori".
"Probabilmente non ho bisogno di lui", mi alzo.
"Prima o poi sarà sicuramente così".
"Buona giornata dottor Morrison".
"Anche a te, Kendra".
Non so spiegarlo.
Non so per quale assurdo motivo io sia qui, seduta su questa maledetta sedia a fissare un pianoforte.
Questa stanza ha troppi ricordi, ed è sbagliato essere qui. Assolutamente confusionale.
Resto qui per un'ora, a far nulla, o forse a pensare a quella dannata frase.
Vivere con la paura non ci aiuterà a non sbagliare.
Poi mi alzo di scatto, pronta a tornarmene in stanza e restarci per tutto il giorno.
"Pensavo fossi paralizzata o....bho, qualcosa di simile".
"Da quanto tempo sei lì?"
"Abbastanza da garantirti che con la forza del pensiero non si suona alcun strumento", lo vedo avanzare mentre io sono ancora bloccata al fianco di quel pianoforte.
"Stavo solo pensando a ...a ...".
"A me?"
"Ovviamente no".
"Ovviamente", sbuffa una risata.
"Tu cosa ci fai qui?" Gli chiedo cercando di lottare contro i ricordi della scorsa notte.
"Volevo vederti".
Karl è sempre stato molto diretto, e questo ha sempre giocato a mio sfavore. "Ah...capisco", non so che dire. Mi sento una bambina in questo momento. Una bambina che vorrebbe riempirsi di cioccolato ma sa che potrebbe farle male.
"Sul serio, cosa stavi facendo? Eri abbastanza inquietante".
"Non eri costretto a guardarmi, potevi andartene". "Mi piace guardarti", scrolla le spalle e la distanza fra noi diminuisce ancora. "Hai appena detto che ero inquietante".
"Interpreti le mie parole a modo tuo", pochi centimetri fra noi, e non va affatto bene.
"Ognuno è libero di fare ciò che vuole".
"Vuoi uscire con me stasera?"
"Eh?" Sgrano gli occhi.
"Ti ho appena chiesto un appuntamento".
"Tu sei pazzo", scuoto il pazzo. Scappo, dinanzi a queste cose scappo. Ma lui mi ferma.
"Ci vediamo alle otto".
"Non ho accettato", lo guardo male.
"Io ti aspetto lo stesso", anche lui mi guarda, e sembra serio, troppo serio.

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