Capitolo 9

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Quando sono tornata nella mia stanza, Davina dormiva o almeno questo è quello che mi ha fatto credere. Di quella sera ricordo le gambe molli, il cuore a mille e la testa leggera. Il giorno dopo non le ho raccontato nulla e lei, ha finto di non voler sapere. Fuori è una splendida giornata di sole, le temperature sono sempre più alte e io sono costretta a mangiare una zuppa che mi fa schifo a prescindere.
"Qualche problema Kendra?" Anne mi guarda da quando sono entrata in questa stanza e mi sono seduta attorno a questo tavolo. "Non mi piace molto", ammetto un pò imbarazzata. E' davvero difficile che io parli di cibo. Qualcosa sta cambiando e ogni giorno cerco di non farlo accadere. "Oh, ti faccio portare qualche altra cosa", si alza scomperendo in cucina. Avrei dovuto frenare me e la mia linguaccia ma è corsa via come un razzo. "La solita raccomandata", alzo lo sguardo e subito intercetto la tipa che ha parlato. "Hai detto qualcosa?" Non mi sono mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno e non inizierò di certo qui. "Si, l'abbiamo capito tutte che tu sei la favorita qui", si alza battendo i pugni sul tavolo. Ovviamente mi alzo anch'io, mentre Davina cerca inutilmente di farmi risedere. "Oh davvero? Pensavo che queste cazzate si sentissero solo alle elementari. Fammi un fischio quando raggiungi il mio livello". Tutte mi guardano mentre questa tipa di cui non conosco neppure il nome, rischia di esplodere per quanto è rossa. "Sei solo una puttanella. E' chiaro che ti scopi il figlio dei proprietari". La vista mi si appanna e prima che possa anche solo pensare a quello che sto facendo, mi ritrovo a cavalcioni su questa sfigata a tirare pugni ovunque."Ragazze, oddio Kendra", mi bruciano le mani e la guancia. Questa stronza mi ha colpito ma non posso ricambiare il favore che mi sento sollevare di peso e trascinare in un'altra stanza. "Kendra". Anne mi guarda. Ha gli occhi rossi, delusi, stanchi. "Nella nostra clinica non è mai successa una cosa simile". "Mi ha offesa", sbotto. "Cosa avrei dovuto fare?" Mi passo le mani fra i capelli, vorrei strapparmeli. "Andiamo da Dan", sospira. "Non ho bisogno di un cazzo di psicologo". Non mi muovo, non la seguo. Sono stanca di seguire ordini su ordini. "Ed io invece credo di si", è la prima volta che Anne urla. Sembra sull'orlo di una crisi. "Ti rendi conto di quello che stai facendo?".
"Le ho dato qualche pugno, sopravviverà", sbuffo. "Non parlo solo di questo", abbassa il capo. "Vedi Kendra, faccio questo lavoro da una vita ma ogni volta che fallisco, il dolore è sempre più forte. Non ci si abitua mai". "Ma di cosa sta parlando?". "Del tuo peso Kendra, della tua salute, delle analisi che hai fatto due settimane fa. Stai morendo sotto i miei occhi e non te ne rendi conto". Un medico non piange per i suoi pazienti, eppure è quello che Anne sta facendo in questo momento. "Mangi pochissimo, sei l'unica che non è riuscita a prendere neppure un chilo". "Non mi paragoni alle altre", stringo i denti, ed è come se la mia testa non avesse recepito tutto il resto. "Siete tutte come delle figlie per me. Questa clinica è la mia vita, il mio riscatto. Vorrei che tutti voi usciste di qui con le vostre gambe fra un anno". "Lei è poco professionale signora Anne. Non ci si affeziona ai proprio pazienti". Mi sento vuota, priva di qualunque emozione, priva di qualunque motivazione. "Non si può pesare trentacinque chili a vent'anni, Kendra", urla alle mie spalle. La sento sempre più vicina. Ho le nocche sporche di sangue quando afferra le mie mani. "Lascia che ti aiuti". I suoi occhi mi implorano. "Non può salvare chi non vuole essere salvato, Anne. Domani andrò via". "Datti almeno una possibilità", neppure mia madre mi ha mai parlato in questo modo. Non mi ha mai guardata così. "Dove posso firmare per essere dimessa da qui". "Questa non è una gabbia Kendra. Vuoi uscire? Puoi farlo, ma torna. Un giorno andrà tutto bene".
"C'è un problema di base signora Anne, e questo non può risolverlo nessuno", non mi spingo oltre ma credo abbia capito. Ho voglia di correre via, di dimenticare gli unici occhi che mi hanno fatta sentire importante qui dentro.
Calpesto le foglie lungo il sentiero che mi ha condotta in questo posto per la prima volta. Il cancello automatico si apre subito come se quella donna volesse dirmi qualcosa. Continuo a camminare fino all'uscita, quando una macchina nera rallenta al mio fianco. "Hey ragazza misteriosa, dove te ne vai di bello?" Non alzo lo sguardo, ignoro quello che sento ogni volta che lo vedo. Sento una porta essere aperta e subito dopo chiusa. Delle mani afferrarmi dai fianchi. "Kendra". I miei piedi si piantano al suono ma non riesco a parlare. Una sua mano raggiunge la mia ricoperta di sangue. "Che diavolo è successo?" Il tono di Karl mi riscuote dalla mia trans. Afferra il mio viso, i suoi occhi si sgranano sul livido che lo dipinge. "Chi ti ha fatto del male?" Sembra arrabbiato e io non capisco il perchè. "Cazzo Kendra, parla. E' stato qualche ragazzo dell'altro gruppo?".
"C-cosa? No, nessun ragazzo", scuoto il capo. Sto sudando, fa davvero caldo ora. "E allora che cazzo è successo?" Non l'ho mai sentito imprecare prima d'ora. Mi ha sempre dato l'idea del classico ragazzo di buona famiglia, solo un pò più furbo del normale. Credo che Karl sia tante cose, molto diverso da come si mostra. "Ho iniziato io", le sua mani reggono ancora il mio viso. Le sue dita accarezzano le mie guance. E' così sbagliato. "Una ragazza mi ha offesa e le ho tirato un pugno". Alzo le mie mani ma lui continua a guardare i miei occhi. "In che senso ti ha offesa?" La sua fronte si aggrotta. Karl è davvero bello. "Mi ha dato della raccomandata perchè tua madre voleva sostituire la mia zuppa con qualcos altro e poi ha detto che...", mi fermo rossa in viso, "anche altre cazzate". "Tipo?"
"Mh, non me le ricordo neppure", distolgo lo sguardo. "Mh, non ti credo ma ok. Dov'è che stavi andando?" Inclina il capo. E' troppo vicino, devo allontanarlo."Via", lo faccio e le sue braccia ricadono lungo i fianchi. "Questo posto non fa per me", scrollo le spalle. "Ah, capisco. Quindi sei venuta qui senza una valigia o qualcosa del genere", osserva con fare compiaciuto. Non lo sopporto. "Passerò a prenderla poi. E comunque non sono affari tuoi. Ciao", gli do le spalle e riprendo a camminare. "Oh finalmente. Mi chiedevo dove fosse finita la vera te". "Io sono sempre vera", cammino e sento di nuovo il rumore di uno sportello sbattere. Credo stia per entrare in clinica e per poco non mi metto ad urlare quando me lo ritrovo ad un millimetro da me. "Verresti in un posto con me, Kendra?". "Dio mio", urlo portandomi una mano al petto. "Morire d'infarto sarebbe davvero ridicolo per me", lo guardo male e lui ricambia. "Togliamo questo verbo dal tuo vocabolario per oggi. Sali". "Non darmi ordini, Karl". Ringhio.
"Il mio nome sembra quasi bello ora", ammicca e per quanto cerchi di restar seria scoppio a ridere. "Sei proprio furbo", scuoto il capo mentre apro la portiera e mi siedo al suo fianco. Sento i suoi occhi su di me. "La cintura Rocky. Non vorrei ti facessi del male". "Pensa a te, Karl. Non vorrei fartene neanch'io". "Premurosa", sussurra prima di riportare lo sguardo sulla strada. La radio è spenta e questo silenzio inizia a mettermi a disagio. "Dove stiamo andando?" Mi muovo sul sediolino. "Dove nessuno ci giudica". "Magari dove non giudicano te, non è lo stesso posto dove non giudicherebbero me". "Le cose sono più semplici di come pensi, Kendra", per un attimo mi guarda. "Basta guardarle nel modo giusto". "Ti prego, caccia tuo padre da questa conversazione", alzo gli occhi al cielo. Un attimo, uno soltanto e scoppia a ridere come forse non ho mai sentito fare a nessun altro. "Sei pessima".
"Ti faccio divertire, non sono così male", arriccio il naso quando me lo stringe fra le dita. "E sta fermo". "Dovresti disinfettare le tue mani". "Lo farò dopo. Non ho nulla con me ora".
"Dove stiamo andando ora non serve nulla. Ci penserà lui a guarire le tue ferite", sorride guardando il sole.
"E' inquietante quello che hai appena detto, lo sai vero?" Tutto quello che ho provato mentre lasciavo quella clinica è scomparso. Sento sensazioni nuove, estranee e che non saprei definire affatto. Non sono inesperta con i ragazzi, ne ho avuto qualcuno, eppure con Karl, spesso, troppo spesso, mi sento un'imbranata. Una bambina alle prime armi. "Non sei una che si spaventa facilmente". La strada sempre infinita. "Almeno una cosa di me l'hai capita", sospiro cercando di rilassarmi sul sediolino. "Hai ragione, è davvero difficile capire cosa ti passa per la testa. Ma non impossibile". "Al tuo posto non ne sarei così sicuro", sussurro guardando oltre il finestrino.
"Mi sottovaluti, Kendra". Gli sento dire ma non rispondo più. Ora la paura sta tornando e per una volta, forse, non lo voglio. Una distesa di rocce ai miei piedi, sabbia e un pò di vento fra i miei capelli.
Mi ha portata al mare.
Siamo entrambi silenziosi, forse per lo stesso motivo, forse per mille motivi diversi. Vorrei avvisare questo ragazzo che la mia vicinanza fa questo effetto, che rovina l'umore ma a lui sembra non importare. Ci fermiamo a pochi passi dal bagno asciuga ed è lui a fare il primo passo.
"Qui ti senti giudicata?" Non mi aspettavo una domanda simile. Non credevo facesse sul serio. "Sei più strano di me, credimi", cammino verso il mare e mi bagno le mani". Brucia come l'inferno ma aveva ragione, qui non ho bisogno di nulla per curare le mie ferite. "E tu continui a non rispondere alle mie domande". "Mi piace il mare, se è questo quello che vuoi sapere. Hai fatto bene a portarmi qui", continuo a dargli le spalle mentre passo l'acqua anche sul viso. "Posso considerarla una risposta accettabile", mi affianca. "E comunque, semmai ti importasse, io qui non mi sento giudicato". "E come ti giudicano gli altri?" Osservo il suo profilo, devo tenere la testa alta per poterlo guardare bene. "Uno a cui la vita ha regalato tutto". Abbassa lo sguardo su di me. "E a te?". "E' un pensiero superficiale. Dovresti semplicemente ignorarli". "Non ti sopporto quando fai così", sbuffa alzando gli occhi al cielo. "Lo so", accenno un sorriso, uno di quelli che farebbero perdere la pazienza a chiunque. Con Karl hanno l'effetto opposto. "Domande generali?" Tenta. "Se ti rifiuti, ti affogo", indica il mare. "Prima posso fartene una io?".
"Poi sarà il mio turno?" Si volta con tutto il corpo nella mia direzione. Sembra davvero curioso. Annuisco e lui mi fa cenno di parlare. "Ma chi te lo fa fare?" Ridacchio. "Sono insopportabile e credo che una parte di te lo pensi. Il mondo è pieno di belle ragazze da conoscere dentro ma sopratutto fuori da quel posto. Non diventerò la tua amica di follie". Dico tutto d'un fiato e solo quando finisco noto i suoi occhi fissi su di me. "Non sai cosa pensa l'altra parte di me", la voce non è mai stata così bella, roca e seducente. Mi sento imbilico, sul punto di cadere. Mi tremano le gambe. "Mettiti comoda", si siede sulla sabbia. "Hai un pò di domande a cui rispondere". "Mh, vai con la prima", porto le gambe al petto cercando di controllare l'ansia. Risponderò solo a quello che voglio, mi ripeto. "Quanti anni hai e da dove vieni?".
"Oddio Karl, sembra una chat porno", scoppio a ridere. "Sei una scema", scuote il capo. "Ma ti affogo sul serio se non rispondi". "Va bene, va bene", alzo le mani in segno di resa. "Allora, ho vent'anni e sono nata e cresciuta a New York, tu?".
"Non ci provare", mi punta un dito contro. "E comunque sembri più piccola".
"E' un modo per dirmi che sei minorenne?" Sgrano gli occhi. "Dio, te li porteresti malissimo".
"E il tuo è un modo per sapere la mia età?" Assottiglia lo sguardo. "Sono più bravo di te in questo, e stai tranquilla Kendra, sono persino più grande di te".
"Menomale", sussurro mordendomi le labbra. Sto bene e non vorrei dirlo, ne pensarlo. "Cosa facevi prima di finire lì?".
"Sarei dovuta diventare l'insegnate di tango per i bambini nella stessa scuola dove ho studiato io", le parole escono piano dalle mie labbra ma riesco a dirle. Stranamente è così. "E perchè non lo hai più fatto?" Fisso le mie scarpe. Guardare Karl renderebbe il tutto ancor più difficile. "Dicono che non sono un buon esempio in queste condizioni ma, in ogni caso, non credo che sarei riuscita a rimettere piede in quel posto da sola". "Da sola? In che senso?". "Lascia perdere", mi irrigidisco. "Ok, tasto dolente ma devi rispondere a quest'altra domanda". "Sentiamo", rilascio un lungo respiro. "E giocatela bene perchè è l'ultima".
"Oh, tranquilla", sorride. "Probabilmente è l'unica risposta che mi interessa davvero. Potevi avere anche trent'anni. Non sarebbe cambiato nulla".
"Ora sono curiosa. Spara", lo guardo con aria minacciosa, cosa che lo diverte.
"Sei di qualcuno, Kendra?".

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