Capitolo 8

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La prima volta che mi sono ritrovata in ginocchio davanti un wc, non mi sono resa conto di quello che effettivamente stavo facendo. Pensavo fosse solo un momento, qualcosa che non sarebbe mai accaduto nuovamente. Poi le volte aumentarono e fermarsi era sempre più difficile.

Ho appena visto mio padre, c'era anche mia madre. Non pensavo potesse andare così male. L'incontro con Karl mi ha destabilizzata parecchio ma sono riuscita ugualmente a chiedere ai miei genitori di potermene andare da questo posto. Non hanno accettato e per la prima volta mi sono sentita davvero in gabbia. Cerco sempre di non piangere o comunque di controllarmi in pubblico. Tuttavia ci sono volte in cui farlo è come respirare. Puoi trattenerti, ma non a lungo. Ho lasciato la sala colloqui con il viso umido, le mani ridotte uno schifo. Vorrei smetterla di riversare su di me tutto questo dolore ma non riesco a fermarmi. Vorrei chiudere gli occhi e dormire a lungo, molto a lungo. Ho freddo ma non chiudo l'acqua gelida che batte sul mio corpo rannicchiato in un angolo della doccia. Piango ancora, singhiozzo come un neonato appena nato e mi chiudo ancor di più su me stessa, quando sento la porta del bagno aprirsi. Una mano che so già a chi appartiene mi passa un asciugamano bianca. Tremo tutta e per poco non cado quando tento di alzarmi. "Con me puoi parlarne", gli occhi di Davina sono così belli, puri e sinceri che mi sento ancora peggio. Tiro su col naso e mi convinco che forse con lei dovrei parlare di tante cose. "Sono u-una persona orribile", balbetto e non riesco neppure a guardarla. "Non dire così, vedrai che tutto si può risolvere. Dimmi cos'è successo?". "Vorrei andarmene, ma i miei non vogliono". "Kendra, sei maggiorenne. Potresti firmare e andartene, lo sai questo?". "Si, ma una parte di me non vuole deludere una persona. Cioè, non me ne frega nulla della mia salute e ho ferito questa persona tantissime volte. Dio, credo di essere pazza. Mi basterebbe anche solo cambiare clinica al momento". "Per quale motivo?" Si acciglia. "Credi che da qualche altra parte non cerchino di farti prendere peso o di mangiare?". "No, non è per questo", deglutisco. "So che il mio discorso non ha molto senso, credimi, nulla ha senso nella mia testa in questo momento. Vorrei solo fare la cosa giusta". "Vuoi dirmi il reale problema, Kendra?" Alza gli occhi al cielo e io so che fra pochi secondi ferirò una persona che non lo merita. "Ti ho mentito", sussurro con un fil di voce. "Sono in grado solo di ferire le persone", la guardo mentre lo dico. E' una cosa che sono riuscita ad accettare di me. Non c'è nulla di più vero. "Distruggo tutto quello che incontro e per quanto quello che sto per dirti possa sembrarti anche un pò ridicolo e totalmente insensato, sappi che mi dispiace. Posso parlargli di te, posso provare a capire se lui è interessato a te. Davvero, lo farei prima di andare via da questo posto e creare altri casini". "Ok", scoppia a ridere. "Questa è la frase più lunga che tu abbia mai detto, ma andiamo per gradi. Non ho capito nulla". "Ho parlato con Karl", tutto d'un fiato. "In realtà lui mi ha rivolta la parola per più di una volta". E' immobile e non emette un suono. "Puoi dire qualcosa per favore?". "Ah, quindi voi..". "Cosa? No, assolutamente no. Non è successo nulla. La prima volta mi ha rivolto la parola perchè ero seduta sulla sua amaca". "La sua amaca", ripete piano, come se lo stesse metabolizzando. "Si, ma sono andata via subito. Ed anche la seconda volta. Pioveva e lui mi ha seguita ma non gli ho dato confidenza. So che ne sei innamorata e poi, non sono...interessata. Insomma, non ti farei mai una cosa del genere". "Ti ha seguita", la sua voce è appena udibile. "E' stato solo un caso. Non potrei mai piacergli, insomma guardami?". "Ti vedo, Kendra", i suoi bellissimi occhi sono tristi. "Lui non ha mai rivolto la parola a nessuna di noi neppure per sbaglio". "Questo non vuol dire nulla, magari gli faccio pena". "Ma cosa dici?" Ridacchia ma non è affatto divertita da questo. "Magari gli piaci davvero", aggiunge distogliendo lo sguardo. "Credimi, non è così e lui non mi interessa". "Non devi sentirti limitata. E' vero, ho preso una bella sbandata per lui ma tu non devi sentirti in obbligo verso di me". "Non mi sento in obbligo, ti rispetto. Tutto qua", lo penso davvero, eppure una parte di me non è totalmente convinta di quello che ho detto. "Beh, grazie", i suoi lineamenti si rilassano. "Per me è importante", le si tingono le guance di rosa. "Magari vuole solo essere tuo amico, sei simpatica". "Simpatica non proprio, ma credo che sia la spiegazione più logica. Sono sicura che per come l'ho trattato l'ultima volta non mi rivolgerà più la parola". Una parte di me lo spera, l'altra assolutamente no. "Sei la solita esagerata. Non sei così male come amica. Chiunque sarebbe caduta ai suoi piedi e al diavolo la cotta di Davina. Tu sei diversa", mi sorride e stavolta per davvero. "S-si, io...non parliamone più. E' una cosa insignificante". mi allontano alla ricerca di qualcosa d'asciutto da mettere. "Se fosse successo a me sarei già svenuta. Altro che insignificante". "Credo sia normale", mi pianto davanti lo specchio fingendo di provare interesse per la mia chioma mal ridotta. "Domani sera ci sarà un film giù in salone, verrai?". "Solo se horror", la guardo attraverso lo specchio e lei ricambia. "Sei davvero strana Kendra, davvero strana", scuote il capo prima di lasciami sola ma non del tutto. I miei demoni non mi lasciano mai.
Le ore del pomeriggio passano in un battito di ciglia. Mi sento meglio, svuotata da un peso al quale ho dato fin troppa importanza. Più passano i mesi e più mi rendo conto di quanto la percezione della realtà per me sia altamente distorta. Non sono abituata al contatto umano, non sono abituata ad avere qualcuno a cui ancora importa di me.

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