1854.
I due stavano trotterellando allegramente verso casa, un pomeriggio a caccia di serpenti lungo il Carson River, tra i suoi cespugli bassi e le rive sabbiose, e poi una bella rinfrescata alla pompa in centro davanti all'emporio. I capelli zuppi d'acqua e un sorriso soddisfatto sulla faccia testimoniavano la spensieratezza di una gioventù scanzonata e senza preoccupazioni.
In quell'angolo sperduto di mondo, tra la polvere sollevata dal terreno secco e grigio, la scarsa vegetazione e le montagne a fare da sfondo in lontananza, erano felici. Liberi di muoversi come preferivano sotto il sole cocente del deserto, lontani dalle convenzioni della città cui erano stati abituati da piccoli.
«Chissà se la mamma lo verrà a sapere che ce ne siamo andati via prima da scuola...» chiese Robert senza sembrare davvero preoccupato per quella bravata: in fondo era stata un'idea di Jonathan, e lui era sempre sicuro di quello che faceva. Era il più grande!
I due erano inseparabili e formavano in quel periodo una strana coppia: uno aveva quasi quattordici anni e stava crescendo in fretta, scuro di occhi e di capelli, superava ormai la madre in altezza e forse anche per questo non gli incuteva più paura quando minacciava di picchiarlo con la scopa; l'altro, di appena un anno più giovane, pareva al confronto ancora un bambino, piccolo di statura e magrolino, biondo con grandi occhi verdi sempre puntati in direzione del fratello maggiore.
«Non ti preoccupare. Se anche il maestro spiffera, ci penso io a inventare una scusa e... fermo un attimo.» Jonathan lo bloccò con un braccio, scrutando qualcosa davanti a sé.
Robert volse lo sguardo in direzione della casa, una semplice abitazione di legno a due piani, e lo vide: c'era uno stallone legato alla palizzata che brucava tranquillamente la poca erba gialla.
«Quello è il cavallo di nostro padre!» esclamò terrorizzato.
«Già. Cosa ci fa qui?» chiese pensieroso il maggiore, ma dentro di sé aveva intuito che c'erano guai in arrivo. «Ascoltami, dev'essere per l'altro giorno: ricordi quando ho litigato con nostra madre? Poi l'ho vista che era intenta a scrivere qualcosa, magari era una lettera per nostro padre.»
Robert impallidì. Temeva il padre e se era arrivato all'improvviso per qualche marachella che aveva combinato suo fratello non era una buona notizia, anche perché lui stesso non si sentiva innocente.
«Togliti quell'espressione da bambino terrorizzato dalla faccia, per favore. Cerca di essere un po' più uomo e sistemati quei vestiti!» lo redarguì Jonathan, ficcando a sua volta la camicia nei pantaloni e ravviandosi i capelli bagnati.
In quel momento l'uomo uscì dalla porta e rimase a fissarli appoggiato allo stipite. Poteva sembrare una posizione rilassata, solo chi lo conosceva avrebbe intuito che li stava studiando e che non era affatto tranquillo.
Robert restò immobile senza riuscire a spiccicare parola, avrebbe voluto salutarlo, apparire naturale, ma il respiro gli era morto in gola e gli occhi sbarrati tradivano la sua paura. Jonathan invece rimase apparentemente indifferente. Controllando le sue emozioni, guardò in faccia il padre con un piglio sicuro che poteva essere mal interpretato come una sfida. Quell'atteggiamento spiacque all'uomo e un guizzo di collera gli balenò per un secondo negli occhi prima che il suo sguardo tornasse freddo e duro. Forse fu proprio quella sua espressione sfacciata a far precipitare la situazione, o forse suo padre li stava aspettando con quell'intenzione, Jonathan si ritenne comunque responsabile a lungo per l'epilogo di quel pomeriggio.
«Noi tre dobbiamo fare un discorsetto, adesso» li apostrofò.
Chiuse la porta alle sue spalle senza fretta; portava ancora i calzoni dell'esercito, con la striscia gialla, infilati negli stivali.
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Polvere alla polvere
Historical FictionUtah 1854. Due fratelli decidono di lasciare la sicurezza della casa materna per seguire il padre, capitano dell'esercito. Giovani e scanzonati, alle prese con mille difficoltà per adattarsi alla vita militare mentre inseguono i loro sogni e cercano...