8- Una lunga giornata

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Aveva seguito suo padre a testa bassa. Quella mattina si era accorto che la mano era bluastra a causa del pugno che aveva tirato al giovane e gli faceva male. Il capitano gli aveva lanciato uno sguardo acuminato, mentre lui era intento ad aprire e chiudere faticosamente le dita e si era sentito di nuovo colpevole. Quell'uomo lo faceva sentire colpevole. Si era cacciato le mani in tasca con vergogna e aveva finto indifferenza.

Il signor Werner era un omone dall'aspetto severo. Con la lunga barba scura e i piccoli occhi penetranti pareva un tizio davvero pericoloso e le sue grandi mani piene di calli sembravano forti e pronte a strozzarlo. Jonathan rabbrividì e per un attimo fu contento che fosse il padre a parlare al posto suo e che la sera prima non fosse stato quel bestione a intervenire in difesa del figlio.

«Buongiorno, capitano» pronunciò brevemente, fermandosi sulla soglia.

«Buongiorno. Come sta vostro figlio?»

Il gigante si limitò a scrollare le spalle, mentre dietro di lui compariva la moglie con uno straccio. Il capitano guidò la mano al cappello con un accenno di inchino.

«Vi ho portato mio figlio, desidera porgervi delle scuse per il suo comportamento» disse volgendo lo sguardo sul ragazzo.

Jonathan, imbarazzato, fece un passo avanti e guardò la coppia che se ne stava zitta senza incoraggiarlo.

«Signori, mi dispiace per ieri sera» balbettò e, vedendo che il padre lo fissava, capì che gli toccava arrendersi e tentare di essere più convincente.

«Non avrei dovuto colpire vostro figlio... ho perso la testa e mi vergogno per aver anche messo in imbarazzo la mia famiglia. Vi chiedo scusa» disse in un soffio, sentendo che avrebbe preferito sprofondare sotto terra che ripetere quelle parole.

Suo padre lo prese per una spalla e lo obbligò ad avanzare di un passo.

«Vi chiedo scusa anch'io a nome della famiglia Becker: non siamo soliti permettere comportamenti così squallidi, per questo vorrei chiedervi la cortesia di concedere a mio figlio l'opportunità di fare ammenda. Credo che nella vostra fattoria un paio di braccia in più facciano sempre comodo, pertanto oggi il ragazzo sarà al vostro servizio: dategli da fare quello che volete. È un buon lavoratore e sarà contento di riparare alla sua colpa.»

Con queste parole lo spinse avanti di un altro passo. Jonathan avrebbe voluto fuggire: lo sguardo della signora si era addolcito a tali parole, ma l'uomo era rimasto impassibile, anzi gli era sembrato quasi che sogghignasse.

«Buona idea, capitano. Si vede che lei ci sa fare con gli insubordinati. Mi piace... Paul!» chiamò con decisione.

Il giovane comparve poco dopo. Vedendo il ragazzo con il capitano sorrise di soddisfazione e sarebbe scoppiato a ridere se suo padre non avesse parlato prima, lasciandolo di stucco.

«Paul, tu e il ragazzo qui oggi avete da fare: cominciate con l'andare a pulire per bene la stalla, poi c'è lo steccato da riparare.»

Jonathan lo fissò spaventato: cosa significava? Doveva stare tutto il giorno di fianco a quel tipo? Vedendo la sua mascella bluastra, aveva sentito la mano ricominciare a pulsare dolorosamente. Appena suo padre se ne fosse andato, temeva che l'avrebbe riempito di botte e stavolta non avrebbe avuto il fattore sorpresa dalla sua: era grosso il doppio di lui, l'avrebbe ammazzato!

Paul fece per protestare, ma l'uomo lo bloccò con un gesto imperioso della mano.

«Taci! Il capitano, qui» disse indicando con un cenno del capo l'uomo, «ha portato suo figlio a scusarsi e lavorare per noi, ma sono sicuro che ieri sera non fosse l'unico in torto. L'altro ragazzo sanguinava e non credo si sia rotto il naso da solo...»

Polvere alla polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora