10- L'intrusa

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1858.

Eccola lì, quella piccola peste, che disponeva le sue cose nella nuova stanza preparata per loro. Jonathan la spiava dalla porta, pieno di rancore. Perché mai era venuta a vivere con loro? E perché toccava a lui e suo fratello prendersene cura?

Aveva appena discusso di ciò con il padre: aveva diciassette anni ormai e fra poco si sarebbe arruolato nell'esercito o sarebbe andato in accademia. Non voleva fare da balia alla ragazzina; non gli importava che fosse sua sorella; non la conosceva quasi per niente e non aveva intenzione di riprendere i contatti con i vecchi pezzi della sua vita, quando ancora vivevano con la madre. Dopo quattro anni passati con l'esercito pensava di aver tagliato i ponti con la parte femminile della famiglia. Giusto qualche visita di cortesia ogni tanto, niente più, per il resto loro non esistevano.

Eppure quella mocciosa li aveva seguiti fin lì. Erano tornati a casa per una semplice licenza e si erano ritrovati costretti a portarsela dietro: mai avrebbe creduto che la loro esistenza potesse venire sconvolta così di netto. 

Non sapeva di preciso che avesse combinato quella peste per meritarsi una cosa simile: un attimo prima erano a tavola tutti insieme, poi la madre se ne era uscita con la notizia che sarebbe tornata a Boston ad accudire la nonna malata e da lì era scoppiata la discussione su dove piazzare quella ragazzina. A quanto sembrava non se la voleva portare dietro per punirla di qualcosa... effettivamente i suoi genitori gli erano sembrati un po' tesi prima di pranzo, ma addirittura sbraitare di mandarla in un collegio gestito da suore! Non se l'aspettava da sua madre... quella disgraziata doveva averla combinata grossa! Poi il padre si era opposto facendo valere la sua autorità di capo famiglia. Perché mai? Cosa gliene importava della ragazzina? A quel punto lui e Robert avevano abbandonato la tavola per lasciarli discutere in pace, mai più avrebbe pensato di ritrovarsi la sorella tra i piedi.

E avrebbe pure dovuto occuparsene... 

Non ne aveva la minima intenzione: al diavolo le minacce del padre. L'avrebbe spinta a scappare a gambe levate, le avrebbe fatto desiderare di andarsene spontaneamente in quel collegio e se la sarebbe levata di torno.

La ragazzina sembrava sul punto di piangere, mentre tirava fuori i vestiti dal piccolo baule con cui era arrivata e Robert le dava una mano. Cosa passava per la testa del fratello? Perché non la lasciava nel suo brodo invece che aiutarla e tentare di coinvolgerla in una qualche conversazione?

Si capiva che era viziata: avvolta nel suo bel vestitino aveva appena guardato con orrore il fratello che la invitava a indossare qualcosa di più semplice e comodo. Come aveva potuto pensare il padre di portarla con sé al forte? Non c'entrava per nulla con quell'ambiente: era una creatura di sua madre, molle e melensa come quella donna. Non riusciva proprio a trovarla simpatica.

«C'era da immaginarselo che nostra sorella fosse una creatura schizzinosa... abituata a vivere con nostra madre» si lasciò sfuggire, stizzito. 

La ragazzina lo guardò impietrita, sconvolta dallo sprezzo con cui le aveva rivolto la prima parola da quando era arrivata, e non rispose. Robert giunse inaspettatamente in suo aiuto e lo affrontò.

«Non essere scortese con lei!»

I due si fissarono per qualche secondo in silenzio e Jonathan sentì che stava per perdere le staffe: avrebbe potuto mettergli le mani addosso, così, giusto per sfogare un po' di risentimento, ma preferì andarsene, indispettito. Che cosa stava combinando suo fratello? Perché interveniva a difendere quell'intrusa? Loro due erano inseparabili, non avrebbero dovuto litigare per quella.

Si arrampicò furioso su un ballatoio e si mise a scrutare il paesaggio, cercando di calmare l'istinto omicida che l'avrebbe spinto a sbattere la ragazzina fuori dalla stanza e dare una lezione al fratello per essersi intromesso.

Polvere alla polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora