60- Mesi invernali

182 34 29
                                    


Era da giorni che osservava i suoi uomini, la loro trascuratezza, la noia, l'indolenza che aleggiava sul campo. Passare l'inverno in quel modo era a dir poco deprimente.

I soldati erano infreddoliti e stanchi. Senza nulla da fare tutto il giorno, occupavano il tempo a giocare d'azzardo, bere e parlare di donne, presentandosi all'adunata sempre più stazzonati e sporchi. Le barbe lunghe come fossero in marcia da giorni invece che in un accampamento.

Il capitano scosse la testa sospirando.

«Dobbiamo dare una svolta a questa situazione, sembra un esercito di sbandati» commentò.

Jonathan sollevò appena un sopracciglio mentre gli camminava appresso attraverso l'accampamento in direzione della boscaglia circostante. Condivideva gli stessi pensieri, anche se non aveva osato esprimere la sua opinione vedendo la lenta degenerazione della truppa.

«Tenente, se ne occupi. Stasera li voglio tutti tirati a lucido per l'ispezione e da domani riprenderemo con qualche esercitazione, giro di ricognizione o altri lavoretti che ci inventeremo, non possiamo lasciare questi uomini a far niente.»

«Sì, signore. Con il suo permesso mi dedico subito alla questione» rispose mettendosi sull'attenti e, ricevuto un cenno di assenso, girò sui tacchi per tornare in direzione delle tende.

Si infilò in mezzo a quelle della sua compagnia e si guardò intorno. Alcuni soldati erano vicini al fuoco, tendevano le mani verso le fiamme e scambiavano qualche parola, altri erano stesi a terra su delle coperte e fissavano il vuoto, altri ancora lanciavano dadi in cerchio. Più di uno sonnecchiava nella tenda o si dedicava alla lettura del giornale o alla scrittura di lettere. L'aria era greve di quel senso di spossatezza che pervade chi non ha nulla da fare e non riesce a mettersi in movimento se non con grande sforzo.

«Soldati» pronunciò deciso per ottenere la loro attenzione.

Il brusio delle chiacchiere, il rumore delle pagine sfogliate e dei pennini che grattavano sulla carta si affievolì a poco a poco fino a spegnersi. I soldati stravaccati si tirarono in piedi mal volentieri e si misero sull'attenti con grande lentezza. Jonathan li osservava e non disse nulla per velocizzare l'operazione che avvenne con incertezza, quasi non fossero sicuri di dover rispondere agli ordini dopo giorni di molle disciplina.

Notò che William O'Brian lo fissava con disprezzo, teneva in mano alcune carte da gioco e aveva lo sguardo vacuo di chi ha bevuto. Temeva che la noia di quei giorni potesse riaccendere l'astio tra i due irlandesi e sua sorella, già Sabrina gli aveva riferito di alcuni piccoli dispetti che le avevano riservato dopo un lungo periodo di indifferenza. Adesso, vedendo come lo guardava e sputava al suolo prima di decidersi a tirarsi in piedi, ebbe un brutto presentimento. Forse le minacce rivoltegli mesi prima avevano perso efficacia.

Nel giro di qualche minuto erano finalmente tutti in piedi e fissavano l'ufficiale incerti e vagamente indispettiti per l'interruzione dei loro affari personali.

Jonathan si avvicinò a uno di loro e lo invitò ad allacciare il primo bottone della giubba con un cenno, questi obbedì con una smorfia. A un altro ordinò di indossare il cappello e intimò a un terzo di non masticare tabacco. La tensione tra gli uomini diventò palpabile: cosa voleva quell'ufficiale? Perché doveva rompere l'anima? Perché stava lì a fissarli senza dire niente?

Anche Sabrina guardava suo fratello senza capire cosa avesse in mente, ma era certa che a breve avrebbe sferrato il suo attacco.

«Soldati, le vostre condizioni sono deplorevoli» si decise infine a parlare.

«Il capitano ha ordinato di ripristinare la disciplina. Avete tutto il pomeriggio per rimediare. All'ispezione di stasera vi voglio tutti a posto. Bottoni lucidati, giacche spazzolate, stivali puliti, barbe rasate. Questo è un accampamento militare, non un'adunata di selvaggi» pronunciò tagliente.

Polvere alla polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora