Un rumore sordo, martellante, si insinuò nei sogni di Jonathan. Dei tonfi ritmici e una voce acuta che strillava "apri bastardo".
«Lizzie!» esclamò alzandosi di colpo, ancora annebbiato. Qualcosa gli bloccava le gambe e, stranito, notò il fratello che dormiva ai suoi piedi. Scosse la testa per cercare di riordinare le idee e si rese conto di udire quelle grida stridule anche da sveglio. Non era un sogno, c'era davvero una donna nel corridoio che bussava con rabbia a una porta e urlava. Poco dopo, dei passi decisi annunciarono l'arrivo di qualcuno.
«Signorina, calmatevi» disse una voce profonda e autorevole.
«Signor Carter, quel tizio non mi ha pagato e...»
«Shhh, ora calmatevi o disturberete gli altri ospiti. Tornate più tardi da me, mi occuperò io della faccenda.»
Il signor Carter era il proprietario dell'albergo, si ricordava di averlo sentito nominare la sera prima. Curioso, si avvicinò alla soglia e aprì un piccolo spiraglio, riuscendo solo a scorgere una giovane donna che si allontanava indispettita e l'uomo che scuoteva la testa contrariato prima di dedicare l'attenzione alla porta chiusa. Jonathan si rintanò nella stanza senza far rumore e si appoggiò all'uscio con un sospiro.
Chissà perché aveva creduto che quella donna potesse essere Lizzie venuta a bussare alla sua porta... Ma chi vuoi prendere in giro? Era logico l'avesse supposto... non aveva forse pensato a lei tutto il tempo, la sera precedente? E poi aveva popolato i suoi sogni in quel breve sonno.
Era confuso. Quella storia era finita per un motivo, non aveva senso continuare più a lungo, ma lo stesso il pensiero di un corpo da abbracciare e capelli morbidi da accarezzare lo tentava. Avrebbe avuto un posto caldo dove tornare ogni tanto a soffocare i suoi pensieri dopo mesi passati a cavallo. Cosa m'importa se non è lei che sposerei? Aveva il diritto di concedersi qualche svago e lei non era contraria... Sì, be', forse un po' dopo che sua sorella le aveva dato della poco di buono, ma di sicuro Lizzie era abituata a certi tipi di insulto e aveva le spalle abbastanza larghe per non farci troppo caso...
Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e soprattutto dall'immagine tentatrice di quella donna. Con fatica si scollò dalla porta e si diresse a svegliare il fratello che ancora dormiva beato.
Robert si tirò a sedere con un certo sforzo, gli occhi gonfi di sonno e il viso pallido.
«Che faccia...» commentò Jonathan.
«Hai visto la tua?» rispose sbadigliando.
Jonathan si avvicinò al piccolo specchio appeso vicino alla brocca dell'acqua e si osservò. Avevano entrambi un aspetto orrendo. Se fossero tornati al forte in quelle condizioni, il padre avrebbe capito subito che razza di notte avevano passato. I capelli scarmigliati, la carnagione pallida, le occhiaie bluastre e le sclere arrossate. Anzi, avrebbe probabilmente pensato che avevano frequentato il bordello e li avrebbe disprezzati. Fossero almeno riusciti nell'intento di andare a donne...
«Meglio che ci diamo una ripulita e facciamo colazione.»
«Sì, un paio di litri di caffè potrebbero giovarci...»
Robert si trascinò sulle gambe malferme fino alla sua stanza per sistemarsi. Sembrava l'avesse investito un carro da come si muoveva.
Una buona mezzora dopo erano fuori in strada. Non dei figurini come quando si preparavano per una rivista militare, ma le abluzioni con l'acqua gelida della brocca avevano aiutato per lo meno a cancellare le tracce di sonno e i postumi più evidenti della sbronza.
«Dove andiamo?» chiese Robert.
«Non lo so... Conosci qualche posto oltre al saloon?»
«No... C'è una bettola dall'altra parte della città, ma apre solo la sera. Potremmo tornare all'albergo.»
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Polvere alla polvere
Historical FictionUtah 1854. Due fratelli decidono di lasciare la sicurezza della casa materna per seguire il padre, capitano dell'esercito. Giovani e scanzonati, alle prese con mille difficoltà per adattarsi alla vita militare mentre inseguono i loro sogni e cercano...