66- Resa dei conti

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13 maggio 1862, Fort Leavenworth

Era giunto il momento del confronto?

Il padre non si era mai espresso in merito. Nessuna lettera, nemmeno un cenno sull'accaduto, ma sapevano bene che avrebbe voluto delle spiegazioni e non sarebbe stato affatto facile affrontarlo.

Erano arrivati da poche ore a Fort Leavenworth e di Sabrina non c'era traccia. Avevano gironzolato nei pressi del suo vecchio alloggio, ma era occupato da un ufficiale e non avevano osato chiedere notizie a nessuno per non alimentare pettegolezzi. Erano giunti presto alla conclusione che non fosse lì: non avrebbe tardato a farsi vedere così a lungo. Anche perché il loro arrivo non era passato inosservato.

Solo il maggiore non si era dato pena di accoglierli. Aveva lasciato loro il tempo di prendere posto nella camerata con altri giovani ufficiali e sentire sulla pelle i loro sguardi brucianti di curiosità: dovevano averne parlato parecchio di quella faccenda, chissà quante chiacchiere in merito... Non c'erano molti svaghi in un campo militare quando non si era impegnati in qualche campagna.

«Tenente Becker!»

I pensieri di Jonathan furono bruscamente interrotti da un giovane soldato sull'attenti. Sospirò.

«Riposo, soldato» gli rispose stanco, senza ricambiare il saluto.

«Il maggiore Becker ha richiesto la sua presenza e quella del suo secondo. Vi attende presso il suo alloggio.»

Robert smise di sistemare la sua roba e si voltò verso il fratello. Jonathan annuì serio e, senza preoccuparsi di congedare quel soldato, cominciò ad allacciarsi la giubba. Il giovane sottoposto, a disagio, dondolò indeciso da un piede all'altro, poi accennò nuovamente un timido saluto prima di voltarsi e andarsene.

«Direi che ci siamo...» si limitò a commentare Robert.

Si avviarono in silenzio verso gli alloggi degli ufficiali più alti in grado. Non sapevano bene cosa aspettarsi, solo di una cosa erano certi: non sarebbe stato piacevole. Non era mai piacevole avere a che fare con il padre quando si trattava di questioni gravi e sapevano di essere colpevoli, ma dovevano ottenere una tregua.

Si scambiarono una lunga occhiata davanti alla porta. Non avevano bisogno di parlare, non c'era mai stato bisogno di tante parole tra loro. Poi bussarono.

Il maggiore era seduto dietro alla sua scrivania, rasato, con la giubba in perfetto ordine e il piglio severo che tanto li aveva spaventati da ragazzini. Non li invitò ad accomodarsi e Jonathan pensò che era tipico di suo padre riuscire a trovare sempre il modo di mettere l'avversario in svantaggio, di farlo sentire a disagio... quindi fu subito chiaro che lui li riteneva colpevoli.

«Credo che abbiate qualcosa da dirmi» esordì.

Nessun saluto, niente convenevoli, dritto al punto come una fucilata.

«Vorremmo chiedervi dov'è Sabrina» rispose Jonathan.

Non voleva stare al suo gioco, almeno non prima di aver saputo che sorte fosse toccata alla sorella.

«Non credo che la questione sia più affar vostro» replicò alzando appena il sopracciglio per la sorpresa. Evidentemente suo figlio si sentiva audace.

Jonathan deglutì a stento, temendo di aver sbagliato tattica: rischiava di non avere risposta alla sua domanda, era un terreno pericoloso quello che stava per percorrere.

«Padre, temo che la questione ci riguardi eccome, visto che ci ritenete responsabili dell'accaduto. Sappiamo che non è qui, vorremmo solo essere certi che stia bene...»

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