CAPITOLO 1

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Era una fredda mattina d'inverno nel pieno del mese di dicembre e come al solito, la sveglia situata sul comodino accanto al mio letto aveva incominciato a suonare e io con la testa ancora affondata nel cuscino, la spensi con un gemito infastidito.
Sfortunatamente, benchè volessi rimanere al caldo sotto le mie amate coperte, mi sarei dovuto alzare per andare a scuola, perció, con gli occhi ancora assonnati che se avessero potuto si sarebbero chiusi da soli ricominciando a dormire, mi sedetti sul materasso e dopo un lungo sbadiglio decisi di mettere i piedi a terra.
Camminai fino allo specchio e notai che avevo tutti i miei capelli biondo platino in perfetto disordine e per colpa della mia pelle pallida potevo tranquillamente passare per un cadavere.
Indossai la mia solita catenella, una specie di collana che mi regalò mio padre prima che se ne andasse, l'unico ricordo che avevo di lui.
Ho passato un'infanzia davvero difficile a causa della separazione dei miei genitori e dei problemi che aveva con il fumo e sopratutto l'alcool, non sono mai stato un bambino vivace e ho sempre avuto un carattere timido e introverso, grazie al quale mi sono spesso tenuto in disparte, isolato da tutto e da tutti.
Ero uno di quei ragazzini che arrossiscono al piú piccolo dei complimenti, uno di quelli che abbassano lo sguardo quando si sentono in imbarazzo, uno di quelli che odia stare al centro dell'attenzione, con pochi amici e che indossa grandi felpe per nascondersi le braccia dentro le maniche.
Per qualche mese sono anche andato da uno psicologo, poichè mia madre era preoccupata anche per il fatto che passavo interi pomeriggi chiuso in casa e inevitabilmente non riuscivo a nascondere i miei occhi rossi gonfi per le lacrime. Ho fatto una specie di terapia che consisteva nel prendere varie pillole e scrivere ogni giorno una lettera indirizzata a me stesso dove mi incoraggiavo ad andare avanti ed essere positivo nei confronti della vita. Una delle cose più stupide che io abbia mai fatto, non mi sono mai state utili.
Nonostante fossero passati anni, le tenevo conservate ancora da qualche parte in una scatola sotto al letto.
Feci un sospiro, e iniziai a scendere gli scalini per andare al piano di sotto.
Trovai come al solito vari fogli e post-it sparsi sul tavolo della cucina, e capii subito che mia madre era rimasta sveglia a lavorare e scrivere fino a tardi, ma con scarsi risultati. Succedeva sempre quando non otteneva grandi successi con il suo lavoro, se ne andava a dormire delusa senza nemmeno riordinare. Immaginai che probabilmente era a riposarsi nella sua camera perció non andai a darle il buongiorno, non volevo disturbarla.
Vivevo solo con lei, di papà non avevo piú notizie ,e forse, era meglio cosí.
Accanto ai fornelli c'erano mozziconi di sigaretta e bottiglie vuote di succhi di frutta.
Mangiai una di quelle brioche confezionate e andai direttamente a vestirmi.
Indossai dei jeans stretti scuri e una delle mie solite felpe nere.
Pettinai velocemente i capelli, anche se non stavano mai al loro posto, ed ero pronto.
Mi misi una giacca pesante, raccolsi lo zaino che avevo gettato sul pavimento il giorno precedente e uscii.
chiusi la porta d'ingresso e proseguii a piedi.
Faceva freddo, le nuvole grigiastre lasciavano spazio appena a qualche raggio di luce e la neve si era raccolta ai margini della strada.
Si congelava, e ad ogni respiro una nuvoletta bianca di vapore fuoriusciva dalla mia bocca semiaperta.
Misi le mani in tasca, giusto per evitare che diventassero due cubetti di ghiaccio e sentivo l'aria gelarmi la punta del naso.
Raggiunsi la scuola, e una gran folla di studenti era già fuori in attesa dell'apertura del cancello.
In lontananza, vidi un piccolo gruppo di persone, i miei amici, e li raggiunsi.
"ciao Isak" disse salutandomi George, un ragazzo dai capelli rossi che come ogni mattina, si fumava tranquillamente la sua sigaretta elettronica.
"ciao" riposi, rivolto anche a tutti gli altri.
"allora, non noti niente di diverso?" esclamó ad un tratto Alice, la mia migliore amica.
"ma lo devi dire proprio a tutti?" la rimproveró Fred, in tono seccato alzando gli occhi al cielo, e guardando lei, capii a cosa si riferivano.
"hai fatto il piercing?" le dissi notando un anello nero infilato fra le narici del suo naso.
"finalmente qualcuno che lo nota senza che glielo dica io" continuó Alice, sorridendo soddisfatta.
"beh.... è molto carino" continuai. Solitamente non facevo mai complimenti agli altri, ma con loro era diverso. Conoscendoli da molto tempo, riuscivo ad aprirmi di più.
"grazie"
"bene, stavamo discutendo su cosa fare stasera" disse George interrompendo la conversazione sul piercing "mio cugino darà una festa a casa nostra, siete invitati tutti"
George abita in un appartamento insieme a suo cugino e altri ragazzi, ci sono andato qualche volta ma non ricordo granchè.
"io ci saró ovviamente" esclamó la ragazza.
"anch'io" concordó Fred.
"io non credo" affermai.
"perchè?" mi domandó George.
"beh.... ehm....." borbottai qualcosa cercando di trovare una scusa il prima possibile, ma non mi venne in mente niente. Non volevo andare ad una festa, c'erano troppe persone, troppi sguardi, troppi alcolici e troppa musica, sapevo che mi sarei sentito a disagio e non avrei retto.
"dai vieni, vedrai che ti divertirai" mi incitó Fred.
"già, magari conosci anche qualche bella tipa" continuó il rosso sorridendomi.
"lo sapete...... a me non piacciono molto le feste...."
"eddai amico, fidati"
"io.... " esitai per un attimo, incerto su cosa rispondere.
"D'accordo, ci vengo" dissi infine, non volendo prolungare ulteriormente la discussione e passare per il solito asociale e sfigato. Magari sarebbe andata meglio del previsto. Ormai avevo accettato, e non mi restava solo che cercare di essere il piú positivo possibile.
"vi passo a prendere alle 9:00 sotto casa di ciascuno" contiuó George.
"ma tu non hai una macchina"
"idiota, vengo con mio cugino" spiegó lui rivolto a Fred.
"oh ok"
la campanella suonó e i cancelli si aprirono. Mi sistemai lo zaino sulla spalla e in compagnia degli altri proseguimmo dentro l'edificio.
Non mi è mai piaciuta particolarmente la scuola, è un posto dove la gente ti giudica in continuazione fermandosi solo all'aspetto esteriore, e tende a categorizzarti e a darti un'etichetta. Ci sono i secchioni, gli sportivi, quelli strani,... io non sapevo con esattezza a quale appartenevo, sicuramente non ai popolari. Una volta un tipo del quinto anno mi aveva soprannominato "vampiro", ma non lo biasimavo neanche, odiavo il sole, avevo la pelle pallida come una mozzarella e mi piaceva vestirmi di nero, per cui non mi sono neanche offeso. Ho sentito voci dove mi indicavano come un depresso o cose simili.
Non gli davo importanza, ormai ero cosí abituato all'ignoranza di certe persone che non mi interessava nemmeno quello che dicevano.
Trovavo una cosa veramente stupida basarsi solo sull'aspetto di qualcuno, è superficiale e per conoscerlo davvero a fondo bisognerebbe almeno provare a parlarci o a osservarlo per un po'.
Forse abbiamo tutti una maschera, forse vogliamo mostrare solo la parte migliore di noi e nascondere quella vera. Non lo sapevo, e non me lo so spiegare nemmeno tutt'ora.
Fortunatamente, dopo aver passato tutta la lezione di matematica a guardare un paio di uccellini volare fuori dalla finestra, i corsi sarebbero proseguiti con letteratura, una delle mie materie preferite.
Quel pomeriggio pioveva. Io avevo appena terminato la giornata scolastica e, salutati i miei amici, stavo ritornando a casa.
Avevo le cuffiette nelle orecchie e le mani in tasca, non presi neanche un ombrello e lasciai che l'acqua mi bagnasse, ma non mi importava.
L'ansia della festa che si sarebbe tenuta per tutta la serata inizió a farsi sentire, e una piccola fitta mi attraversó lo stomaco.
Non sapevo nemmeno come mi sarei dovuto comportare e gli abiti giusti da indossare, perció pensai che forse era meglio andarci e scappare di nascosto subito dopo, tanto nessuno si sarebbe accorto della mia mancanza.

PICCOLO TULIPANO🔐❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora