CAPITOLO 19

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Chissá se Tom mi aveva giá dimenticato.
Chissà se gli mancavo.
Chissà se quel bacio aveva significato qualcosa anche per lui.
Questi erano dubbi che mi sorgevano abbastanza spesso da quando ero ritornato a casa con mia madre ed era ricominciata la routine quotidiana.
Non avevo nessun modo di mettermi in contatto con lui, mi ero persino dimenticato di domandargli il numero di telefono. Tanto anche se me ne fossi ricordato prima di ritrasferirmi, non gliel'avrei chiesto comunque poichè temevo di sembrare troppo invadente.
Eppure, ero felice. Pensavo ai suoi occhi, al suo sorriso, alle sue foto da piccolo, e spontaneamente arrossivo e l'umore migliorava. Nonostante non lo vedessi da diversi giorni, qualcosa mi spingeva a sperarci e a credere che un giorno ci saremmo rincontrati. Per la prima volta dopo tanto tempo, ero fiducioso, aspettavo con ansia il momento in cui mi sarei distratto un attimo e una volta recuperata l'attenzione, Tom sarebbe stato lí, a salutarmi e rivolgermi uno dei suoi soliti sguardi tranquilli e spensierati di cui solo lui era capace.

Eravamo solo noi, nella mia stanza.
Le luci erano spente, ci trovavamo seduti sul letto uno accanto all'altro, e io tra le braccia di Tom. Il posto piú sicuro che potessi mai desiderare.
Mi stringevo a lui, sotto le coperte, mi sentivo protetto e pieno. Non sapevo di cosa, non ero nemmeno capace di definire con esattezza quella sensazione, ma era come se per tutta la vita fossi stato vuoto, come se avessi vissuto sempre senza qualcosa e non me ne fossi reso conto, un qualcosa che esclusivamente Tom poteva offrirmi.
All'esterno pioveva, e le gocce d'acqua della pioggia cadevano impetuose sulla finestra chiusa, continuando a provocare un ticchettio abbastanza piacevole.
Accarezzavo il petto del mio compagno, mentre lui mi guardava. Riuscivo a sentire quasi il suo respiro e il calore che emanava il suo corpo. Cazzo, era stupendo.
Poi si sporse leggermente in avanti, e io percepii il mio cuore iniziare a battere all'impazzata. Stava seriamente accadendo? Tom mi stava per ribaciare? Ancora?!
E poi, proprio sul piú bello....

"Isak! Isak!"
La voce di mia madre fuori dalla mia stanza e le sue mani che battevano sulla porta mi svegliarono di soprassalto.
Avevo il cuore in gola, mentre spalancai gli occhi ritrovandomi a osservare di colpo il soffitto con il corpo colmo di sudore.
Era troppo fantastico per essere vero, la storia della mia vita era un cimitero di speranze sepolte proprio come il mio sogno.
Una volta messo a fuoco ció che stava accadendo, con un gemito infastidito sospirai e affondai la testa nel cuscino, nella speranza di riavere ancora qualche minuto di pace, ma fu tutto invano.
"Isak! Isak sei sveglio?!"
"che caz-..... " mi fermai appena in tempo dal far fuoriuscire gli istinti omicidi di uno che si è appena svegliato da un sogno stupendo venendo disturbato ininterrottamente dalla madre il sabato mattina.
"ehm..... cosa c'è mamma?! È sabato!" le urlai infine.
"Posso entrare?" mi chiese lei con una voce ovattata proveniente dall'esterno.
"accomodati" le risposi seccato.
Aprí la porta e fece il suo ingresso nella mia camera. Aveva ancora la vestaglia da notte e una tazza di caffè vuota in mano.
"stavi ancora dormendo?"
"mamma, è sabato!"
"sono le dieci e mezza!"
"e allora? Dovresti riposarti un po' anche tu lo sai?"
"e tu lo sai che io lavoro e non posso stare tutto il tempo a oziare come te?" mi rimproveró.
"io non ozio tutto il tempo"
"ti crederó quando lo vedró"
"daii"
"ho bisogno che tu vada al supermercato qui vicino a prendermi un paio di cose. Il frigo è vuoto"
"che palle"
"Isak forza! Non posso fare tutto io. O almeno non in questo periodo"
"ma mamma"
"ti do dei soldi, puoi prenderti la colazione o qualcosa da stuzzicare fuori"
Sopsirai. Non avevo per niente voglia di andare a fare la spesa di sabato mattina, eppure, sapevo che mia madre aveva ragione.
Era stata dimessa da poco e non poteva fare tutto lei.
"d'accordo, come vuoi"
"io ho delle faccende da sbrigare che riguardano ancora l'incidente, esco per mezzogiorno e ritorneró nel tardo pomeriggio"
"oh... ok"
"se torni e non mi trovi è per questo motivo. Sbrigati ora, vestiti e scendi"
Disse per poi girarsi e sparire dietro le mura della mia camera, socchiudendo la porta.
Che palle.
Indossai dei jeans neri attillati come al solito e un felpone scuro, non mi preoccupai nemmeno di sistemarmi i capelli, tanto non avevano mai un ordine e anche se li avessi pettinati non avrebbero resistito dieci minuti.
"io vado" dissi a mia madre mentre presi le chiavi di casa, la lista delle cose da acquistare scritta un attimo prima e i soldi che mi aveva lasciato sulla cassettiera situata nel bel mezzo del nostro corridoio. Arredare un appartamento non era una facoltà adatta alla nostra famiglia.
"va bene, ti ho lasciato la lista" mi urló lei dalla cucina. Era uscita da neanche una settimana e già aveva ricominciato le sue azioni quotidiane come le faccende domestiche.
"l'ho presa" la rassicurai.
"allora ci vediamo dopo"
"a dopo" la salutai e poi uscii sbattendo la porta alle mie spalle.
Mi misi le mani in tasca e proseguii lungo la strada con la musica nelle orecchie e il naso rosso dal freddo.
Non mi andava affatto di fare la spesa, ma il solo pensiero che avrei potuto rivedere Tom mi spingeva a proseguire.
Beh, non mi aspettavo certo di trovarmelo al supermercato nel reparto delle verdure, ma magari incontrarlo davanti a qualche locale o rivederlo mentre tornava dalla lavanderia con la sua tuta da calcio in una busta non sarebbe stato poi cosí male.
Chissà dove giocava, ma soprattutto come giocava. Me lo immaginavo già nel bel mezzo del campo, a correre, segnare un gol, sorridere dalla felicità e scostarsi dalla fronte il ciuffo dei capelli che vi si ricadeva sopra.
Semplicemente stupendo.
Forse stavo esagerando, forse lo facevo sembrare una persona troppo speciale e importante. Infondo avevo sempre avuto un concetto abbastanza privo di allegria della vita, avevo sempre pensato che eravamo tutti dei piccoli esseri viventi insignificanti in un universo infinito, e che ció che provavamo o che pensavamo per rendere la realtà un po' meno monotona sia solamente un'illusione. Probabilmente questi ragionamenti erano dovuti al fatto che passavo molto tempo in solitudine e non parlavo spesso con le persone, escludendo i miei migliori amici, e mi ritrovavo ogni volta a riflettere sulla mia inutile esistenza.
Era strano dover guardare il mondo da un'altra prospettiva, dove suscitava in me anche un po' di speranza. È questo che si prova ad essere innamorati? Si ci sente davvero pieni di felicità? Penso di sí, perchè io ero cosí.
Nella mia mente non passarono altri pensieri al di fuori di questo argomento, e mi imbarazzava molto. Mi sentivo come se fossi stato una ragazzina eccitata all'idea del suo primo amore.
In effetti... questo era veramente il mio primo amore. La relazione con Jo non conta.
Uscii dal supermercato con un paio di sacchetti in mano, e decisi di fare un salto nel bar piú vicino a bere qualcosa prima di ritornare a casa.
Passai davanti ad un locale piccolo che sembrava abbastanza accogliente ed entrai.
Con mia grande sorpresa, notai che dietro al bancone c'era Dakota, indossava una camicia gialla con la scritta "da Marios" che era il titolo del posto e sotto ricamato il suo nome. Stava asciugando i piatti e le tazzine all'interno della lavastoviglie. Ero un po' incerto, ma alla fine scelsi di avvicinarmi a lui.
"ciao Dakota" lo salutai.
"hey" mi disse lui con un sorriso.
"non sapevo che lavorassi qui"
"infatti ho iniziato da poco, appena qualche giorno"
"e ti trovi bene?"
"sí abbastanza, è un lavoro che posso fare alternandolo con la scuola"
"sono contento per te"
"grazie, cosa posso servirti?"
"oh ehm... solo un thè alla pesca"
"d'accordo"
Dakota si giró, prese dal freezer dietro di lui una bottiglietta di thè alla pesca e me la porse.
"ecco a te"
"grazie" gli diedi i soldi e lui li afferró posizionandoli con cura nella cassa.
In contemporanea, entrarono un altro paio di persone.
"che cosa ci fa qui?" chiese Dakota osservando un ragazzo che aveva appena fatto il suo ingresso e si stava osservando incuriosito intorno.
"quello è il tuo ragazzo?" domandai, dando anch'io un'occhiata. Dakota annuì con la testa, sorridendo e arrossendo timidamente.
"sará venuto a trovarti" gli proposi.
"non lo sapevo"
"se vuoi vai a salutarlo"
"ma cosí poi tu...."
"non ti preoccupare" gli dissi sorridendo "puoi staccare un attimo, io non mi offendo mica"
"va bene, torno subito"
Lo guardai uscire emozionato dal retro del bancone e raggiungere il suo compagno, che lo salutó con un abbraccio. Li guardavo, e pensavo a me e Tom. Avrei tanto voluto che al suo posto ci fosse stato lui. Non fraintendetemi, ero contento per Dakota, ma speravo con tutto me stesso di rivederlo, solo un'ultima volta.
Cominciai a pensare che forse io ero stato solo un amico di passaggio per lui.
Non una cosa duratura.
Magari il destino mi aveva preservato qualcos'altro, io non potevo di certo saperlo.
Immerso nei miei pensieri peró, una voce sussultó alle mie spalle costringendomi a ritornare alla realtà evitando altre fantasticherie su cose che probabilmente non mi sarebbero mai accadute e, quando mi voltai, vidi di fronte a me l'ultima persona che avrei desiderato di incontrare: Jo.

PICCOLO TULIPANO🔐❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora