CAPITOLO 10

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Camminammo per un po', vedemmo soltanto una signora anziana che zoppicava trascinando dietro di sè un trolley rosso da viaggio mal ridotto, un paio di uomini che fumavano dietro un vicolo, un barbone che chiedeva l'elemosina seduto sulle scale di una chiesa e una donna che camminava frettolosamente borbottando qualcosa al telefono.
Il mio naso era letteralmente congelato, e notai che George, benchè avesse una sciarpa e le mani nelle tasche, tremava dal freddo. Rimanemmo in silenzio, guardandoci per bene attorno nella speranza di rivedere quel ragazzo dai capelli neri ondulati e le guance ricoperte da una piccola spruzzatina di lentiggini, ma senza risultati.
"sai dove potrebbe essere?" gli chiesi, non riuscendo piú a sopportare quella sensazione di panico che piano piano si stava facendo strada nel mio petto.
"Non puó essere lontano, forse è al parco, ci andava sempre quando aveva qualche problema" mi rispose lui.
"facciamo un salto lí allora" proposi.
"d'accordo"
Camminammo piú velocemente, piccoli cerchi di vapore uscivano dalle nostre bocce semiaperte ad ogni respiro.
Mi sistemai meglio la sciarpa attorno al collo, e continuai a ripetermi nella mia testa che non c'era nulla di cui preoccuparsi, andava tutto bene.
Avrei solo voluto crederci davvero.
Scavalcammo il cancello chiuso ed entrammo nel parco. C'era l'area per i bambini, che comprendeva uno scivolo, un dondoló e un paio di altalene di cui una era rotta. Sembrava di essere in un film horror, mi immaginai un lupo mannaro dagli occhi gialli e le zanne affilate spuntare da dietro un albero e ucciderci. Forse avevo troppa fantasia, e avrei dovuto incominciare a smettere di leggere troppi libri.
"io vado nel campo da calcio, tu in quello da basket" mi propose George e io accettai annuendo con la testa.
I due campi erano in direzioni opposte, accesi la torcia del telefono per vedere meglio, visto che dei lampioni situati lí attorno ne funzionavano solo due.
Sentii i passi del mio migliore amico farsi piano piano piú lontani, fino a non sentirli quasi piú. La calma di quel posto era interrotta dai rami che spezzavo ad ogni mio passo, poi, piano piano, arrivai al campo da basket. Mi guardai per bene attorno, ma invano. Tom non era lí, nessuno apparte me era lí. Immediatamente sentii una fitta allo stomaco, ero deluso. Volevo rivederlo, o almeno ci speravo.
Cercai intorno a me, scrutai ogni albero nella speranza di trovarlo dietro qualche angolo, girai attorno ad una grossa quercia, arrivai nell'area pic nic e controllai tutti i tavoli e le panchine, ma invano.
Mi sedetti su una trave di legno, e mi misi le mani nei capelli, fissando il suolo.
Ero preoccupato veramente, ed ero un po' incerto su cosa avrei dovuto fare nel caso non l'avessimo trovato. Se avessi insistito troppo o fatto alcune domande, George sarebbe arrivato sicuramente a pensare che forse per lui c'era qualcosa che andava al di là dell'amicizia, e si sarebbe incuriosito.
A dire il vero non sapevo nemmeno perché la sua scomparsa mi tormentava così tanto, in fondo lo conoscevo da poco e non avevamo poi trascorso tanto tempo insieme. Poi alla confraternita c'erano tutte le sue cose, non poteva abbandonarle così di punto in bianco.
"Eccoti!" disse George alle mie spalle.
Mi girai puntandogli la torcia addosso, e lo vidi proseguire verso la mia direzione seguito da Tom.
Avrei voluto abbracciarlo dalla felicità, giuro.
Aveva i capelli scompigliati, le occhiaie e il viso arrossato, sembrava quasi un cadavere. Ma era pur sempre Tom, e soprattutto, non era in compagnia di nessuna ragazza.
Cercai di darmi un contegno e non sembrare troppo esaltato a quella visione.
"spegni!" mi disse il mio amico.
"oh sí, scusa" dissi spegnendo il telefono.
Era buio, ma i suoi occhi splendevano alla luce della luna.
"ciao Isak" mi salutó lui.
"ciao" dissi abbassando lo sguardo. Non riuscivo a guardarlo in faccia, mi imbarazzavo. Tom mi provocava questo effetto.
"ha chiamato una tua amica" gli spiegò George.
"ah sí" rispose lui, con noncuranza.
"cosa ti è saltato in mente? uscire cosí di punto in bianco e-"
"non sei mia madre" obiettó barcollando un po'. Probabilmente aveva bevuto una bottiglia di troppo.
"Va bene" rispose George sospirando "però dobbiamo andare, e tu vieni con noi"
Ci incamminammo tutti a casa, con George davanti e io e Tom dietro di lui, fianco a fianco.
Era in silenzio, camminava a testa bassa guardandosi le sue vans consumate, si vedeva che era stanco. Avrei voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di rivederlo sorridere, ma continuai a camminare senza dire una parola.
Arrivammo a casa, era piú tardi di quel che credevamo e l'unico sveglio era Alex, ritornato da poco.
"ciao" lo salutó George.
"ma vi sembra ora?!" ci rimproveró lui.
"stai calmo! Abbiamo trovato Tom"
Tom lo salutó imbarazzato con un cenno della mano, alle spalle del mio amico.
"Voi mi farete impazzire un giorno"
"Rilassati, ora ce ne andiamo in stanza"
Alex sospiró. "d'accordo, sbrigatevi" disse infine.
Mi sentivo sprofondare dalla vergogna, ma Tom era lí, e questo mi faceva sentire meglio, come se una parte dei miei problemi se ne fosse andata per sempre.
"beh.... allora buonanotte" mi disse George mentre apriva la porta della sua stanza.
"notte" gli risposi, per poi entrare con Tom nella nostra.
Non mi dette il tempo di abituarmi all'idea di ritornare compagni di camera che inizió a spogliarsi lí davanti a me.
Si tolse la camicia, poi si sfiló la maglietta, lasciando intravedere il suo petto ben scolpito. Diventai completamente rosso, se avessi potuto sarei andato a fuoco, e non riuscii a distogliere lo sguardo. Rimasi immobile a guardarlo, e se sarebbe rimasto ancora in quelle condizioni avrei potuto anche saltargli addosso. Mi vergognavo dei miei stessi pensieri. Era cosí fottutamente bello. Il mio cuore saltó in gola, e in quei pochi secondi sentivo già le farfalle nello stomaco. Tutto questo non era normale. Le sensazioni che provavo in sua presenza non erano normali.
"oh... scusa, non ho pensato che....." balbettó, mentre si grattava imbarazzato il retro del collo.
"n-non fa n-iente" cercai di dire.
"tieni" mi lanció il mio pigiama.
"grazie"
Tentai di non sbavare davanti al suo corpo bellissimo, e andai nel bagno a cambiarmi.
Mi sentivo a disagio a farlo davanti ad altra gente.
Poi uscii e rientrai in camera. Lo trovai seduto (stavolta vestito) sul letto a fissare il vuoto. Presi coraggio e andai a posizionarmi accanto a lui.
"a che cosa stai pensando?" gli chiesi.
"niente, perchè?" mi rispose lui, ma sapevo che non era vero. Glielo si leggeva in faccia.
"te ne stai qui a fissare il vuoto.... poi date le circostanze...." dissi facendo riferimento alle ultime cose accadute.
"niente di cui preoccuparsi..... io.... lo faccio spesso"
"È per quello che è successo ieri?"
Fece segno di no con la testa.
"Ehm.... se..... se c'è qualcos'altro di cui vuoi parlare...."
"i soliti problemi...." esitó un po' prima di continuare, poi sospiró e rimase nuovamente in silenzio.
Non volevo costringerlo, gli avrei lasciato tutto il tempo di cui aveva bisogno e gli sarei stato accanto in ogni situazione.
Se al suo posto ci fosse stata un'altra persona conosciuta da poco, non avrei mai reagito cosí. Tom mi faceva essere una persona migliore.
"Io..... faccio schifo ad aiutare gli altri, ma se c'è qualcosa di cui vuoi parlare..... non lo dico a nessuno"
Ci fu una pausa di qualche minuto, in silenzio.
"i miei genitori....." cominció, strofinandosi con una mano l'occhio sinistro per la stanchezza "non faccio altro che pensare a loro..... a volte cerco di distrarmi, ma alla fine mi ritornano sempre in mente. Vedi..... loro sono....." un'altra pausa di silenzio. Capí che faticava a parlarne con qualcuno, ed era da molto che non si sfogava davvero.
"morti".
A quelle parole gli scese una lacrima, che si asciugó con la manica della maglietta.
D'istinto, misi da parte per una volta la mia timidezza e il carattere di merda con cui convivevo ormai da anni, e avvolsi un braccio intorno alla sua spalla.
"mi dispiace molto" sussurrai.
Lui rispose alzando le spalle.
"capita" mi disse semplicemente. Forse perchè non aveva nient'altro da dire, o forse perchè si teneva dentro talmente tante cose che non sapeva da dove incominciare.
Appoggió la testa alla mia spalla, e io non so cosa avrei dato per rimanere in quella posizione per sempre.
"non l'avevo mai detto a nessuno...... beh.... tranne ai miei coinquilini, loro dovevano saperlo"
"allora sono onorato" dissi sorridendogli.
Lo udii fare una leggera risata, un po' forzata, ma mi sentii sollevato.
Alla fine crollammo entrambi a dormire, Tom era molto stanco e io mi addormentai poco dopo di lui. Ero al settimo cielo.

PICCOLO TULIPANO🔐❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora