Twisted Hope(2/2)

110 7 9
                                    


Capitolo LVII

Fino a quando sogneremo della vita e la vita diverrà un sogno".

-George Michael

Fu notte e poi mattina

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Fu notte e poi mattina.
Hansel dormiva ancora, e i suoi occhi non si erano ancora destati.

-Ariana vieni siediti con me…-

Guardai la donna bizzarra sul balcone. Seduta su una sedia a dondolo.
Tutt'ora la consideravo strana. Pericolosa.
Un soggetto nocivo per Follies. Per noi.
Per come mi guardava con quella luce bollente, amorevole.
E per come si ostinava a parlarmi dolcemente. Odiavo a morte Diana Clark. La odiavo così tanto.
Nella stessa maniera in cui lei mi amava.
Perché si ostinava a professare amore materno, verso un individuo come me.

Tutto mi irritava, mi infastidiva. I sentimenti agitati alla quale non riuscivo a dare un nome. Emozioni che mandavano segnali disordinati al mio cuore.

E penso che Follies si arrabbiasse ancor di più, in situazioni del genere, poiché minacciata da sensazioni che non conosceva.

Lei mi ricordava che ero un fiore appassito e non potevo sedermi con i fiori rigogliosi. Non appartenevo alla stessa razza.

Nata per morire, mentre gli altri per vivere.

Mi avvicinai a mia madre ma non mi sedetti, osservandola con descrizione.
-Pensi che Hansel sopravvivrà?-
La sua domanda corrose il mio cuore, la quale cominciò a battere contro la mia gabbia toracica.
Un cuore che ogni tanto mi ricordava di essere ancora lì. E che non ero completamente un essere apatico e sordo.
-Deve sopravvivere…-sibillai tra i denti, ingoiando la rabbia ancora una volta.
-E se non fosse bambina mia, cosa farai?-
La fissai per qualche secondo, chiedendomi perché mi stesse rivolgendo tali domande.
-Lo seguirei nell'Ade e lo riporterei indietro…-

-Perché? Cosa ti spinge a dire una cosa del genere?-

Guardai Diana con aria confusa, pertanto, perplessa dalle mie stesse parole.
Dal momento che non vi erano ragioni. Mi sentivo solo in cuore di farlo. Perché dopotutto si parlava di Hansel. Di un ragazzino che aveva seguito le mie orme sin da bambino. Un bambino che avevo promesso di proteggere, nella quale avevo fallito miserabilmente.

-Perché tutte le sue punizioni spettavano a me, anche questa! Uriel doveva colpire me in quel modo. Le suore erano me che dovevano percuotere… E non lui-

Mi ritrovai a essere furiosa di nuovo.
Le parole lanciate con acidità nel vuoto.

-Allora bimba mia, come definisci un tale sacrificio?-

Strinsi gli occhi in due fessure, toccando i bordi della ringhiera. Le edere attorcigliate sul ferro battuto.

-Non lo so…-

Diana scosse il capo, abbozzando un sorriso d'incoraggiamento. Sapeva bene che lo sapevo. E io sapevo di saperlo.

Il sentimento più grande che odiavo con devota passione.

L'amore...

-Hai mai amato Hansel cara?-
Mi ritrovai con le spalle al muro, spiritualmente parlando. Senza una via di fuga. Senza un luogo dove scappare.

Queste domande non mi piacevano, e lo capii anche mia madre, la quale si alzò dalla sedia per venirmi in contro.
Indietreggiai d'istinto.

-Ariana, nessuno ti giudica, sentiti libera di esprimerti-
Mi prese le mani nelle sue, stringendole tra le sue ossa; avvolgendole nel suo calore. Nel suo profumo.

-Io non riuscivo a farlo prima, non ne sono mai stata capace-

Ed era la verità.
Al collegio, non riuscivo a ricambiare nessun affetto. Non sapevo riconoscerlo,  e se non potevo
riconoscerlo come potevo manifestarlo…?

-Ora dimmi cara, quando hai cominciato a provare qualcosa?-

Frugai nella mia mente, portando a galla i ricordi con Hansel, con Uriel e poi con Castiel.
In ogni caso, avevo cominciato a ricambiare certi sentimenti col tempo, dopo che ero uscita da quella prigione.
Al manicomio, avevo iniziato a provare rabbia, frustrazione. A volere attenzioni, a riconoscere quando si parlava dell'amore e quando dell'odio.
A muovere i miei primi passi. A essere più esigente.

-Dopo il collegio credo…- risposi frastornata.
La conversazione mi stava spaventando e non volevo più continuarla.

Diana Clark annuì, per poi rimettersi seduta.
Il suo sguardo lontano. La mente pensierosa.

-Perché mi chiedi tutte queste domande?- mi imposi, sbarrando la sua visuale della città.
Diana mi sorrise di nuovo, amorevolmente;
spaventandomi per la seconda volta.

Ora era visibile che mi stesse nascondendo qualcosa.

Lei sospirò, gli occhi lucidi.
-Diana?-
Feci pressione, non potendo più aspettare. Consumata dal desiderio di sapere.

-Ho fatto alcune ricerche sul tuo conto cara, e ho guardato diverse cartelle cliniche che possedevi da bambina...-
Fece una pausa, chiudendo gli occhi per un breve secondo.

-Ariana tu soffri di Alessitimia*…-

Corrugai la fronte, non comprendendo le sue parole.
-Un disturbo che consiste in un deficit della consapevolezza emotiva, che comporta l'incapacità sia di riconoscere sia dunque di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli altrui-
Rimasi sorpresa, anche se non lo diedi a vedere.
-Questo spiega molte cose bimba mia. Spiega molte delle tue azioni. Tutte le cose che hai fatto in passato.-

Per la prima volta, non osai pensare a nulla. La mia mente non aveva forma.

-E per quanto possa odiare Uriel, lui ha contribuito ad aiutarti. E come lui, Hansel e Castiel ti hanno aperto le porte-

Mantenni lo sguardo su un punto indefinito, scegliendo di non guardare in faccia la realtà.

-Grazie a loro hai cominciato a provare sentimenti, a lasciare scivolare le tue prime emozioni.-

Era un bene quindi? Averli incontrati era forse un privilegio?

-Tesoro, qualunque cosa succeda, sappi che io ti voglio bene-

Sgranai gli occhi, indietreggiando verso l'entrata del soggiorno.
-Che vuoi dire?-
Diana scosse il capo, asciugandosi una lacrima dalla guancia destra.

-Ariana non è colpa tua…-

Alle sue parole lasciai il balcone rifugiandomi nella stanza dove stava Hansel. Avvinta da un soffocante sensazione sul cuore. Quasi come se due grosse mani mi stessero strozzando.
In preda a uno stato di angoscia e dolore.
Perplessa a morte dalle parole straniere di mia madre. In colpa per la condizione di Hansel. Infelice per la situazione in cui mi stavo trovando.

Mi lasciai scivolare sul pavimento, stanca. Turbata in ogni maniera.

Che cosa avevo fatto in passato? Quale crimine avevo commesso?
Cosa nascondeva la mia amnesia?

🔸🔸

SPAZIO AUTORE ♠

*L'analfabetismo emotivo[1] o alessitimia (anche alexitimia, dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione» dunque: «mancanza di parole per [esprimere] emozioni») è un costrutto psicologico che descrive una condizione di ridotta consapevolezza emotiva, che comporta l'incapacità sia di riconoscere sia di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli altrui.

✴ THE SICK GIRL  ✴[Prima Parte]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora