Numb

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Capitolo LVIII

" In virtute est, quod angeli non possint non adepto peius; sua culpa, 

non potest esse meliorem. Quod vitium hominis est, 
quod potest peior fieri potest; et virtutum, quas can amplio."


 "La virtù degli angeli è che non possono peggiorare; il loro difetto, che non possono migliorare. Il difetto dell'uomo è che può peggiorare; la sua virtù, che può migliorare." -

-Massima chassidica

[3 giorni dopo- Seattle]

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[3 giorni dopo- Seattle]

Come dessert c'era una torta alle mele, alla quale mia madre aveva lavorato con riguardo. Una torta che amavo e che spesso divoravo volentieri, ma non quel giorno.
Non quel fatidico giorno invernale.
Elena Smith aveva fatto riunire tutti i nostri parenti (cugini compresi), per festeggiare il mio ritorno.
E mentivo se tale gesto non mi aveva scaldato il cuore.
Mia madre era scoppiata a piangere quando mi aveva scorto sulla soglia del cancello e così il resto dei miei famigliari.
Mio padre invece, mi aveva avvolto in una abbraccio possente ma non aveva detto niente. Anzi, il suo sguardo era rimasto imperterrito e cupo.

E solo Dio sapeva cosa stesse frullando nella sua mente...

-Castiel non la mangi?-

Royalty indicò il dolce sul mio piatto, l'espressione ghiotta; pronto a ingoiare quel che era rimasto della torta di mele, dal momento che non era possibile avere un bis.

-No, prendila tu-

Non avevo molta fame. Il mio stomaco si era chiuso ieri sera, dopo il nostro ritorno dall'aeroporto. E forse per la consapevolezza che Uriel era ancora in libera circolazione.
Oltre a ciò, non riuscivo a controllare i miei pensieri ed il mio cuore restava irrequieto: per Ariana, per Hansel. E ancor di più per le bambine gemelle che avevo abbandonato con quell'arpia.

-tutto okay?-

Trasecolai, tornando con la mente al presente. Gli occhi di mio fratello erano inchiodati sulla mia faccia. E come nostro padre non aveva fatto altro che studiarmi. Le labbra strette in una riga ferma, un'irrefrenabile voglia di soffocarmi di domande, eppure silenzioso.

-Si, tranquillo- risposi, passando il piatto a mio cugino, il quale fu contento di mangiare un'altra fetta.
Era strano sedersi a tavola insieme a un'intera famiglia, dove buona parte sapeva del mio segreto. Una sensazione imbarazzante quanto bizzarra. E per quanto gli volevo bene, non volevo più rimanere seduto a cenare.
-Ma' io vado a fumarmi una sigaretta-annunciai, alzandomi dal tavolo. Sotto gli occhi di tutti i miei famigliari perplessi.

Mio padre mi riservò un'occhiata indecifrabile, per poi zittire l'imminente obbiezione mia madre: era così in pena per me che temeva un rapimento in ogni momento della giornata. Non voleva che rimanessi da solo nemmeno per un secondo.
-Lascialo andare-
Era la prima volta che apriva bocca dopo due giorni di puro silenzio. Si era rifiutato di comunicare qualsiasi giudizio, persino quando alcuni agenti erano entrati in casa nostra per avere informazioni.
E tale atteggiamento mi aveva fatto pensare.
Vi erano solo due possibili conclusioni:
Mi stava difendendo, oppure punendo.
Speravo con tutto il cuore che non mi stesse castigando anche lui.
Avevo a che fare con troppi castighi per aggiungere un'altra porzione al mio piatto.

✴ THE SICK GIRL  ✴[Prima Parte]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora