Capitolo tre

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Dall'alto del Castello Proibito, Malefica osservava la vita monotona sotto di sé. Qualcuno veniva derubato, qualcuno rubava, qualcuno urlava, qualcun'altro scappava, qualcun altro uccideva...il solito. Credeva che essere privata della sua magia fosse la cosa peggiore che potesse accaderle: nel momento esatto in cui era entrata nell'Isola, aveva sentito un dolore lancinante al petto, come quello che aveva avvertito quando Stefano le aveva tagliato le ali. Le avevano tolto un'altra parte di se stessa, una parte più importante delle ali: la sua magia. Tutti sapevano che privare un essere magico dei suoi poteri era la peggiore delle torture, perciò era evidente che quegli uomini non fossero gli eroi che credevano di essere. Sapeva che li controllavano, non aveva ancora capito come, ma sapeva che avevano occhi ovunque. Altrimenti, non si spiegava per quale motivo giungessero delle guardie sull'Isola degli Sperduti appena moriva qualcuno. Aveva lasciato che i suoi tirapiedi controllassero ogni angolo di quel maledetto luogo, interrogassero le persone che sembravano più intelligenti o un po' troppo sospette, ma non aveva scoperto nulla. Diciamo che, se non fosse stata la Signora del Male, avrebbe potuto confessare come cercare di scoprire la verità fosse diventata la sua unica speranza per non perdere la testa; per tenersi impegnata. Ma era Malefica, colei che a sedici anni aveva stregato un'intera foresta e aveva piegato creature magiche ai suoi piedi; colei che aveva quasi completato la sua vendetta facendola pagare all'uomo che le aveva fatto del male. Sapeva bene che cose come "fortuna, sfortuna e speranza" non esistevano: erano concetti stupidi che si erano inventati quegli stolti di Auradon per rendere tutto rose e fiori per la propria progenie. Malefica conosceva l'intelligenza, l'arguzia e la cattiveria. Erano le uniche cose in cui credeva e le uniche cose che l'avevano aiutata ad andare avanti in quel luogo di merda. 

<<Mal>>, disse la donna quando sentì i passi di sua figlia alle sue spalle. La ragazza dai capelli viola smise di camminare, fermandosi ed aspettando che sua madre la rimproverasse oppure la prendesse a schiaffi. Era particolarmente nervosa da un paio di giorni- da quando le aveva annunciato la morte di Grimhilde, ad essere precisi- e se la prendeva con Mal, come se lei avesse delle colpe per la morte di quella povera dannata. E poi, da quando in qua a sua madre importava la morte degli idioti sull'Isola? 

<<Sì, madre?>>, chiese. La fata vestita in nero si voltò, rientrando in casa. I loro occhi verdi si incontrarono e la donna le mostrò un piccolo ghigno divertito. Le poggiò lo scettro sotto il mento, costringendola a piegare il volto e mettere la guancia a disposizione della sua mano violenta. 

<<Sei in grado di tenere Zavon a bada per un'altra giornata e dire ai tuoi cagnolini di non mordere gli ospiti che arriveranno quest'oggi? Ci teniamo a fare bella figura>>, sussurrò bruscamente. Mandando delle persone ad indagare, Mal aveva scoperto che il piccolo Zavon aveva una cotta per la figlia di Madre Gothel. Ginny faceva parte del suo gruppo, perciò le aveva ordinato di giocare con il ragazzo e tenerlo impegnato mentre si riprendeva tutto quello che le aveva rubato. Il semplice pensiero della delusione sul suo volto quando avrebbe scoperto che l'affascinante villana l'aveva preso in giro, la faceva sorridere divertita e avrebbe pagato oro per essere con lui e vedere il momento esatto in cui si rendeva conto che era tutta una farsa. 

<<Se sapessi meglio di cosa si tratta, potrei dare delle direzioni ancora più precise>>, provò a negoziare al ragazza, alzando le spalle. Malefica inarcò un sopracciglio, come a chiederle silenziosamente di provare a ripetere quello che aveva detto.

<<Terrò a bada il ragazzino e mi assicurerò che si comportino tutti bene...per quanto bene possano comportarsi>>, mormorò, roteando gli occhi.

<<Non roteare gli occhi con me, non sono una delle mocciose che lavorano per te>>, sbottò, colpendola alla guancia. Mal chiuse gli occhi, strinse la mascella e represse un gemito di dolore. Faceva sempre male quando la prendeva a schiaffi, anche se credeva che prima o poi si sarebbe abituata ai suoi colpi meschini. Abbassò la testa, lasciandole comprendere che aveva il controllo completo della situazione. 

Once upon a time(there was no happily ever after)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora