Once upon a time(there was no happily ever after)

Capitolo quaranta

Adam grugniva in preda al dolore, cercando inutilmente sollievo contro il dolore che provava alle braccia. Non c'era modo di sapere da quanto tempo fossero stati chiusi in quelle prigioni, ma era sicuro che per un periodo di tempo avrebbe faticato molto a muovere gli arti superiori. Il dolore era lancinante, i muscoli bruciavano e diventava sempre più difficile restare sveglio. Alla sua sinistra, Belle aveva perso quella battaglia contro il dolore e la testa pendeva verso il basso; quel volto dolce coperto dai capelli castani che ricadevano disordinatamente in avanti. Ben, invece, guardava con sguardo perso le celle. Sembrava quasi che non avesse ancora superato il momento in cui sua sorella li aveva lasciati lì in trappola, dopo aver dimostrato loro di possedere dei poteri magici. 

<<Audrey!>>. L'urlo di Aurora squarciò il silenzio, mettendo subito in allerta i due sovrani nella cella. Padre e figlio si lanciarono un'occhiata preoccupata, ma non ebbero tempo per comunicare tra di loro, poiché altre urla accompagnarono quello della donna.

<<Elsa!>>.

<<Lonnie!>>, seguito poi da: <<Mulan!>>.

<<Jane!>>.

Poi la loro cella venne aperta con un fastidioso cigolio e due figure fecero il loro ingresso. L'oscurità rese impossibile, in un primo momento, distinguerle, ma successivamente la torcia che si trovava fuori la loro prigione venne accesa con un cenno della mano e Adam ringhiò, alternando lo sguardo tra Mal ed Evie. 

<<Cosa hai fatto a mia figlia?>>, urlò l'uomo. Probabilmente, dopo aver sentito le urla disperate dei suoi fedeli sovrani, non avrebbe dovuto dire proprio quelle parole (dopotutto, era appena stato reso molto chiaro che le mura fossero abbastanza sottili da permettere a tutti di udire cosa succedesse nelle altre celle). Ma era un problema di cui si sarebbe preoccupato in secondo momento.

<<Tu cosa pensi che le abbia fatto?>>, chiese Mal, aprendosi in un ghigno divertito. Evie camminò per la cella, avvicinandosi a Belle. Prese il volto della donna tra le mani in maniera quasi amorevole, spostandole persino una ciocca di capelli dal volto. Successivamente, però, le diede un forte schiaffo, che portò gli occhi della donna ad aprirsi in maniera sconvolta. Allarmata si guardò intorno, prima di portare tutta la sua attenzione su sua figlia. 

<<Qualcosa le hai fatto di sicuro! Mia figlia non avrebbe mai preso a schiaffi sua madre. O mi avrebbe tradito usando la magia. Qualsiasi cosa tu le abbia fatto, troveremo un modo per venirne fuori e pagherai per questo>>, disse lui. Gli occhi di Belle sembrarono addolcirsi a quelle parole, come se finalmente avesse trovato la soluzione di un mistero e sembrò dimenticare la rabbia che pochi secondi prima era stata indirizzata a sua figlia. 

<<Evie...>>, sussurrò la voce di Ben. Il verso stridulo che emise fu abbastanza per ottenere l'attenzione della ragazza, che si voltò verso di lui e sembrò dimenticare la presenza delle altre persone in quella cella. Lei gli sorrise, prima di muovere la mano e far cadere le catene che lo tenevano fermo contro il muro. Come si aspettava, il re cadde a terra, troppo debole per potersi mantenere in piedi a causa della stanchezza. 

<<Andiamo, mio caro. Io e te abbiamo delle cose di cui discutere>>, disse la figlia di Grimhilde, poggiandogli una mano sulla spalla. Una nuvola di fumo blu, che si era già formata nelle altre celle, fece la sua apparizione anche in quella e una volta che si dissolse, i due ragazzi non erano più lì. 

<<Ti ucciderò>>, mormorò Adam, guardando Mal con occhi assetati di sangue. La ragazza dai capelli viola sembrò emozionata da quelle parole, ma decise di ignorarlo. Invece, si avvicinò alla donna, lanciandole un'occhiata sinistra. Prima che l'uomo potesse parlare di nuovo, Mal gli tolse la voce con un movimento della mano. Cominciò allora il rumore fastidioso del tintinnio delle catene, chiaro segno che Adam stesse cercando di ottenere la sua attenzione in preda all'ennesimo attacco di furia. Doveva ammettere che fosse abbastanza forte, se continuava a lottare nonostante aver passato un giorno rinchiuso e incatenato.