Capitolo 1

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Elena

"Sono contenta che la nuova scuola sia bella" mi disse Teresa sorridendomi attraverso lo schermo del cellulare "Ma qui a si sente la tua mancanza. Marco la sera si lamenta di essere solo con me e Matteo, dicendo che gli manchi. Sta provando ad inserire nuove persone nel nostro gruppo ristretto, ma nessuno gli va mai bene"
"Poverino" feci "Eppure ha un sacco di amici"
"Infatti spesso esce con loro e non con noi. Vuole darci la nostra privacy e non vuole fare la candelina. Però lo capisco..." fece un sospiro "Non mi hai sostituita con una nuova amica, vero?" sembrava che scherzasse, ma infondo infondo sapevo che era seria.
"Macché" feci "La scuola sarà pure bella come edificio, ma se parliamo di persone..."
"Antipatiche?"
"Stronze e perfide. Le ragazze soprattutto, peggio di Stella"
"Mi dispiace, Elena. Ma anche nella tua classe?"
"C'è una sola ragazza che mi sembra simpatica, ma è molto timida, non parla con i suoi compagni di classe che conosce da cinque anni! Di certo non parlerà con me"
"E da cosa lo hai capito che è simpatica?"
"In queste sue prime settimane di scuola ci sono state almeno quattro discussioni, riguardo alle interrogazioni e a qualcos'altro che non ricordo... Questa ragazza, Anna, interveniva poche volte e quando parlava, emergeva la sua maturità e anche intelligenza. In più non è una di quelle figlie di papà, si vede"
"Prova a fare amicizia, almeno non starai sola quest'anno"
"Non voglio stare a Milano, Teresa" ammisi "Stare con i miei genitori è stressante: non parliamo mai e se lo facciamo litighiamo"
"Ma un tempo andavi d'accordo con loro"
"Dalla morte di Valentina non è più così, poi si sono trasferiti a Milano, non hanno avuto la decenza di venire a Firenze nemmeno per il mio compleanno e ora pretendono che io debba dimostrare loro che sono felice di stare qui"
"Ma perché ti hanno fatta trasferire?"
"È complicato, per tutte le stupidaggini che ho fatto nell'ultimo periodo..."
"La gita ad Amsterdam..." vidi il suo sguardo di rimprovero sullo schermo del cellulare "Scusa, non ti voglio far stare peggio..."
"Ormai..." scrollai le spalle e mi stesi sul letto, tenendo con le mani il telefono e puntandomi in viso.
"Lui lo hai sentito?"
"Qualche giorno fa"
"Ma..." si vedeva che era in difficoltà: non sapeva se chiedere quello che stava per domandare "State insieme?"
"Si" dissi poco convinta "Si stiamo insieme, ma è... Difficile. Non lo vedo dalla fine della scuola"
"E tu come ti senti a riguardo?"
"Triste" dissi in un sospiro, cercando di bloccare le lacrime "Mi manca terribilmente. All'inizio pensavo che ci saremmo sentiti vicini anche se lontani, ma temo che..." non volli concludere la frase, Teresa aveva capito "Sono stanca, ci sentiamo domani?"
"Si, ma non fare come al solito tuo che poi non mi chiami"
"Ma io ti chiamo!"
Lei alzò gli occhi al cielo, poi mi sorrise salutandomi e chiudemmo la chiamata. Appoggiai il telefono sul comodino di quella stanza che non sentivo mia. Quella stanza quasi spoglia, vuota, perché mi ero rifiutata di personalizzarla, non considerando quell'appartamento come casa mia.
Casa mia era a Firenze, con mio fratello. Casa mia era dove c'era Teresa. Ma soprattutto, casa mia era dove c'era Stefano, ma mi sentivo come se mi avessero sfrattata.
Stefano era così lontano da me, persino quando parlavamo percepivo un allontanamento continuo. Molti avrebbero pensato: la lontananza fa brutti scherzi, non sai mai cosa fa la tua metà.
Non era quello il mio problema, perché mi fidavo ciecamente di Stefano, ma il problema era che non lo sentivo fisicamente vicino a me da troppo tempo e non mi bastavano quei cinque minuti in cui parlavamo la sera ogni tanto.
Poi però ricordavo a me stessa che lo amavo e che lui amava me. Ce l'avremmo fatta. Questo periodo sarebbe passato, o almeno così speravo.
Chiusi gli occhi e provai a rievocare i ricordi dei nostri momenti di maggiore intimità, ma la porta della camera si spalancò e mi misi a sedere immediatamente "Ti costa tanto bussare?" chiese scocciata a mia madre.
"Volevo assicurarmi che tu fossi a casa e che non fossi uscita di nascosto" disse mia madre, ed io divenni curiosa di sapere quale ragionamento avesse fatto per pensare una cosa simile "E con chi dovrei uscire?" feci "Tutti i miei amici sono a Firenze"
Lei come risposta scrollò gli occhi e biascicò un "Buonanotte" quasi incomprensibile.
Avrà avuto una giornata faticosa a lavoro ipotizzai, poi realizzai che mia madre faceva così anche di domenica quando non lavorava.
Solo un anno. Mi ripetevo. Solo un anno. Poi sarei potuta andare via in una qualsiasi città italiana all'università, da sola, indipendente.
Iniziai ad addormentarmi, nonostante fossero soltanto le dieci di domenica sera. Non ero realmente stanca, ma ci tenevo a far passare velocemente tutti i giorni della mia permanenza a Milano. In questa stanza, su questo letto, ci dormiva Valentina, ma dopo la sua morte i miei genitori avevano buttato via tutto, persino le lenzuola che si era scelta.
Milano era una bellissima città, ma me la sarei goduta di più se fossi stata solo con mio fratello o, perchè no, per conto mio. Sapevo già che all'università non avrei studiato qui, perchè significava restare con i miei genitori per ancora un po' di anni. Loro stessi mi avevano detto di scegliere l'università che volevo e che l'avrebbero pagata ma, in modo implicito, mi avevano fatto capire che Milano non era tra le loro preferenze ed io mi trovavo perfettamente d'accordo.
Il telefono iniziò a vibrare sul comodino e considerai l'idea di non rispondere chiunque fosse, poi però osservando il display vidi il nome di Stefano. Esitai un po', ma alla fine risposi "Ehi"
"Ehi" mi mancava la sua voce "Come sta andando?"
"Bene" risposi in modo automatico, non volevo farlo preoccupare o fargli credere di non potercela fare a stare da sola "Lì a Firenze, invece?"
"Bene" sembrava un po' più freddo dall'ultima volta che ci eravamo sentiti, ma forse era solo stanco "Mi mancava sentire la tua voce" confessai "E mi manchi tu"
"Anche tu mi manchi" sospirò "Davvero tanto, ma non possiamo deprimerci ogni volta che ci sentiamo, no?" fece una risata forzata e riconobbi il suo tentativo di allentare la tensione.
"No, infatti" mi sedetti al bordo del letto e poggiai i piedi a terra, mantenendomi la fronte con la mano libera.
Ci fu un silenzio in cui nessuno dei due sapeva più che dire.
"Devo andare ora" dissi quasi sussurrando "Ma ci sentiamo domani, vero?"
"Certo" speravo che intendesse davvero quello che diceva "Ti amo, Elena"
"Anche io" chiusi immediatamente la chiamata e mi stesi sul letto, cercando di trattenere le lacrime.

Amore Proibito 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora