Capitolo 17

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Elena
Avere Mancini l'ultima ora del sabato e la prima ora del lunedì di certo non era nella lista delle mie cose preferite, soprattutto da quando Anna aveva cambiato classe essendosi stancata delle prese in giro dei nostri compagni di classe. Ormai era quasi l'una meno dieci ed io mi stavo abbandonando al sonno mentre lui spiegava, anche per via delle poche ore di sonno dovute allo studio fino alle due di notte di letteratura latina, per un compito in classe che non c'era nemmeno stato perché la professoressa di era dimenticata i compiti a casa. Inoltre, avevo un mal di pancia terribile.
Gli occhi celesti di Mancini penetravo chiunque guardassero con una durezza che mi era ignota nello sguardo di Stefano: nonostante lo avessi visto qualche volta veramente arrabbiato, il suo sguardo non diventava mai veramente freddo, ma manteneva un po' di calore. Invece gli occhi di Mancini sembravano il Circolo Polare Artico.
Iniziai a sentire davvero caldo, così mi tolsi la felpa rimanendo con una maglietta a maniche corte bianca.
Mantenni gli occhi aperti a fatica, ma proprio nel momento in cui sbadigliavo, Mancini mi guardò "Ricci, se la lezione ti annoia puoi anche andartene"
Avrei voluto alzarmi e uscire dall'aula, ma invece biascicai delle scuse e tornai a fingere di essere interessata a quel che diceva, ma non tornò a spiegare "Sai dirmi almeno che giorno è oggi, Ricci?"
Lo guardai confusa mentre una fitta allo stomaco mi fece impallidire "Il 14 dicembre"
"Ah, bene Ricci" alzò un angolo della bocca "E quando è la verifica?"
"Il 16 dicembre"
"Allora vedi di prestare attenzione perché ho come l'impressione che troverai qualche difficoltà nel compito"
La mia compagna di banco ridacchiò e io guardai furente Mancini, però per non peggiorare la situazione non risposi e mi limitai a guardarlo male, mentre venivo assalita da un brivido di freddo improvviso.
"Come stavo dicendo..." Mancini riprese a parlare ma proprio in quel momento venni scossa da un'altra fitta e poi ebbi la sensazione di vomitare. No, non era una sensazione, dovevo proprio vomitare.
Mi alzai in fretta coprendomi la bocca con la mano e corsi fuori, diretta verso il bagno più vicino.
La voce di Mancini si disperse mentre io mi allontanavo, ma non riuscii a capire cosa mi stesse dicendo. Una volta arrivata davanti ai bagni, non riuscii a distinguere quale fosse quello dei ragazzi e quello delle ragazze, così entrai in uno a caso.
Non appena trovai un water libero, mi piegai e vomitai, maledicendomi per aver mangiato quell'hamburger scadente del fast food vicino casa la sera precedente solo perché ero sola e non sapevo che mangiare.
Sicuramente quel water aveva più germi del mio vomito, ma avrei fatto un bagno nel disinfettante a casa, ora volevo solo alleviare quel dolore alla pancia che peggiorava. Iniziai di nuovo a sentire caldo e freddo contemporaneamente e nel frattempo provavo a scostare i capelli. Erano lunghi solo fino alle spalle, ma davano comunque fastidio.
"Elena? Tutto bene?" per un solo secondo volli illudermi che quelle parole venissero da Stefano, ma invece era Mancini.
"Questo è il bagno delle ragazze" bofonchiai facendo un gemito.
"Invece è il bagno dei ragazzi" si avvicinò ed entrò nello stretto bagno, abbassandosi per guardarmi.
Istintivamente mi voltai dall'altra parte, quello era un momento in cui avevo bisogno della mia privacy "Se ne vada, per favore. Sto bene"
Allungò una mano verso il mio viso e mi allontanai, facendogli ritrarre la mano. Poi ci provò un'altra volta e quando compresi che voleva solo toccarmi la fronte, non protestai "Sei bollente, ma hai la febbre?"
"No... Cioè... Non lo so" improvvisamente volevo solo accasciarmi a terra "Tanto tra poco usciamo da scuola"
"Ti vengono a prendere i tuoi genitori? Non puoi tornare a casa da sola in queste condizioni"
Non avevo la forza di mentire "No, i miei genitori sono all'estero per lavoro"
Lui abbassò le spalle e mi guardò quasi come se gli facessi pena "Va bene" disse "Allora ti accompagno io a casa"
"No!" protestai "Davvero, non ce n'è bisogno, prendo un taxi e sono a casa in un attimo"
"Elena, devi imparare ad accettare l'aiuto che le persone ti offrono"
Iniziai ad analizzare la situazione e realizzai che non avevo molta scelta, così mi arresi fin troppo subito "Non le creo alcun disturbo?"
"No, non mi crei alcun disturbo"
Annuii piano "Va bene, grazie mille"
Odiavo vivere a Milano: stavo male e dovevo per forza affidarmi ad un professore per tornare sana e salva a casa, perché i miei genitori erano all'estero. A Firenze avrei potuto contare su mio fratello, su Stefano, su Teresa o su chiunque altro. A Firenze non ero sola, qui invece sì. Sapevo che i miei genitori se fossero stati qui a Milano sarebbero venuti, ma loro non c'erano e io in quel momento avevo bisogno di loro.
"Te la senti di ritornare in classe e fare lo zaino? O vuoi che lo faccia fare a qualcun altro?"
Scossi la testa debolmente "No, lo faccio io"
"D'accordo, allora ti aiuto ad alzarti" mi tese le mani ed io le afferrai, rimanendo stupita dal loro calore: quelle di Stefano erano sempre fredde, ormai mi ero abituata. Una volta in piedi mi allontanai e cercai dentro di me la forza per arrivare all'aula (barcollando).
Non mi accorsi nemmeno che la campanella era già suonata e i miei compagni di classe stavano uscendo, superandomi senza nemmeno chiedermi come stessi. Che belle persone.
Mancini raccolse le sue cose e si mise la giacca. Iniziai a mettere i libri nello zaino, però avevo di quel senso di nausea che mi stordiva. Ebbi un capogiro e mi mantenni allo schienale della sedia, facendo un gemito "Credo di essermi presa un virus"
"Lo vedo, questo è il periodo" non appena chiusi lo zaino, mi infilai la felpa e la giacca, per poi mettermi lo zaino pesante sulle spalle.
Mancini, però, mi bloccò e si mise il mio zaino sulle spalle. Apprezzai il gesto. Apprezzai la sua gentilezza che non sapevo avesse.

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