Capitolo 48

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Elena

Il mio odio per le mie compagne di classe era davvero aumentato. Quasi quasi preferivo Stella a loro.
Ovviamente Stefano non poteva non essere l'argomento del giorno e sentii i loro apprezzamenti su di lui prima ancora di avere il tempo di togliermi la giacca.
Il fatto che le prime due ore avessimo supplenza (per mia fortuna, dato che non avevo fatto i compiti di matematica), non fece altro che aumentare il tempo in cui fui costretta a sentirle parlare del professore Ferrari. I minuti passavano, ma loro non smettevano di parlare.
Provai a concentrarmi e a fare i compiti delle tre ore successive, così non sarei finita nei guai, ma non ascoltarle si rivelò più difficile del previsto "Che ne dite se usciamo dalla classe? Quel prof lì è mezzo addormentato, non baderà nemmeno a noi che usciamo" stava dicendo Sofia.
"Ferrari ora è nell'aula magna, se usciamo alla fine della seconda ora potremmo vederlo uscire per una pausa" Chiara era in modalità stalker.
"Ieri non è uscito dall'aula magna" ricordò alle due Ada "A proposito di ieri"
Proprio quando decisi di smettere di ascoltare, fui chiamata in causa "Elena!" la voce di Ada era più fastidiosa del solito "Ieri ti abbiamo vista andare via con Ferrari"
Alzai la testa dal libro di latino e mi voltai verso di lei "E quindi?"
Chiara inarcò un sopracciglio tutto disegnato e colorato "E quindi? Dicci cosa è successo!"
"E chi vi dice che io voglia raccontarvelo?" le mie risposte brusche erano più che giustificate e non mi sentivo in colpa.
Sofia alzò gli occhi al cielo e si sedette sulla sedia insieme a Chiara, mentre Ada rimase in piedi "Che avete fatto che non vuoi dirci?"
"Non abbiamo fatto assolutamente niente" perchè dovevo giustificarmi con loro? "Abbiamo solo parlato"
"Lo hai chiamato Stefano"
"Ma è un interrogatorio questo?" dissi prima di tornare a ripetere/studiare latino.
"No" fece Chiara con un tono di voce falsamente più dolce "Siamo solo curiose, ci hai detto che era il tuo professore e lo hai chiamato per nome. Certo, non mi dispiacerebbe chiamare Ferrari o anche Mancini per nome, però" ma allora avete un ossessione per gli insegnanti.
"St-" mi bloccai, non sopportando quella conversazione "Non vi devo spiegare niente, lo chiamo per nome perchè lo conosco bene e non è più il mio professore, quindi non c'è niente di male nell'avere un rapporto con lui!" ripensai alle mie parole e mi pentii di aver parlato.
"Rapporto?" gli occhi di Ada si illuminarono "Che tipo di rapporto?"
"Nessuno!" alzai la voce e alcuni si voltarono verso di me, inclusi Fabio e i suoi amici che stavano sghignazzando "Ricci, tutto bene?" quando Fabio parlò mi venne la voglia di tirargli un pugno.
"Fatti gli affari tuoi" dissi un secondo prima che il supplente mi riprendesse con un semplice "Signorina, abbassi la voce!"
Ada ritornò all'attacco "Che rapporto?"
"Ma che volete da me?" dissi quasi esasperata. Avevo già abbastanza cose a cui pensare e la rabbia e la frustrazione accumulate nelle ultime ventiquattro ore non giocavano a mio favore. Se non avessi risposto, non mi avrebbero lasciate in pace "D'amicizia. Un semplice rapporto d'amicizia"
"E la tua classe a Firenze è mai andata in gita con lui?"
"Due volte" ormai avevo rinunciato a studiare latino, mi sarei giustificata nel caso, anche se quel giorno la professoressa avrebbe dovuto spiegare.
"E non è mai successo niente? Nessuna di voi ha mai provato a fare sesso con lui?"
"Ma non lo so! Non sono fatti né miei" ipocrita dissi a me stessa "Né vostri. Poi che vi interessa? Lo conoscete appena e pensate che sia l'uomo perfetto, pensate di sapere tutto di lui, credete di sapere ciò che gli piace o non gli piace, il suo carattere e la sua personalità. Non sapete niente di tutto questo e potete anche piantarla di fantasticare perchè non accadrà mai niente tra lui ed una di voi!" quello sfogo mi era servito: sentivo il petto più leggero nonostante avessi ancora tanta rabbia e tristezza dentro di me.
"Ma-" sentii Sofia che iniziava a chiedermi qualcosa e mi alzai di scatto chiedendo al supplente di andare in bagno. Dopo aver ottenuto il permesso, uscii di corsa dall'aula. Volendo camminare il più possibile, mi diressi al bagno più lontano dalla mia classe.
Quelle tre ragazze erano insopportabili. Perchè dovevano per forza fare dei commenti su Stefano? Una di loro era pure fidanzata e stava lì a fare commenti come "Se andassi in gita con quel professore Ciò che accade in albergo rimane in albergo"
Ed io non potevo dire che stava con me. Non potevo. Perchè loro sapevano che era fidanzato da un paio d'anni e lui un paio d'anni fa era il mio professore. Dire che io ero la sua fidanzata lo avrebbe messo nei guai e quindi ero costretta a rimanere in silenzio e a sopportare tutti quei discorsi indecenti. E la cosa peggiore era che Stefano non voleva capire cosa tutto ciò significasse per me.
"Ciao" alzai la testa di scatto quando sentii qualcuno che mi parlava.
Stefano era davanti a me, con l'aria di uno che aveva passato la notte in bianco. Il pensiero che nessuno dei due fosse nelle sue condizioni migliori mi confortò un po' "Ciao" gli dissi io.
"Buon compleanno" entrambi ci eravamo irrigiditi e allontanati.
"Grazie"
Guardai l'orologio sul muro alle sue spalle: stava per suonare la campanella della terza ora. Era passato tutto quel tempo senza che io me ne accorgessi. Dovevo scusarmi e chiarire. Non ero fatta per portare rancore e tutto quello mi stava uccidendo.
Proprio mentre stavo per aprire la bocca per parlare, Mancini uscì da un'aula di quel corridoio e non appena mi vide mi salutò "Buongiorno, Elena!"
"Buongiorno, professore" provai a ricambiare il sorriso, ma probabilmente mi venne fuori una smorfia.
Quando mi voltai di nuovo verso Stefano, aveva un'espressione strana e stava aggrottando le sopracciglia.
"Che c'è?" gli chiesi mettendomi sulla difensiva.
"Quel professore" sussurrò per non farsi sentire, anche se eravamo soli nel corridoio dato che Mancini era entrato in un'altra aula "È solo il tuo professore, vero?"
La prima cosa che provai fu la confusione, poi capii le sue parole e mi offesi "Solo il fatto che tu debba chiederlo mi disgusta"
"È che" si passò una mano tra i capelli "Ieri ho sentito che è stato a casa tua e-"
"Mi ha accompagnata, perchè stavo male ed ero sola" enfatizzai l'ultima parola "Mi ha aiutata"
"Scusa" fece lui "Mi dispiace, è che non ho visto il modo in cui ti guarda e sono impazzito" il pensiero che io potessi averlo tradito non doveva nemmeno passargli per la testa.
Ormai la mia voglia di scusarmi con lui era andava via, così continuai a camminare, ma lui mi bloccò per un polso "Elena"
"Lasciami" dissi a denti stretti.
"Parto oggi pomeriggio, alle 18"
"Quindi?"
"Voglio salutarti"
"Salutami ora" gli dissi arrabbiata.
"Elena..."
"Ciao, Stefano. Fai buon viaggio" ora la rabbia e la tristezza si erano alleate, stavo per piangere lacrime di rabbia.
La sua mano stringeva ancora il mio polso. Non mi stava facendo male, ma quel contatto fisico con lui mi uccideva.
Il fatto che lui aveva la mia stessa espressione disperata non mi aiutava. Stavamo facendo una scenata in quel corridoio del mio liceo, ci mancava solo che qualcuno ci vedesse.
Con uno strattone mi liberai dalla sua stretta ed entrai nel bagno più vicino, guardandomi allo specchio mentre decine di lacrime mi bagnavano il viso. Aspettai una decina di minuti prima di uscire, per essere sicura che Stefano fosse ritornata nell'aula magna.

Passai il resto della giornata a pensare alle parole di Stefano.
Parto oggi pomeriggio, alle 18.
Ero infuriata, ma l'idea di non andare mi rattristiva più dell'idea di andare. Non c'era una logica dietro quei miei pensieri, ma per quanto fossi arrabbiata con lui, sapevo bene che dentro di me desideravo andare a quella stazione dei treni.
Non appena suonò la campanella della quinta ora uscii di fretta e furia, per evitare di incontrare Stefano di nuovo. Avevo deciso che sarei andata a salutarlo alla stazione, ma non volevo vederlo prima di allora. Non appena tornai a casa mangiai velocemente quello che mia madre mi aveva lasciato per pranzo, mi lavai i denti e feci i compiti. Non avevo tempo per cambiarmi e ci avrei messo troppo a scegliere cosa mettermi, perciò dopo essermi data una rinfrescata in bagno, uscii di casa e andai alla stazione dei treni il più velocemente possibile. Quando arrivai alla stazione mancano venti minuti alle sei, ma impiegai dieci minuti per capire dove fosse il treno di Stefano.
Non appena lo vidi, con gli occhiali da sole che gli coprivano gli occhi e il trolley ai suoi piedi, iniziai a pentirmi di essere venuta. Cosa ci facevo lì? Improvvisamente sentii molto caldo e fui contenta di non essermi portata dietro la borsa, mettendo il telefono, il portafoglio e le chiavi nella tasche con zip della mia giacca.
Non feci in tempo a ripensarci, perchè Stefano iniziò a guardarsi intorno e mi vide. Si tolse gli occhiali da sole come per assicurarsi che fossi io e non qualche strano miraggio.
Mi avvicinai piano e lui fece lo stesso.
"Sei venuta" fece sorpreso, non credendo che io fossi lì davanti a lui.
"Non so perchè sono venuta" ammisi, guardandomi le converse.
C'era tensione, molta tensione. E nessuno di noi due sapeva come continuare o concludere quella conversazione.
Le porte del treno dietro di lui, che era appena arrivato, si aprirono. Era ora di andare
"Niente saluti drammatici" gli dissi io infine, ricordando il modo in cui ci eravamo salutati quando dovevo andarmene da Firenze e tornare a Milano. Erano passati solo pochi giorni da allora, eppure mi sembrava passato un secolo.
"Niente saluti drammatici" mi fece l'eco lui. E poi salì sul treno, lasciando quella città.

Tornai a casa mentalmente e fisicamente distrutta e, nonostante fossi felice all'idea di una cena in famiglia, volevo solo dormire e piangere. Piangere e dormire. Magari fare le due cose contemporaneamente.
Quando i miei genitori tornarono dal lavoro, continuarono a scambiarsi occhiatine strane, fino a quando mia madre non si avvicinò a me e mi invitò a sedermi sul divano. L'ultima volta che avevano fatto così, stavano per annunciarmi la morte di mia sorella. Cosa poteva essere successo ora? Luca stava bene? Sì, sì che stava bene. Mi aveva chiamata prima per farmi gli auguri, ripetendomi che non vedeva l'ora che io ritornassi lì a Firenze. Gli avevo detto che le prossime vacanze erano quelle di carnevale, perciò avrebbe dovuto aspettare un po', ma lui aveva risposto in modo vago, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa di troppo. Cosa poteva essere successo?
"Tesoro" fece mia madre sedendosi accanto a mio padre, che mi guardava nervoso "Io e tuo padre ne abbiamo discusso a lungo negli ultimi giorni e siamo d'accordo su una cosa: costringerti a rimanere qui senza i tuoi amici e i tuoi compagni di classe ci sembra una punizione inutile"
"Cosa?" forse avevo capito dove volevano andare a parare, ma volevo sentirlo a voce alta.
"Abbiamo deciso che, se tu lo vorrai, potrai tornare a Firenze per il secondo quadrimestre di scuola" mia madre mi guarda in attesa di una reazione.
"Cosa?" ripetei io, incredula.
"Puoi tornare a casa, se lo desideri" mi spiegò mio padre, pensando che io non avessi capito.
"Sì" lo dissi senza pensare, in automatico "Sì, voglio tornare a casa"
"Bene!" mio padre era felice "Ci mancherai, ma promettiamo che verremo a trovarvi, molto spesso. E penseremo noi a tutto, tu pensa a finire questo quadrimestre, gli ultimi giorni di gennaio tornerai a Firenze per sistemarti e il primo febbraio tornerai a scuola"
"Grazie" dissi "Grazie" scoppiai a piangere e abbracciai i miei genitori. Le lacrime di gioia, però, si esaurirono subito perchè realizzai che tornare a Firenze, equivaleva a riavere Stefano come professore.

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