Capitolo 47

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Stefano

Le parole di Elena mi avevano ferito.
Mi avevano ferito così tanto che non riuscivo a respirare. Continuai a camminare dopo averla lasciata nell'auto senza una meta perchè non volevo ritornare in quella vuota stanza d'albergo, dove nemmeno ventiquattro ore prima io ed Elena ci stringevamo.
Io avevo sbagliato, ne ero consapevole: era stato vile e stupido da parte mia non dirle subito la verità, pensando che non l'avrebbe accettata. Lei era arrabbiata perchè le avevo mentito e non potevo darle torto, però le sue parole Dio, quanto facevano male.
Non avevo idea che quelli fossero i suoi veri sentimenti riguardo alla nostra relazione. Non poteva aver detto quelle parole solo perchè era arrabbiata con me.
Però le aveva dette e non poteva rimangiarsele. Si vergognava davvero di amarmi? Aveva davvero così tanti dubbi sulla nostra relazione? Io ero convinto di sapere chi fosse, ma lei non era disposta a dire lo stesso: affermava di non sapere più chi io fossi, ma in realtà con lei io ero me stesso, più di quanto lo fossi con i miei amici o da solo. Sembrava quasi che lei non volesse più stare con me. Ma il problema era che Elena era diventata una parte di me, una parte di chi ero, e come si dimentica una persona che ti è entrata così dentro?
La sera del primo gennaio, a cena da suo fratello, mi aveva detto che non avrebbe mai smesso di amarmi. Era seria?
mi risposi, volendo convincermi.
Il mio telefono iniziò a squillare nella tasca ed io mi fermai, prendendolo e fissando il display: Elena mi stava chiamando. Non le risposi, non volevo risponderle. Rimasi a guardare la foto allegata al suo numero di cellulare. Una foto che le avevo scattato sul balcone di casa mia, con lo sfondo di un cielo che si tingeva di rosa e arancione mentre il Sole tramontava. Una foto di un momento felice, che mi servì come appiglio per non crollare lì in mezzo alla strada.

Elena

Mi odiavo. Mi odiavo così tanto che avrei voluto prendermi a schiaffi da sola. Quando tornai a casa tutta in lacrime i miei genitori non erano a casa, per mia fortuna. Il suo sguardo Avevo visto qualcosa spezzarsi in lui dopo le mie parole.
Ero ancora arrabbiata con lui perchè mi aveva mentito e perchè aveva pensato che sarei stata così irragionevole da infuriarmi perchè anche la mia classe partecipava a quello stupido incontro. Tuttavia, la tristezza e la frustrazione prevalevano sulla rabbia e non riuscii a non piangere ancora.
In quel momento di debolezza, presi il telefono e provai a chiamare Stefano sperando che mi rispondesse. Quando scattò la segreteria mi sentii ancora peggio.
Non riuscii a fare nessun compito per il giorno dopo e l'unica cosa che feci fu stendermi sul letto e fissare il soffitto vuoto, cercando di riprendere il controllo di me stessa. Sentii i miei genitori rientrare a casa e mi alzai per salutarli e augurare loro la buonanotte, con la scusa che ero stanchissima e volevo riposare.
La rabbia continuò a farsi sentire e mi arrabbiai di nuovo con Stefano perchè non mi aveva detto la verità. Era un ciclo continuo: tristezza e rabbia si alternavano regolarmente.
Quando mi addormentai ero entrata di nuovo nella fase della tristezza, ma quando il mattino dopo mi svegliai, ero di nuovo arrabbiata perchè era il mio compleanno e avevo il regalo di Stefano sul comodino accanto al letto.
Volevo rimanere a letto tutto il giorno, ma non era possibile. Fui costretta ad alzarmi dolorante per il ciclo e, dopo essermi lavata, iniziai a vestirmi, scegliendo una felpa rosso scuro senza zip e senza cappuccio e dei jeans scuri. Mi infilai le converse e pettinai al meglio i capelli. Coprii le occhiaie con gli occhiali da sole, mi misi la giacca, lo zaino in spalla e uscii dalla camera.
Fui bloccata da mia madre che si piantò davanti alla porta "Tesoro! Buon compleanno!" mi abbracciò, era da Natale che non mi abbracciava "Diciannove anni Wow!"
Anche mio padre mi abbracciò, anche se un po' più freddamente "Auguri, Tesoro"
"Grazie" sfoggiai il mio sorriso più falso, ma non perchè non apprezzassi il loro gesto: il mio stato d'animo attuale mi impediva di fare un sorriso davvero sincero. Sentendomi in colpa, provai a rendere più vero quel sorriso.
"Purtroppo dobbiamo rimanere a lavoro per pranzo, però ceneremo tutti insieme questa sera, va bene?" mia madre sembrò sinceramente dispiaciuta.
Annuii "Va bene" provai a sorridere di nuovo "Non vedo l'ora" per colpa di quel nostro momento da vera famiglia, la tristezza scacciò via la rabbia e per poco non mi mettevo a piangere, per fortuna avevo gli occhiali da sole a nascondere i miei occhi lucidi "A che ora tornate a casa? Così mi faccio tornare qui"
"Alle 21 dovremmo essere a casa, ti dispiace?"
"No" replicai "So che lavorate molto, non mi dispiace. Farò un giro per il centro nel frattempo, magari compro qualche libro da leggere" volevo sembrare normale e spensierata, non potevo apparire triste e sola. Prima pensavo che avrei passato la giornata con Stefano, ma era ovvio che non sarebbe andata così "Devo andare" dissi infine "Faccio tardi e ho un'interrogazione alla prima ora"
"Ti accompagno, se vuoi" fece mio padre.
"Ok" anche se all'uscita da scuola sarei rimasta senza auto in quel modo "Andiamo?"
Entrai nell'auto di mio padre e partimmo. Non ho mai avuto grandi conversazioni con lui, però gli volevo molto bene e lui ne voleva a me. La morte di Valentina lo aveva cambiato: era diventato più freddo, ma non ero arrabbiata con lui per questo. Prima ero arrabbiata con i miei genitori perchè se n'erano andati, mi rifiutavo persino di andare a trovarli, però ora non ce l'avevo più con loro. Io avevo perso una sorella e loro una figlia, dovevo prevedere che le cose non sarebbero state come prima. Però forse ora stavano andando avanti anche loro, magari potevamo essere di nuovo una famiglia.
"Elena" la voce bassa di mio padre mi fece sobbalzare.
"Sì?"
"Sono fiero di te" aveva gli occhi puntati sulla strada, mentre il mio sguardo era fisso su di lui "Per quello che hai affrontato e per come sei diventata. Non hai lasciato che ti distruggesse. E sono fiero di te per questo"
Ora stavo definitivamente piangendo. Mi tolsi gli occhiali da sole perchè iniziarono a darmi fastidio.
"Scusaci" continuò lui "Se non siamo stati i genitori che ti meritavi"
"Non fa niente, papà. Va tutto bene"
"Ci siamo allontanati parecchio, io, tu e la mamma. Ti abbiamo costretta con la forza a venire qui a Milano e questo non ha migliorato le cose. Mi dispiace. Non dovevamo costringerti a lasciare i tuoi amici e la tua vita a Firenze"
Ultimamente non ero molto brava con le parole e non sapevo davvero come rispondergli. Pensavo che continuasse dicendomi che sarei potuta tornare a Firenze, ma non disse più niente.
"Ti voglio bene, papà. A te e alla mamma"
Non gli dicevo che gli volevo bene da molto tempo e parve emozionarsi. Si fermò davanti alla scuola, ma prima di uscire dall'auto, mi sporsi verso di lui e gli diedi un bacio sulla guancia seguito da un abbraccio. Il suo sorriso mi diede forza: almeno avevo reso felice qualcuno.

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