28. mi credi stupida e cosa succede dopo domani?

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Dario

Sono secondi interminabili quelli che scandiscono il silenzio tra me e mio padre.
Io cerco in tutti i modi di evitare il suo sguardo, ma papà non demorde.
Per una frazione di secondo mi sento come se i ruoli si fossero ribaltati.
Mi sembra di essere tornato ad anni prima, quando era lui che beccava me a giocare alla Play invece che studiare, mentre nell'ultimo anno sono stato sempre io a scoprirlo mentre cercava inutilmente di nascondere la bottiglia di alcool dai miei occhi.

Per un misero attimo siamo tornati ad essere padre e figlio.
"Quanto pensavi di tenerlo nascosto?"
"Il giusto." Ribatto, continuando imperterrito a non osservare papà negli occhi. Lo so benissimo che mi sta guardando per captare ogni mio minimo segnale e non lo fermo.
Non ho voglia di fermarlo.

"Il giusto." Ripete papà e mi sembra quasi di sentire un lieve accenno di risata nella sua voce.
È per questo che alzo gli occhi e finalmente lo sfido.
"Lo trovi divertente?"
"Molto."
"Non c'è un cazzo da ridere."
Questa mia ultima frase mi porterà a settimane di punizione come minimo, ma ora come ora poco mi importa.

Adesso è papà che cerca di scappare dal mio sguardo, probabilmente pungente e distaccato.
Non l'ho ancora perdonato.
Né lui né mamma.
Lo sanno entrambi, eppure continuano a forzare questa cosa del cercare di andare d'accordo. È una causa persa, ma non ho nemmeno la forza di volontà di dirglielo.

Papà torna a guardarmi negli occhi.
Non ci assomigliamo molto, io e lui.
Forse è per questo che è stato molto più facile staccarmi più da lui che da mamma, perché quando mi guardo allo specchio non vedo lo stesso riflesso dell'uomo che si attacca ad una bottiglia di rum e che non la lascia andare finché non è vuota.
Però certo tratti rimangono, come i lineamenti duri del viso e sono tratti che per quanto voglia, non posso cancellare.

"Vai da lei." Papà esordisce così, con una di quelle frasi fatte da telenovela di terza categoria.
Una parte di me vorrebbe alzare gli occhi al cielo, l'altra vorrebbe andarsene direttamente da questo matrimonio.
"No."
"E perché?"
"Perché ce l'ha con me, non l'hai vista?" Non ci vuole un genio per capire che in questo momento vorrebbe uccidermi.
Se n'è andata sbattendo i piedi e probabilmente maledicendo il mio nome nella sua testa.
Se adesso mi vedesse mi romperebbe la testa per vedere quanto sia piccolo il mio cervello da microcefalo.

Papà ride e io vorrei farlo smettere.
Non c'è davvero un cazzo da ridere continua a pensare la mia coscienza mentre papà si sbellica.
"Non fare l'idiota, Dario. Vai da Nina e parlale e se non vuoi farlo solo perché te lo sta dicendo tuo padre allora fallo perché questo è un consiglio che ti sta dando un uomo che l'amore l'ha capito troppo tardi."

Guardo mio padre cercando di trovare una traccia di bugia nelle sue parole.
Faccio per rispondergli, ma in lontananza si sente il suono delle campane e pochi secondi dopo appare Agnese, col suo vestito rosa confetto che le svolazza attorno.

Mia sorella arriva tenendo in mano un mazzo di fiori, con un sorriso a trentadue denti.
Papà, vedendola arrivare, sembra dimenticarsi della nostra conversazione e si avvicina a lei, regalandole uno dei suoi rari sorrisi.
Tienitela stretta, papà, è l'unica dei tuoi figli che può ancora volerti bene.

Quando Agnese arriva davanti a papà e inizia a raccontargli, tutta felice, di come lei e Mattia abbiano trovato un riccio ferito e l'abbiano portato in un posto sicuro, distolgo lo sguardo, sentendomi ancora una volta di troppo.

"Dario! Vieni anche tu, non hai ancora litigato con Nina, oggi!" È la voce di mia sorella che mi chiama, di una bambina dai capelli biondi che è troppo buona per questo mondo.
"Arrivo." Le rispondo, ignorando le occhiate eloquenti di papà e seguendoli entrambi verso la chiesa.

Ciò che muove l'universo [1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora