29. arrivederci, Rivalago e amore

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I matrimoni sono qualcosa di sfiancante.
Dopo la cerimonia nuziale il rinfresco non è altro che una maledetta tortura.
Zie che non sapevi di conoscere, cugini tedeschi che compaiono dal nulla e bisnonne che pensavi fossero nella tomba già da decenni: sono tutte categorie di persone snervanti che vorresti solo non dover vedere mai più.

Ho scoperto di avere una zia sudamericana che gestisce una catena di automobili e ho parlato con lei per quasi tutta la serata pur di evitare che quella vipera del Freezer mi prendesse e mi portasse in giro a conoscere parenti che non volevo assolutamente vedere.
Alla fine la vecchia megera mi ha obbligato a salutare tutti coloro che in qualche modo sono geneticamente legati a noi Balti e dopo un lungo corteo di saluti mi ha lasciata in pace a starmene per i fatti miei.

Alle due di notte, dopo troppo cibo e troppe canzoni in dialetto ce ne siamo potuti andare a casa. Sono crollata sul letto con una maglietta extra large (l'ho rubata ad Alberto qualche anno fa) addosso perché non avevo nemmeno la forza di mettermi un paio di pantaloncini.

Quando il mio cuscino inizia a tremare inizialmente mi spavento, ma poi ricordo di aver lanciato il cellulare sotto di esso perché oggi devo partire.
"Fanculo." Borbotto mentre prendo in mano il cellulare, leggo un paio di messaggi di Bebe e di Dade e poi persino uno di Mia, che tra l'altro sta diventando sempre più amica di Bebe, che mi chiede se sono pronta per l'esame di greco.
No che non sono pronta, non ho aperto un libro in questi tre mesi.
Sospiro, per poi alzarmi dal letto e vestirmi in fretta e furia. Non è una bella giornata oggi, è per questo che decido di indossare un paio di pantaloncini di jeans e una maglietta nera con su scritto IT'S A BAD DAY.

Finisco di raccattare le mie cose, appoggiandole tutte accanto alla valigia che ho già preparato l'altro giorno.
Odio Rivalago, la detesto con tutto il mio cuore, ma lasciarla mi fa sempre uno strano effetto, come se ogni volta un pezzetto della mia anima si staccasse e facesse il nido qui, assieme ai maledetti galli del contadino Di Giorgio.
Osservo la mia stanza, questa stanzetta costruita in mansarda che ogni estate e ogni inverno diventa la culla dei miei pensieri.
Sorrido a me stessa mentre chiudo la porta e inizio a scendere le scale con le valigie in mano.

So che stanno tutti facendo colazione, lo sento dal blaterare che odo già mentre scendo la scale. Appoggio le mie cose vicino all'ingresso e poi torno in cucina, dove tutti sono troppo intenti a mangiare per fare caso a me.
"Ciao." Dico, sedendomi come al solito tra Mattia e Alberto. Alcuni ricambiano il mio saluto, altri sono troppo intenti a parlare con i parenti che abitano lontano e che si fermeranno qui dal Freezer per qualche giorno, prima di ritornare a casa.

Il mio sguardo, come tutte le volte, cade su Dario, che mi mostra un sorriso sincero, felice.
Mi mordo una guancia per non ricambiare e mi concentro sulla mia fetta di pane e marmellata, ignorando gli sguardi divertiti di Enea, che passano da me a Dario, quelli ancora sconvolti di Alberto e quelli felici di Clarissa.
"Stai meglio?" Mi chiede ad un tratto Mattia ed io gli sorrido per poi lasciargli un bacio sulla fronte a cui lui cerca inutilmente di sottrarsi.
"Sto meglio." Gli rispondo, ed è vero. Quest'estate la permanenza a Rivalago mi ha fatto bene. Non sono poi così contenta di tornare a Milano. Certo, Milano è la mia città, non vorrei abitare da nessun'altra parte, ma a Milano non ci sono i Gori, non c'è la libertà che ho qui a Rivalago, a Milano non c'è Dario.

Finiamo la colazione nel trambusto e alle undici del mattino è ora di partire.
Papà inizia a caricare tutte le valigie in macchina, con l'aiuto di mamma e di Alberto che continua a lamentarsi di quanto pesino.
Mattia sta salutando Agnese da mezz'ora e quindi, siccome tutti gli altri sono impegnati, tocca a me fare il primo round dei saluti.

Fortunatamente tutti i parenti che sosteranno qui per qualche giorno si sono rintanati nelle loro camere, quindi sono rimasti solo il Freezer, i Gori, zia Giuditta e suo marito.
Ovviamente il mio primo obiettivo è la megera. Via il dente, via il dolore, salutiamoci in modo imbarazzato come al solito e chi s'è visto s'è visto.

Ciò che muove l'universo [1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora