Capitolo 2

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Un fastidioso ronzio nelle orecchie, solo questo sentiva Giulia. La voce di Fatima e degli altri infermieri sopravvissuti all'esplosione le arrivava ovattata per colpa di quel maledetto ronzio. La vista era offuscata, non riusciva a distinguere nulla. Per quanto tempo era rimasta svenuta non lo sapeva. Sentiva un forte odore di bruciato, qualcosa che le gocciolava sul viso e il braccio sinistro bloccato. Sbatté più volte gli occhi per cercare di riconoscere qualcosa. Pian piano il ronzio diminuiva, la vista recuperava visibilità e il dolore aumentava. Sollevò di poco il busto, scoprendosi schiacciata a terra, ricoperta di detriti e macerie. Il braccio del braccio sinistro scorgeva solo le dita della mano, provò a muoverle. Ci riuscì seppur a fatica, dato il masso che le schiacciava il braccio. Sentiva la gente urlare dal dolore, e in lontananza il rumore di spari.

- F-Fatima! – provò a chiamare l'amica scoprendosi avere la voce rauca e la bocca impastata. Si schiarì la gola prima di fare un nuovo tentativo.

- Fatima! – chiamò con più voce questa volta.

- S-sono qui! – sentì biascicare l'amica, da dietro le sue spalle, con la voce strozzata dal dolore. "Grazie a Dio!" pensò con un sospiro.

- Stai bene? – chiese poi provando a voltare di poco il busto, sentendo un dolore lancinante alla testa e al braccio.

- Più o meno! – rispose allo stesso modo di prima la ragazza.

- Specifica! – tossicchiò Giulia, strizzando gli occhi dal dolore.

- Credo di avere una gamba rotta e una lacerazione al fianco destro! – disse Fatima, tenendo premuta la mano sulla ferita. – Tu? – chiese di rimando.

- Il braccio sinistro è schiacciato e.... – si tastò la fronte con la mano destra scoprendo la mano imbrattata di sangue. – Ho una ferita alla testa! – concluse tossendo. – C'era qualcun altro con noi qui? – domandò cercando di guardarsi in giro.

- M-Martina! – biascicò Fatima tossendo a sua volta. Giulia annuì con il capo anche se l'amica non poteva vederla.

- Martina! – provò a chiamare. – Martina! – gridò ancora senza avere risposta. Fu allora che Fatima si voltò alla sua destra, vedendo un braccio fuoriuscire da un cumulo di macere e travi di ferro.

- Martina! – chiamò ancora Giulia.

- Giulia fermati! – disse la mora con gli occhi lucidi. – Martina è morta! – sussurrò con le lacrime che scivolavano sul viso.

- No! – gridò Giulia con rabbia. – Non è vero! – disse battendo la mano destra su quel che restava del pavimento.

- Dobbiamo uscire di qui! – fece Fatima autoritaria.

- E come? Tu hai la gamba rotta e io sono bloccata da un braccio! – disse scettica Giulia, mentre le lacrime le bagnavano il viso sporco di polvere.

- Aiuto! Siamo qui! – gridò Fatima con quanta più forza poteva. – Fai come me! – intimò all'amica. Giulia recuperò una pietra delle macerie che la circondavano ed iniziò a batterla contro una trave di metallo che sporgeva.

- Aiuto! – gridavano e lei batteva contro il ferro. – Siamo qui! Aiutateci vi prego! –

- C'è nessuno? – sentirono urlare da quello che una volta era il corridoio che dava alle camerate del personale.

- Sì, siamo qui, aiutateci! – gridò Giulia, poiché Fatima non aveva più forza a causa del sangue che stava perdendo. Sentirono dei passi provenire dalla porta e nel campo visivo di Giulia comparvero due paia di anfibi militari. La ragazza si fece forza e tirò di poco su il busto, per sollevare lo sguardo, ritrovandosi davanti agli occhi il viso del sergente Ferranti.

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