Amore che vieni, da me fuggirai

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Dio mio! Un intero attimo di beatitudine!
Ed è forse poco seppure nell'intera vita di un uomo?...

(Fëdor Dostoevskij - Le notti bianche)


~ Amore che vieni, da me fuggirai ~

"E tu che con gli occhi di un altro colore
mi dici le stesse parole d'amore,
fra un mese, fra un anno scordate le avrai,
amore che vieni, da me fuggirai."


Impazzisci quando ti stringe così.

C'è qualcosa di primordiale, di rabbioso, di disperato nel modo in cui serra le cosce attorno ai tuoi fianchi, quasi temesse di vederti scomparire all'improvviso. Sembra non averne mai abbastanza, di te, dei tuoi sospiri rotti, dei tuoi affondi decisi.

Stare dentro di lui è un'esperienza mistica, quanto di più vicino all'estasi tu abbia mai assaporato – niente, nessuno, ha una presa tale sulla tua mente, sulla tua coscienza. È il legame che vi unisce la vera magia, è lui l'incantesimo più potente, la maledizione irreversibile, inevitabile, dalla quale non puoi – non vuoi – staccarti, liberarti, scioglierti.

Gellert.

Le sue iridi, lucenti d'ambra e acquamarina, scintillano nella penombra simili a schegge di fuoco, e ti scrutano impudiche, ferine, ti trafiggono, ti rivoltano dall'interno, ti squassano le viscere e l'anima.

Ti comprendono. Ti accolgono. Ti completano.

Aumenti il ritmo assecondando i suoi movimenti scomposti, dettati dal bisogno urgente – mute richieste, segnali impercettibili che tu hai imparato a cogliere e a seguire con istinto immediato. Non hai paura di fargli del male, non ne hai mai avuta. Il suo corpo forte, asciutto e scolpito, perfetto, da sempre si tende e risponde ai tuoi assalti con furia eguale e selvaggia. Non ti preoccupi neppure dei graffi, dei solchi che le tue unghie stanno tracciando sopra la sua pelle esposta, fredda, immacolata come la neve di un altopiano inaccessibile. Sono anni ormai che vi marchiate a vicenda, che vi lasciate addosso segni di qualunque fattezza – tu mi appartieni, questo rivendicano: alcuni (pizzichi innocui) sono destinati a sparire entro pochi minuti, altri invece, indelebili, devono essere poi nascosti sotto strati e strati di stoffa – sulle tue spalle spiccano ancora, livide, impietose, le cicatrici dei morsi nei quali un tempo era costretto a soffocare ogni gemito, ogni ansito, ogni sussulto.

Alle stigmati incise sul cuore, adesso, preferisci non pensare.

«Sai cosa mi piace» sussurra, e la sua voce è un soffio basso, suadente, in grado di infiammare le vene e scuotere anche la più piccola terminazione nervosa. Gli vezzeggi il collo con la punta della lingua e risali adagio, dalla gola fino al mento, ti sollevi sui gomiti e lo osservi, ammaliato. La sua bocca – carnosa e morbida e umida e irresistibile come il peccato – è una ferita vermiglia, uno sfregio che oltraggia il pallore nobile del suo bel volto, e non appena la schiude in un sorriso obliquo, bieco, avverti un brivido caldo invaderti il ventre e scivolare rapido lungo la spina dorsale. Ti chini e gli catturi le labbra fra le tue, dolcemente, per raccogliere e asciugare il sottile rivolo di sangue che stilla a gocce dall'angolo sinistro – l'ultimo bacio, del resto, non è stato delicato.

«Dimmi quello che vuoi. Ordinamelo, e io lo farò.»

Tutto quello che voglio?

Tutto quello che vuoi.

«Legami

... ...

Un respiro sospeso, spezzato.

GRINDELDORE ~  As my memory rests, but never forgets what I lostDove le storie prendono vita. Scoprilo ora