Zhī Jǐ

194 12 22
                                    

Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca,
fronte bassa selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.

Cesare Pavese - La terra e la morte
(19/20 novembre 1945)


~ Zhī Jǐ ~

(and tonight's the night that we begin the end)


"Look me in the eye, say that again,
take me to your chest and let me in."


L'eco dei vostri respiri è fievole, a malapena percepibile, in questa stanza buia e ammantata di quiete.

Londra non è mai tranquilla - nemmeno di notte, nemmeno in pieno inverno - ma anche la realtà più ostile, adesso, è costretta a inchinarsi a un volere superiore (resistere non è un'opzione) - e allora.

Che la città ammutolisca, che si nasconda, che si dissolva nelle tenebre con il necessario - con il dovuto - riserbo.

Che rimanga il silenzio, fra di voi e tutt'intorno - no. C'è un cuore che batte (furioso ribelle spezzato) sotto le vostre dita intrecciate (è il mio cuore? È il tuo cuore?) (Sono entrambi, sono insieme - sono).

È finito (finito finito finito) il tempo di parlare - eppure. La mente è ostinata (mai rassegnata) e non si placa, si accanisce e si contorce e si dimena e sfreccia ovunque - gira su sé stessa (gira gira gira), simile all'ago ammattito di una bussola ormai priva di magnete, obsoleta e rugginosa, consumata, inutile (dov'è il Nord? Dov'è la mia Stella Polare?).

Tutto è già stato discusso, rimarcato, implorato ("quel che stai facendo è follia, Gellert"), ogni mossa futura pianificata e decisa - scelta ("con te o senza di te, io brucerò il loro mondo, Albus, e tu non puoi fare nulla per impedirlo")[1].

(Ne sei davvero convinto, bredhu?)


"There's nothing left, no fortress to defend.
And tonight's the night that we begin the end."


Ti scosti un poco (il tuo petto, amore mio, il giaciglio più dolce - indimenticabile, insostituibile), ti sollevi sui gomiti e con improvvisa, febbricitante urgenza, ritorni a perderti (scioglierti) in lui, ad affondare i denti nell'incavo ruvido del suo collo, a leccare (adorare!) la linea affilata e perfetta che gli cesella il mento, a baciare (baciare baciare baciare) l'arco teso delle guance, la fronte ampia, gli angoli umidi degli occhi - una lacrima (una soltanto?) lo ha tradito, ha fatto breccia nelle mura inviolabili (forse no) della sua fortezza, è fuggita via, via, via (quando è successo? Vorrei ricordarlo, non lo ricordo - bugiardo).

(È successo mentre mi entravi dentro, mio blu. Mentre mi scopavi come un pazzo e mi esplodevi nelle viscere - carne e sangue e spirito -, mentre mi davi tutto te stesso - mentre ti davo tutto me stesso - ancora e ancora e ancora.)

Trattieni a stento un lamento - oh, Dio! Tu pure, tu pure hai pianto, in quel momento, hai singhiozzato e urlato e goduto e pregato nella sua bocca (l'ultima resa, amore mio - l'ultima vittoria).

Scivoli al suo fianco, senza fiato, e lo attiri a te - di nuovo -, lo avvolgi e lo culli e lo racchiudi fra le braccia, ferocemente, selvaggiamente, cercando disperato il suo sguardo - è spaventoso, è penetrante, è letale. È il tuo specchio e il tuo riflesso - iridi di cielo e terra e acqua e fuoco, tinte luminose e sovrapposte, mescolate, diluite le une nelle altre - inevitabilmente. Irreversibilmente.

GRINDELDORE ~  As my memory rests, but never forgets what I lostDove le storie prendono vita. Scoprilo ora