Abbastanza (mai)

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Ma tutto quel che sapevo di certo è che lui non mi bastava mai.
Volevo stare con lui in continuazione. E tuttavia quando ero con lui
anche quello non mi bastava. Volevo guardarlo, e toccarlo, e volevo che lui mi toccasse,
volevo stare ad ascoltarlo e parlargli, e volevo fare cose con lui.
Per tutto il tempo. Giorno e notte. Per 4.233.600 secondi.
(Aidan Chambers – Danza sulla mia tomba)

~ Abbastanza ~

(mai)

"Je te laisserai des mots
en-dessous de ta porte,
en-dessous des murs qui chantant,
tout près de la place où tes pieds passent,
cachés dans les trous de ton divan..."

Non lo sopporti.

Non lo sopporti, davvero – no, no, in realtà lo detesti, ti fa impazzire, odi da morire rimanere sveglio mentre Albus dorme.

Anche se.

Adori guardarlo[1] – e al diavolo la coerenza, che se la mangino le formiche, i vermi, le tarme che infestano i muri crepati di questa casa allo sfascio. Il suo corpo nudo, quieto e disteso al tuo fianco, possiede – emana – una bellezza inafferrabile, disarmante, struggente, che ogni volta ti colpisce e ti ferisce, ti sconvolge e ti lacera il cuore – e ogni volta ti assilli, ti tormenti, ti arrovelli, e ti domandi, tra la meraviglia e il terrore, se anche Psiche abbia avvertito le stesse emozioni, la stessa acuta sofferenza, gli stessi artigli conficcati nel petto quando, disobbedendo agli ordini del suo oscuro sposo, ha contemplato, nel buio trafitto da una fiamma sottile – invincibile –, l'ignaro abbandono del dio dell'Amore.

Eppure – eppure – niente (niente niente niente) ti porta alla follia quanto sentire la sua pelle vibrare e fremere e reagire alla furia impetuosa – attenta, devota – delle tue carezze Albus si muove appena e gorgoglia un lamento, sospira piano e ti cerca nell'intrico di membra e lenzuola, di nuovo presente, di nuovo con te.

Tu non dormi mai, bredhu?

Dormire è solo una perdita di tempo.

Lui si volta e ti fissa, intensamente, ti valuta, ti sfida (si diverte, il bastardo, a tenerti sulle spine), s'impunta con fermezza e si nega, poi ci ripensa (forse), si avvicina in silenzio – è placido, rilassato, suadente –, ti si preme addosso e alla fine cede (cadete insieme), si scioglie e ti scioglie in un sorriso schietto, luminoso, traboccante di dolcezza e languida malizia. La sua bocca – una curva sinuosa e umida, quasi una ferita – spicca vermiglia sul pallore immacolato del volto (è ammaliante è invitante è indecente – è tua). Non provi nemmeno a resistere. La sfiori con l'indice, teneramente, dolorosamente, ne delinei i contorni morbidi e pieni – avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro –, ne saggi con bramosia il tepore e la consistenza, la forzi e te ne impadronisci, la violi, senza riguardi, senza alibi, e la scopri calda, vellutata, arrendevole sotto il tocco febbrile delle tue dita.

Non ne hai mai abbastanza?

Per me niente è mai abbastanza, Albus. Tu non sei mai abbastanza.
Mai, mai, mai. Ti voglio di più, sempre di più.

Nella densa penombra che vi avvolge (che vi accoglie, che vi assolve!), le sue iridi guizzano, ardenti come scintille di fuoco, e splendono vivide, penetranti, ricolme d'un fulgore purissimo, feroce, abbacinante – gemme preziose, strappate al grembo d'una notte di mezza estate, a un cielo sgombro di nubi e trapunto di stelle (per anni hai creduto – sperato – che la tua dimora fosse là fuori, da qualche parte, nelle tenebre, e invece è qui, l'hai trovata qui, dentro il blu incredibile, impossibile, dei suoi occhi d'assorto crepuscolo)[2].

GRINDELDORE ~  As my memory rests, but never forgets what I lostDove le storie prendono vita. Scoprilo ora