Capitolo 4 - Un segno divino

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«Magari è stato un viaggio di sola andata» tentò di spiegare Hélena. 

Eravamo rimasti tutto il pomeriggio sulla spiaggia, a cercare di capire come aprire il portale che ci aveva catapultati qui, ma i nostri sforzi non ci avevano portato a nulla. Io e Miwa avevamo l'umore a terra, ma non per questo eravamo a secco di idee. Solo che Hélena riusciva a bocciarle tutte, tirando fuori regole su regole. 

«Ma esiste una magia in grado di aprire portali, giusto? Insomma potremmo chiedere a qualcuno di insegnarcelo» suggerii, deciso a provarle tutte. 

«Sì, esiste. L'unico problema è che non avete in voi il sangue del popolo della Terra di Bastet. Solo loro sanno usare questo tipo di magia. E poi gli incantatori sono gelosi dei loro incanti» replicò Hélena, appoggiandosi allo schienale della sedia.

Incrociai le braccia sul tavolo e ci misi sopra la testa, sempre più abbattuto. 

«E se lo aprissero per noi?» azzardò Miwa, imitandomi. 

Ma Hélena scosse la testa. «L'incantatore o incantatrice deve esserci stato a Obeliska, altrimenti il portale non si può aprire. È una regola.» 

Sospirai, definitivamente sconfitto. 

«Allora siamo bloccati qui per sempre» dissi, quasi con le lacrime agli occhi. 

Non avrei più rivisto la nonna. Non avrei più rivisto la mia casa. Hoppa non sarebbe più venuto a svegliarmi la mattina. Non avrei più cavalcato Héla, anche se ci conoscevamo da poco! Non avrei più potuto riabbracciare Erik. Non avrei più rivisto Obeliska. 

«Katàn non è così male, ve lo assicuro» cercò di scherzare Hélena, ma non le riuscì molto. 

Se ne accorse e calò il silenzio per qualche tempo. Ormai era notte fonda e si sentiva solo un lieve venticello muovere la terra. Tutta la vita che questo pomeriggio aveva animato Katàn, si stava riposando serena. 

«Avete fame, ragazzi?» ruppe il silenzio Hélena, sperando in qualche risposta. 

Per la verità, quando alzai lo sguardo, vidi ancora nei suoi occhi quella luce spenta. Mi resi conto che mi ero concentrato così tanto su di me e sul fatto di voler tornare a casa, che non avevo minimamente preso in considerazione i sentimenti di Hélena. 

«Hélena, perché sei triste?» 

Mi tirai su per sbirciare la sua reazione. Lei ebbe qualche attimo di incertezza, ma corrugò in fretta le sopracciglia. 

«No, non sono triste. Sono solo un po' stanca» ribatté, con un sorriso tirato. 

La osservai con più attenzione e finalmente capii, dove avevo già visto quello sguardo. 

«Invece lo sei: perché hai perso qualcuno di importante» risposi per lei e, a quel punto Hélena non aveva più nulla da nascondere. 

Si lasciò andare in un lungo sospiro, prima di volgere lo sguardo a destra verso l'armadio, dall'altra parte della casa. 

«Sì, ho perso qualcuno di importante» mormorò, assorta nei suoi pensieri. 

«E chi era?» chiese invece Miwa, con cautela. 

Rivangare il passato, soprattutto quel passato, non era mai una cosa facile. Lo sapevo bene: quante notti avevo trascorso da solo in camera mia di fronte allo specchio, pensando al perché e al come. Vedevo sempre quel ragazzino che mi restituiva uno sguardo perso e velato di lacrime. Ma con il tempo avevo accettato quello che era successo, sebbene gli spiriti dei miei genitori vivessero nei miei ricordi e nelle storie che la nonna mi raccontava. 

Il Segreto del FaraoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora