Capitolo 15 - L'aquila e il sole

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Okay, mi sentivo in colpa per non aver aggiornato tutto questo tempo. Enjoy.

Spalancai gli occhi e venni baciato dalla luce del sole. 

Finalmente era mattina! Con il viso in fiamme mi ritrovai sdraiato nella vasca insieme ai fiori, che ondeggiavano appena. Mi soffermai per un attimo sui cerchi concentrici disegnati dalle ninfee. Il ricordo vivido di quel sogno – più vicino a un incubo per me – tornò a impadronirsi della mia mente. I fiori colorati. La nebbia. La lotta. Il buio. 

Preso da un vago senso di terrore mi osservai il corpo, per poi liberarmi in un sospiro di sollievo. Scoprii presto che la mia paura per essere rimasto così tanto in acqua era infondata, perché stavo bene. Anzi stavo più che bene. Avrei potuto scalare i Monti Marnhaba a mani nude con tutta quell'energia. Non volli aspettare un altro secondo sdraiato e mi alzai per stiracchiarmi un po'. 

Con le braccia ancora tirate in alto, lo sguardo mi cadde su una pila di asciugamani piegati sul bordo della vasca e quelli che sembravano dei vestiti. Non ricordavo di averli visti l'altra sera. Uscii dall'acqua e mi asciugai in fretta, mentre una pozzanghera prendeva forma sotto i miei piedi. Feci attenzione a non scivolare e mi mossi per indossare quegli strani abiti. Infilai la consueta gonna bianca, ma appena stesi il resto del vestiario capii che non c'era niente di comune in quello che vedevo. 

C'era un mantello blu attaccato a una pesante collana dorata, come quella che Ra portava sulle spalle. Sul retro svettava un bellissimo disegno aureo del sole. Lo indossai. Poi presi dei bracciali lucenti che misi alle caviglie e ai polsi. La stanza si colorò di riflessi dorati che danzarono sulle pareti a ogni mio minimo movimento. Per ultimo indossai un paio di orecchini tondi e dorati con al centro una pietra azzurra. 

Presi a muovermi in cerchio e il mantello si gonfiò appena alle mie spalle. Mi sentivo strano e troppo. In tutta la mia vita non avevo mai indossato niente del genere – sembrava più adatto all'abbigliamento di Karim – e non potevo fare a meno di chiedermi come avevo fatto a finire a Obeliska. Ero nato per questo? E se lo ero, perché non mi sentivo parte di Katàn e delle sue Terre? Più tempo passavo qui, più domande iniziavano a crescere nella mia mente. Eppure non era mai stato un problema per me. 

Non mi ero mai chiesto nulla ed ero stato felice così. Scossi la testa. Adesso non era il momento di pensare a queste cose, perché avevo la sensazione che sarebbe stata una lunga giornata. Mi ripromisi di trovare la risposta alle mie domande, quindi calzai le scarpe bianche e mi diressi verso l'uscita. Appena aprii la porta per poco non saltai indietro dallo spavento. Dalia si palesò davanti all'uscio con un sorriso e mi diede il buongiorno. Per un attimo rimasi lì impalato, chiedendomi se mi avesse aspettato in piedi per tutta la notte, ma mi ricomposi in fretta e la salutai di rimando.

«Faraone, il divino Ra vi aspetta al piano di sopra, nella vostra stanza. Le scale sono alla vostra sinistra» disse brevemente, prima di esibirsi in un inchino. 

Le diedi il permesso di alzarsi e la osservai perplesso, mentre si dileguava giù dalle scale come un'ombra. Era stata così veloce che pensai di averla immaginata. Mi passai una mano tra i capelli, confuso, e mi sorpresi a sfiorare le ciocche asciutte. 

Magia. Mi dissi, anche se volli accarezzarmi tutta la testa per assicurarmi di essere davvero asciutto. 

Ridacchiai, immaginando cosa avrebbe dato nonna Kiki per conoscere un trucco del genere. Io almeno avevo i capelli corti, ma alla sua chioma non bastava quel poco di tempo. Un moto di nostalgia mi fece abbassare il capo, ma mi ripromisi di tornare a casa appena avrei risolto la minaccia di Seth. 

Aspettami, nonna. 

Ora che avevo fatto ordine nella mia mente, cercai la scala suggeritami da Dalia e mi concessi il piacere di correre. Il mantello si gonfiò alle mie spalle e io sorrisi raggiante. Raggiunsi la vetta in una sinfonia di tintinni e passi pesanti. Eppure mi bastò individuare la sagoma di Ra in fondo alla stanza, perché ogni suono cessasse. Era di spalle e guardava qualcosa davanti a sé. Non mi azzardai a chiamarlo. 

Il Segreto del FaraoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora