Capitolo 29 - Malizia scarlatta

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Quando Samba aveva detto di aver capito tutto, in realtà non aveva capito cosa volevo dire. Stava di fatto che mi ero messo in un bel pasticcio: tra due settimane Samba aveva in programma una serata di balli di coppia e io ero, come dire, l'ospite d'onore insieme a Karen. Le guance mi pizzicarono. Ovviamente non avevo detto nulla a Ra e avevo pregato Samba di fare lo stesso. 

Era già un miracolo che non dovessi duellare con ogni custode – non che non lo avessi fatto – o persona che mi capitava a tiro solo per allenarmi tutto il tempo. Sicuramente il dio non mi avrebbe permesso di prendere parte a un evento del genere. Sospirai fra me e me, mentre salutavamo l'ultima coppia dio e custode. 

L'intensità della luce mi costrinse a chiudere gli occhi e, appena li riaprii, mi ritrovai nel tunnel dorato. Così il nostro viaggio si era concluso. Pensai a tutto quello che avevo visto, alle persone che avevo conosciuto e anche a quello che avevo imparato. Tutti quanti erano stati capaci di darmi dei grandi consigli, soprattutto riguardo cosa fare con Ra. 

Per quanto mi sforzassi di ignorare le sue dure parole, continuavo a chiedermi qual fosse il mio scopo in tutta questa storia. Essere un faraone voleva dire solo stare in una piramide e rassicurare il proprio popolo? Eppure le storie di Hélena sui faraoni precedenti mi avevano fatto pensare a un compito molto più gravoso, molto più importante. Ra pensava che non ne ero all'altezza, però. 

Papà, tu cosa faresti? 

Camminammo nel tunnel dorato in silenzio finché, a sorpresa, Ra non mi parlò. 

«Faraone.»

Il suo tono era più grave del solito, quasi volesse minacciarmi. 

«Dimmi» espirai.

Sinceramente non volevo nemmeno sentirlo, perciò tenni lo sguardo davanti a me. 

«C'è una cosa che...»

Qualunque cosa il dio avesse voluto dire, si bloccò per osservarmi con uno sguardo confuso. Proprio in quel momento un pensiero non mio mi attraversò la mente.

Oh, no. Proprio adesso che non sono qui!

La voce di Hélena mi risuonò nella testa, poi fu come se qualcuno mi afferrasse il cuore e lo stringesse per un intero secondo. Gemetti e misi una mano sul petto, proprio sotto il ciondolo del sole e riuscii a rimanere in piedi, nonostante l'improvviso dolore. Che cos'era questa sensazione orribile? Mi costrinsi a respirare, anche se a ogni boccata una fitta lancinante mi invitava a non farlo. A poco a poco capii cosa stavo provando. Paura, odio, sgomento. Ma non erano mie, erano i sentimenti del... del mio popolo!

«Ra.» 

Riuscii appena a chiamarlo prima di vederlo lanciarsi nella fine del portale a pochi passi da noi. Ripresi un po' di fiato e, appena il dolore difinì un po', lo imitai. Affondai coi piedi nella sabbia e vidi che quasi tutto il mio popolo era schierato sulla spiaggia a fissare l'orizzonte. Seguii il loro sguardo e schiusi la bocca, incredulo. A pochi metri dalla riva un vascello imponente scintillava sotto gli ultimi raggi del sole, in quel momento alle sue spalle. In piedi sul lungo corno di legno rossiccio, Oscar tirò le labbra in un mezzo sorriso. 

Notai subito che qualcosa era cambiato in lui. Portava un mantello rosso smanicato e chiuso al petto da una fascia pallida. Intravidi la camicia bianca e un paio di pantaloni neri e lunghi a fasciargli le gambe agili, mentre ai piedi calzava un paio di stivali neri. No, non erano solo i vestiti. C'era qualcosa di diverso in lui rispetto all'ultima volta. Quando i nostri sguardi si incrociarono, capii. I suoi occhi. Potevo vederli persino da qui. Una strana luce vermiglia gli animava le iridi scure, quasi come un riflesso. Non era uno scherzo della luce però. 

Il Segreto del FaraoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora