37- Invasion.

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"Tell me something, I need to know
Then take my breath and never let it go
If you just let me invade your space
I'll take the pleasure, take it with the pain"
-Love me harder, Ariana Grande.

Traduzione:
"Dimmi qualcosa che ho bisogno di sapere,
poi prendi il mio respiro e non lasciarlo più andare.
Se mi lasci invadere il tuo spazio
prenderò il piacere, lo prenderò con il dolore."






Alle 21: 13 i quattro Grifondoro erano nella Sala Comune rosso-oro, davanti al camino, sul divano un po' rovinato dal tempo, ma sempre accogliente, sempre familiare, come l'abbraccio di un nonno, costante, caldo, protettore. La ragazza dallo sguardo fatto di bronzo tirò fuori dalla tasca il foglio di pergamena, trovato solo poche ore prima sotto un asse di legno. Puntò la bacchetta contro il pezzo di carta, sussurrando un «Rivela i tuoi segreti». Nei primi quindici secondi la pergamena rimase vuota.
«Non funziona. Ci dovrà pur essere un altro modo.» borbottò Ron. Le sue parole, però, dovettero sfumare via, quando sulla pergamena iniziarono a comparire dei segni che non avevano un senso apparente. Di certo non erano parole. Man mano che iniziava a prendere forma, Ginevra, Harry e Ron sembravano confusi, guardavano la pergamena senza capire cosa stesse succedendo, mentre la ragazza dalla mente brillante aveva già intuito di cosa si trattasse. Le linee si distribuirono in modo ordinato, ma allo stesso tempo complesso, fino a formare una mappa.
«Una mappa? E di cosa?» chiese Ginny, piú a se stessa che agli altri, osservando dubbiosa il foglio di pergamena. Hermione prese ad osservarla con più attenzione, poi, guardando la forma e leggendo alcuni nomi, capí che quella era la mappa del Ministero e, per di più, funzionava come la Mappa del Malandrino: ogni singolo essere vivente era riportato su di essa, senza alcuna possibilità di scampo, inclusa la morte.
«Ragazzi, è una mappa del Ministero ed è come quella di Hogwarts.»I tre compresero l'assurdità della situazione: il creatore doveva essere, come già confermato, abilissimo con gli incantesimi. Chi era talmente bravo da riuscire a creare una cosa del genere? Quello era un marchingegno tanto utile quanto micidiale, nelle mani sbagliate. Doveva dirlo a Malfoy, e in fretta. Bruscamente si alzò con il pezzo di carta in mano, che ripiegò e ripose accuratamente nella tasca, fiancheggiando quella dei Malandrini. I suoi amici la osservarono straniti dal suo comportamento. Ron le rivolse uno sguardo deluso, probabilmente perché avrebbe voluto passare del tempo con lei. «Dove vai, Herm?» le chiese, infatti, dispiaciuto. La ragazza guardò l'orologio e si accorse di essere in ritardo.
«Per la barba di Merlino, è tardi! Buonanotte ragazzi, ci vediamo domattina.» Salutò la riccia in maniera frettolosa. Come una trottola si precipitò nel corridoio e corse a perdifiato fino all'ufficio della Preside, nel quale la stavano tutti aspettando.
«Buonasera, Professoressa, scusi il ritardo, ho perso la cognizione del tempo.» Disse, rossa in volto un po' per la corsa, un po' per l'imbarazzo, con il respiro ancora affannato e i capelli più aggrovigliati di quanto già non fossero.
«Per questa volta la perdono, signorina Granger.» Replicò l'anziana, con un'espressione bonaria, provocando borbottii da parte di Draco, al quale era stata fatta un ramanzina bella e buona, seppur fosse arrivato solo mezzo minuto prima di lei.
«Ha qualcosa da dire, signor Malfoy?» Domandò, severa, Minerva. Il biondo non parlò.
«Ebbene, potete andare e, mi raccomando, a mezzanotte in punto, qui.» Raccomandò, con sguardo intransigente da sopra gli occhiali dalla forma ovale.
I quattro ragazzi uscirono dall'ufficio e il Prefetto dei Tassofrasso cominciò da subito a camminare, spedito, verso la sua area. Draco, con passo più rilassato, ma elegante, si diresse verso l'ala Ovest. Restarono solo Luna ed Hermione.
«Buonasera, Hermione. Hai visto il cielo, questa sera? È nuvoloso, forse domani pioverà. Vado nell' ala Nord, ci vediamo in giro.» Disse la ragazza dal sorriso di spettri, con aria trasognata. Hermione la osservò: i suoi capelli biondi erano sempre gli stessi, portava sempre le stesse strane collane, l'espressione era quella di sempre, il sorriso anche. Ma gli occhi... C'era qualcosa che non andava, lo percepiva. Gli occhi di Luna non erano spensierati e sorridenti come al solito, piuttosto sembravano essere stati spaccati da un grido di sofferenza soppresso. La riccia la guardò allontanarsi, ma ancora continuava a pensare che c'era qualcosa di strano, di storto, di sbagliato.
«Luna!» l'andatura della ragazza si arrestò bruscamente, e si affrettò a rimettere su il sorriso che tutti conoscevano e che tutti si aspettavano da lei.
«Luna, c'è qualcosa che non va? Ti prego, parlamene, sento che non sei felice.» L'espressione della Corvonero vacillò per un attimo, le labbra s'incurvarono all'ingiú, ma subito ritornarono su, resistendo ad una forza prepotente.
«Va tutto bene, Herm. Davvero.» Bugia. La Grifondoro lo sapeva. Luna le stava mentendo. Ma perché?
«No. Non va tutto bene. Non ho dimenticato di quando, all'inizio dell' anno, mi hai detto della tua cotta per Neville. Ne sei ancora innamorata, non è così?» La bionda abbassò lo sguardo. Non poteva nascondere nulla ad Hermione, per quanto ogni giorno diventasse sempre più brava a mentire.
«Si. Mi piace ancora. Ma mi passerà.» Di nuovo una bugia. Hermione sospirò.
«L'amore non va via da un giorno all'altro.» Luna fu lasciata dalle ultime parole di una sua cara amica, nel mezzo del corridoio. Cominciò quindi a camminare verso l' ala Nord, tenendo gli occhi e le orecchie ben aperti. Camminava velocemente, ma in maniera guardigna, pronta a scattare a qualsiasi movimento o suono fuori posto. S'inoltrava nei corridoi poco illuminati che erano stati testimoni di miliardi di vicende, sguardi, lacrime, risate, risse, baci, parole, sensazioni.
Arrivata a metà tra l'aula di Storia della Magia e quella di Artimanzia, sentí un rumore alla sua destra. Con uno scatto veloce del capo si voltò in quella direzione, sorprendendo Theodore Nott, che cercava di svignarsela.
«Nott.» Lo richiamò la Corvonero. Il ragazzo si fermò subito, colto in fragrante. Con grande tensione si voltò verso il corridoio, tirando un sospiro di sollievo solo quando notò Luna.
«Ah, sei tu, la Lunatica. Adesso torno in dormitorio. » La Lunatica. La mente della Corvonero si bloccò a quelle parole. Continuava a sorridergli, ma quel sorriso non era più serafico, bensí maligno.
«Centosettanta punti in meno a Serpeverde, per aver violato il coprifuoco, aver disturbato i quadri e mancato di rispetto ad un prefetto.» La voce di Luna era irriconoscibile, così come gli occhi vuoti, ma il sorriso era sempre lì.
«Stammi bene a sentire, Lovegood. Adesso io andrò nel mio dormitorio senza disturbare più nessuno e noi non ci siamo mai visti, ok? » Disse Theodore, con sguardo di ferro e tono gelido. Non era abituato a sentirsi contraddire.
Quando capí che la bionda era irremovibile, le puntò la bacchetta contro.
«Obli
«Legilliments» Sussurrò lei, in modo da interrompere l'incantesimo del giovane ed entrare nei suoi ricordi.
Si trovava in una stanza in penombra, l'unica fonte di luce era una candela quasi consumata, in perfetta sintonia con l'ambiente a dir poco spettrale. Le poche cose illuminate erano un letto matrimoniale, un comodino in legno e un piccolo orsacchiotto di peluche. Era la camera di un bambino, ma non sarebbe potuta essere meno adatta. Il suddetto bambino dagli occhi verdi e i capelli neri se ne stava seduto in un angolo, in lacrime. Un uomo basso e tozzo, con la barba folta e scura e gli occhi altrettanto bui, entrò di soppiatto nella stanza. «I purosangue come te non giocano con degli stupidi pupazzi, come i babbani!» Urlò l'uomo al bambino, con gli occhi furenti e la voce possente, terrorizzante. Il bambino continuò a singhiozzare. «Alzati!» Ordinò, e il piccolo eseguì, seppur tremante. «Distruggilo!» Urlò, ancora, indicando il pupazzo. Il bambino osò alzare lo sguardo. «No.» Rispose con voce coraggiosa. Poi successe il peggio. L'uomo cominciò a torturarlo. Il piccolo corpo si contorceva, sembrava non essere più umano. Le urla erano strazianti, il ricordo sfumò. Ora ce n'era un altro. Il primo anno ad Hogwarts, lui seduto in treno, da solo, in silenzio, con lo sguardo fuori dal finestrino. In sottofondo si sentivano le risate gioiose degli altri studenti sull'Hogwarts Express e, benché fossero allegre, stonavano così tanto con l'immagine del bambino solitario. Susseguirono altri momenti di profonda e logorante solitudine: Theo era sempre solo, a cena, in classe, durante le ore di studio, in cortile. Fino al quinto anno, quando tornò a casa per l'estate e quell'uomo crudele basso e tozzo stava per imprimergli il Marchio Nero, ma sua madre, una donna splendida dai capelli scuri, si pose tra il marito e il figlio. Al sesto anno cominciò ad avvicinarsi a Draco Malfoy e a rintanarsi in qualche angolo con diverse ragazze sempre più spesso. Senza mai dire una parola. C'erano dei momenti di vera amicizia tra lui, il biondo e Blaise Zabini, ma anche con le sorelle Greengrass e Pansy. Era con Daphne, mentre Astoria parlava con loro di qualcosa di importante che lei, però, non riuscì a comprendere. Durante la guerra vide sua madre morire, assassinata da un orco, davanti a lui. Luna sentí una morsa acuta e dolorosa al petto, come se il dolore che lui aveva provato in quell'istante, fosse capace di sentirlo, in minima parte, anche lei.
La bionda uscì dai ricordi del ragazzo, un po' scombussolata. Non sapeva perché l'avesse fatto, ma adesso sentiva un gran senso di colpa, un peso al petto opprimente. Quel ragazzo da cui nessuno si aspettava altro che superficialità, quel ragazzo che, all'apparenza, conduceva una vita perfetta, quel ragazzo che guardava tutti dall'alto in basso, aveva davvero sofferto così tanto?
«Come hai osato? Lurida-» Iniziò con rabbia, avvicinandosi a lei con due grandi falcate, fino a ritrovarsi faccia a faccia.
«Mi dispiace.» Si limitò a dire la bionda. Theodore era furioso, il suo respiro affannoso ne era testimone, insieme al suo volto arrossato. Una vena gli pulsava sul collo chiaro, gli occhi avrebbero potuto uccidere. Erano vicini, talmente tanto che se uno dei due avesse allungato un dito, avrebbe potuto toccare l'altro. Guardò con intensità il viso di Theo, quel viso latteo, bello, bellissimo. I capelli neri e leggermente ricci, le sopracciglia scure corrucciate, gli occhi che lampeggiavano, nel buio, come due serpenti scaltri. Le labbra carnose, le spalle larghe, il fisico asciutto.
Per la prima volta, Neville sfumò via dalla mente di Luna. Era lì, presente, lei lo sapeva, ma non opprimente, non soffocatore. Le sembrò, dopo tutti quegli anni, di respirare davvero.
Dalla sua parte, il Serpeverde era furioso: nessuno era mai riuscito ad entrare nella sua mente, come diavolo c'era riuscita quella ragazzina stramba, dalle rotelle fuori posto?
Si ritrovò a guardarla negli occhi argentei e tristi, esaminò con cura la pelle chiarissima, i capelli troppo lunghi, di un biondo sporco, il corpo slanciato, seppur più basso di lei. Cercava in lei qualche difetto da rinfacciarle, per schernirla, per farla sentire debole. Cercava un'arma per attaccarla, metterla in ginocchio, distruggerla. Ma, per quanto si sforzasse, non ne trovò.
"È bella" Pensò. Forse proprio una ragazzina non era, Luna Lovegood. Con sguardo intenso non smetteva di guardarla. Ricordava di averla vista combattere con audacia e animo durante la guerra. Ricordava di averle lanciato un' occhiata, per sbaglio. Lei era lì, intenta a combattere con Anton Dolovh e Sierra Grint contemporaneamente. Ricordava i capelli biondi, che ora teneva in una coda alta, liberi, ribelli, mentre volteggiavano con lei, in una danza bellissima e mortale, nell'attaccare e difendere. Ricordava la sua espressione determinata, senza paura, senza timore. Era riuscita in un attimo a pietrificare Sierra e aveva lanciato un incantesimo non verbale, molto probabilmente di un livello avanzatissimo, al Mangiamorte, tanto da metterlo in fuga. Ricordava il suo volto graffiato e sporco di fuliggine, rabbia, lacrime e sangue, ma ricordava gli occhi brillanti, pieni di vita e di energia, che sconvolgevano, sconvolti, che erano strabordanti di un sentimento chiamato amore.
Adesso aveva il volto pulito, senza graffi, perfetto come quello di una bambola di porcellana, ma gli occhi morti, due pozze di nebbia densa e soffocante. Senza pensare a ciò che stava facendo, le prese i fianchi con forza, attirandola a sé in una morsa libera. Luna rimase sbigottita, non se lo sarebbe mai aspettato, lo guardò come se lo stesse guardando per la prima volta. Si sentí, finalmente, voluta, desiderata. Si sentí donna. Continuò a fissarlo negli occhi, per capire le sue intenzioni, per capire cosa gli passasse per la testa, ma come avrebbe potuto capire i pensieri di Theodore se erano prima i suoi ad essere confusi? Lui avvicinò il suo volto a quello della Corvonero che, senza la paura di star commettendo uno sbaglio, gli avvolse le braccia intorno al collo e lo baciò. Le loro labbra si scontrano in una danza morbida, ma passionale. Le lingue s' intrecciarono in maniera a dir poco perfetta, mentre, con la lucidità mentale del tutto svanita, il ragazzo la spinse contro la parete in marmo. Con coraggio, la bionda gli avvolse le gambe intorno alla vita, e, inevitabilmente, i loro bacini si scontrarono. Nessuno dei due stava pensando, nessuno dei due ascoltava la loro coscienza. Si toccavano, come se non avessero mai toccato nessuno. Si divoravano, come se non avessero mai baciato nessuno. Si stringevano, come se non avessero mai stretto nessuno. Luna si ubriacò del suo sapore che sapeva di cioccolata e Theodore si drogò del suo profumo che sapeva di fiori primaverili. Un verso roco sfuggì dalle labbra del giovane che si avvicinò ancora di più, fino a far combaciare i loro corpi. Qualcosa, nel basso ventre dei due giovani, si mosse languido, sensazionale, da lasciarli senza fiato. Le labbra non si staccavano, si ricorrevano, bramose, in una danza affascinante. Solo quando il respiro mancò interruppero quel momento denso di passione, di rabbia, di lussuria. Theodore guardò Luna, dal viso in fiamme, dalle labbra gonfie e rosse, dai capelli in disordine e dagli occhi finalmente luccicanti, per quella senzazione calda, suadente, vibrante e pericolosa, nel basso ventre. Luna guardò Theodore, dai capelli ricci in disordine, le labbra ancora più invitanti di prima e gli occhi da cui non era capace di staccarsi. Ma doveva. In un movimento fluido si liberò dalla trappola piacevole e pericolosa che lei stessa, insieme al ragazzo, aveva creato.
«Va' nel tuo dormitorio, Nott. Fai bei sogni.» Luna riacquistò la sua aria trasognata e, velocemente, con il cuore che batteva forte e gli occhi colmi di lacrime, si allontanò da quel ragazzo. Theodore rimase esterrefatto dal cambiamento repertino della bionda. Ma, ancor di più, rimase sbalordito da se stesso. Era forse impazzito? Baciare la Lunatica, la stramba di Hogwarts, quella amica di Potter a Weasley e che aveva avuto una relazione con quello sfiato di Longbottom. Come aveva potuto essere così stupido? Eppure doveva ammettere che era veramente bellissima. Ma non era una buona giustificazione. Si allontanò da quel corridoio, tra l'aula di Artimanzia e l' aula di Storia della Magia, nel lato Nord del castello. Ritornò nei sotterranei con la testa completamente presa dall' auto- rimprovero. Almeno, pensò, non si sarebbe dovuto preoccupare di far tacere la Lovegood, né avrebbe dovuto affrontare quel momento imbarazzante del "non c'è niente tra noi". Sembrava averlo capito e deciso, al tempo stesso, da sola.
Dal lato opposto del castello, Hermione osservava con attenzione la Mappa del Malandrino. Per pura fortuna, non aveva notato la presenza di Nott sulla mappa, né tantomeno la vicinanza poco fraintendibile con il Prefetto dei Corvonero. Era troppo impegnata a cercare il nome di Malfoy e a seguirlo ma, quella sera, sembrava che tutta Hogwarts volesse impedirle di raggiungerlo. Le scale non facevano altro che cambiare e il ragazzo si spostava in continuazione. Quando sembrava essere a un passo da lui, ecco che si ritrovavano ai poli opposti. Innervosita più che mai, si sedette su un gradino della grande scalinata centrale, quella vicino alla Sala Grande. Per la noia, con la bacchetta iniziò a disegnare delle figure fatte di luce, che svanivano immediatamente dopo. Prima un sole, poi una farfalla, in seguito un fiore.
«Sembra che tu ti stia divertendo.» La voce ormai riconoscibile di Draco fece capolino dal corridoio. Era ora!
«Malfoy, ti sto cercando da una vita.» Il biondo parve confuso e disgustato al tempo stesso.
«Che vuoi, Mezzosangue?» Chiese, aspro.
Hermione gli lanciò un' occhiata altrettanto ostile.
«Le lettera è la mappa del ministero. Ed è incantata. È ovvio che vuole che andiamo lì. E tu, Malferret, hai fatto qualche indagine o sei rimasto ad un punto morto, perché da solo non sai mai prendere una decisione, non sai fare una scelta?» Chiese la riccia, con la voglia di vederlo infuriarsi. Ma lui non l'accontentò.
«Sai, Sanguesporco, io, le decisioni, le so prendere.» Replicò, provocando l' ilarità dell'altra.
«E come? Sentiamo.» Un ghigno intriso di una sostanza chiamata cattiveria si fece largo sul viso angelico di Draco. Adesso, Hermione, si stava pentendo amaramente di ciò che aveva fatto. Aveva svegliato la parte di lui più oscura che potesse contenere. Sapeva che era capace di fare qualsiasi cosa, in quello stato di pura malignità.
«Sei io decidessi di toccarti, lo farei.- si avvicinò di un passo, ma la Grifondoro non osò muoversi di un centimetro- se io decidessi di schiantarti, lo farei - si avvicinò ancora, mentre Hermione non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e un vuoto profondo, come una voragine, occupò interamente il suo stomaco- se io decidessi di baciarti, lo farei- i loro corpi si sfioravano, adesso, in un contatto sublimilmente pericoloso, ma altrettanto invitante a volerne ancora, proprio perché era proibito, come il più bel frutto velenoso- se io decidessi di possederti - la voce di Draco era roca, e la riccia, sentendo quella parola, si sentí mancare, mentre i brividi le attraversavano la schiena e una strana sensazione cominciò ad insinuarsi tra le sue gambe- lo farei - ormai le labbra del ragazzo sfioravano il lobo tenero di lei, che sentiva le gambe cederle e una sensazione mai privata prima di allora, nel basso ventre, che le faceva venire voglia al contempo di scappare e di annullare le distanze, mentre gli occhi non ressero il contatto visivo e cominciarono a tremarle. Si sentiva infuocata, sarebbe potuta morire così, a un millimetro da Draco- se decidessi di ucciderti - le prese il collo sottile in una mano, ma non strinse la presa. Ormai Hermione era vicinissima al visibilio, un altro secondo e sarebbe scoppiata- lo farei.» a Hermione mancava il respiro. In Draco avveniva, intanto, una lotta interiore furiosa, senza precedenti. Voleva baciarla, solo per gustarsi la sua espressione arrabbiata, per vederla andare su tutte le furie, impazzire, piangere, gridare fino a lacerarsi le corde vocali. Ma doveva rimanere al suo posto, non oltrepassare quel limite di disprezzo che aveva imposto e che lei si impegnava a rispettare. Temeva, però, in un certo senso, di averlo già oltrepassato. Prese lei una decisione al suo posto. Si scostò e andò via, mentre lui restò lí, ai piedi della grande sclinata dove, al quarto anno, aveva visto Hermione scendere con quel vestito che le stava d'incanto, ammaliando tutti con la sua bellezza.
Aveva ragione, lui non sapeva fare una scelta.

Theodore Nott (Robert Sheehan)

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Angolo Autrice

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Angolo Autrice.
URLO. AMO QUESTO CAPITOLO. SI ME LO DICO DA SOLA. Raga sono stra orgogliosa di aver scritto questo capitolo e non vedevo l ora di pubblicarlo. Riguardo Theo e la persona che ho scelto per dargli un volto, vale lo stesso discorso di sempre: è come lo immagino io, voi potete immaginarlo come vi pare. Comunque, fatemi sapere se è piaciuto anche a voi.
Baci,
-M💕





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