39- Smoke and ash.

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"I'm in their second hand smoke
Still just drinking canned coke
I don't need a xanny to feel better"
-Xanny, Billie Eilish.

Traduzione:
"Sono nel loro fumo di seconda mano
Sto ancora bevendo coca cola in scatola
Non ho bisogno di un xanax per sentirmi meglio."




Hermione aveva bisogno di aria. Aria fredda, che le entrasse nella gabbia toracica come ruscello di ghiaccio che scivola attraverso le rientranze di una valle, con quella maestria e dolcezza di cui solo l'acqua è capace. Aveva bisogno di sentire i suoi polmoni pieni di ossigeno, prendere un po' di purezza della natura e farla scivolare dentro di sé in modo silenzioso eppure palese. Si illudeva del fatto che l'aria le avrebbe depurato gli organi, il sangue, il cuore, l'anima e, contemporaneamente, era sicura che, espirando, una parte del marcio, del veleno che c'era in lei, fosse risalito nei polmoni, attraversato la gola, riversatosi nel suo respiro e abbandonato il suo corpo insieme all'anidride carbonica. Lo fece. Inspirò profondamente l'aria gelida di quella mattina foschiosa, in cui i raggi del sole, clementi ed empatici, si mostravano a malapena, tiepidi, quasi invisibili e incorporei. Sentiva freddo, ma non le importava. In quelle ore aveva preferito rischiare di morire assiderata, piuttosto che tornare nella Sala Comune, luogo caldo e confortevole, ma di cui la vista le avrebbe arrecato solo dolore. In quelle ore era stata solo lei con se stessa, fuori dal Hogwarts, dallo Stato e dall'intero universo. Era distesa in un tempo infinito e collocata in un eterno presente, come in una bolla di tempo che sarebbe scoppiata alle otto in punto, con il rintocco dell'orologio. Non aveva pensato a nulla. Era rimasta, seduta, ad ascoltare il petulante discorso filosofico sulla vita di un gufo, a osservare un litigio tra le gocce di rugiada che combattevano per restare sullo stesso filo d'erba, ad annusare lo shampoo al pino silvestre con cui questi si lavava la folta chioma. In totale tranquillità, con la mente svuotata, era entrata in una fase di stallo, in cui i suoi pensieri avevano smesso di fare rumore e si erano adagiati nelle zone più remote del cervello. Erano le 7.58 a.m. e, facendo leva sui piedi intorpiditi, aiutandosi con le mani, si alzò. Non saprei dirvi con certezza che cosa stesse accadendo nella mente di Hermione in quelle ore successive alla distruzione della sua ragione, nessuno saprebbe farlo. Come si sentiva? Cosa avrebbe fatto? In che modo avrebbe agito? Erano le domande che si poneva e a cui non sapeva dare una risposta sensata. Che cosa aveva sbagliato? Tutto e niente. L'orologio rintoccò le otto.
Hermione dalle ciocche riflettenti le luci del mattino rientrò nel castello e, senza frenesia, in una calma che non le apparteneva, raggiunse la Sala Grande, vuota. Quiete, era ciò che aleggiava come un velo impalpabile, tra le mura del castello. Quiete troppo sottile per resistere ancora a lungo e troppo compatta da spezzarsi facilmente, coperta trasparente che odorava di elettricità, sospesa nel tempo e nello spazio come il ticchettare della lancetta di un orologio. La quiete sporca prima di una guerra, prima di una bomba o prima di uno tsunami, era quella. Quei secondi di silenzio troppo vuoto per essere normale, quegli istanti tesi e allungati in un'estensione che pareva non volersi fermare.
Era l'unica persona presente, così avanzò di un paio di passi verso il suo solito posto, tra Ginny e- Ron. Il respiro le si intrappolò in gola, facendole deglutire una condanna amara dal retrogusto acidulo. Non poteva sedersi con lui, non ancora, troppo nauseata per farlo. O forse non aveva il coraggio di affiancare la sua migliore amica che, in uno sfioramento di pelle, avrebbe capito che c'era qualcosa di strano. Oppure il vero motivo per il quale stava andando a sedersi in un posto che non era il suo era che Harry avrebbe capito tutto con uno sguardo, tramite le vibrazioni e le attese tra i battiti del cuore e il fiato che usciva in un ritmo disarmonico e sconnesso. Oh, ne era sicura, al ragazzo sarebbe bastato un tono in meno, un'occhiata distante o un fremito trattenuto per capire cose che prima lei non riusciva a comprendere.
Coscientemente, eppure non tipicamente da lei, Hermione scelse il posto a sedere con una voglia di vendetta che avrebbe lasciato spiazzato il piú sfruttato dei servi desiderosi di riscatto. La Sala Grande iniziò a riempirsi piano, con la pigrizia del lunedì mattina e la stanchezza di una settimana appena iniziata. Tre ragazzi di Corvonero, del secondo anno, furono i primi a entrare, tra bisbiglii concitati e volumi  antichi tra le braccia esili, seguiti da un folto gruppetto di Serpeverde e Tassofrasso che, in fermento, non facevano altro che parlottare e bisbigliare. La Sala cominciò a colmarsi di parole sussurrate alle orecchie e sguardi a metà tra l'agitazione e l'adrenalina. Hermione, come se nulla fosse, aspettò pazientemente che il tavolo rettangolare dei Grifondoro, ritardatari come al solito, si riempisse. Ginny fu la prima ad entrare, con Parvati. I suoi occhi chiari cercarono, frementi e preoccupati, l'amica che non era tornata a dormire, la sera precedente. Sapeva che non era con suo fratello, perché quando aveva chiesto ad Harry, quella mattina, se la loro migliore amica stesse dormendo con Ron, lui aveva negato. Con il cuore che le batteva troppo velocemente nel petto, Ginevra cercò gli occhi caramellati della sua migliore amica. Parvati le appoggiò una mano sulla spalla, in un conforto silenzioso e delicato.
«Sicuramente è qui, Gin. Sta' tranquilla.» le disse, con calma, mentre gli occhi scuri saettavano da una parte all'altra dell'enorme stanza, fino a fermarsi su una folta e lunga chioma sfibrata, riversa all'indietro e legata distrattamente da un elastico sottile in una coda bassa. Le labbra di Parvati s'incurvarono in un sorrisino mentre richiamava l'attenzione della rossa. «È lì.», le disse indicandola e lo sguardo di lei si riempì di sollievo. A cuore leggero e tranquillo sospirò, socchiudendo gli occhi, sentendo il peso della preoccupazione scivolarle dalle spalle. Lei era lì, a bere un the bollente allo zenzero come ogni mattina, con lo sguardo fisso su un libro e al suo solito posto. No, non è vero. Le sopracciglia folte di Ginny si aggrottarono in un' espressione confusa. Hermione non era al suo solito posto e ciò non aveva alcun senso apparente. Pensando di aver fatto qualcosa per ferirla o infastidirla senza rendersene conto, iniziò a camminare verso di lei, che ancora non l'aveva vista. Il passaggio, però, le fu sbarrato da Cheryl che, agitata, le parlò a voce tremula e mani inquiete che, nervosamente, passava tra i lunghi capelli blu. «Ginny! Menomale che ti ho trovata. Ho bisogno del tuo aiuto, si tratta di Finnigan... Oggi pomeriggio dovremmo studiare insieme e, per tutte le cavallette, non so come comportarmi. È la prima volta che mi succede, ho paura di dire qualcosa di imbarazzante o offensivo, però tu sei l'ex ragazza di Dean, il suo migliore amico, quindi speravo potessi aiutarmi a capire cosa gli piace, di cosa ama parlare o- oh, no, eccolo! Sta arrivando, dobbiamo sederci.»Ginny si trovò tirata giù dalla forza di Cheryl che, come una trottola impazzita, aveva preso a straparlare senza fermarsi a prendere fiato, come ogni volta che era particolarmente agitata. Ma la rossa Ginevra non aveva ascoltato una sola parola della sua amica dalla chioma blu. Distratta, continuava a osservare Hermione e, seppur fosse sempre lei, con i capelli più in disordine del solito e la tranquillità mattiniera a circondare la sua figura, aveva qualcosa di strano. E lei, la ragazza che aveva osservato per tutta la vita, cercò gli occhi della sua migliore amica e, al loro posto, con uno stridio al cuore, e un grido dell'anima, ci trovò due pupille vuote e prive di ogni traccia di Hermione. Le occhiaie di un preoccupante colore vivido tendente al viola livido erano nulla in confronto allo sguardo senz'anima di lei. Un brivido percorse la schiena di Ginny che, ora lo sapeva, era successo di sicuro qualcosa. Erano già passati venti minuti dalle otto e doveva sbrigarsi se non voleva ritardare al test di Cura delle Creature magiche. In quel momento capì che andare da Hermione per parlarle non era cosa saggia da fare, semplicemente perché quella non era Hermione. Doveva capire cos'era successo.
Accanto alla strega che non aveva avuto paura di restare dalla parte del suo migliore amico prese posto un'altra che in confronto pareva un fuscello, un fiore di primavera bellissimo, ma delicato e debole. Hermione era salice secolare dalla corteccia solida e inscalfibile, carica di energia proveniente dalla terra e dal sole, dall'acqua e dal vento. Carica di delusioni provenienti dalle sue foglie e frutti che sembravano ogni giorno meno belli, carica di una brama di vendetta che non le era mai appartenuta. Hermione voleva assaporare il dolce sapore della vendetta. La ragazza dalla folta chioma bionda e riccia arrossí lievemente sulle gote e, con educazione, diede un buongiorno generale. Polly e Lauren, le sue migliori amiche, si chiedevano come mai la strega più brillante della sua età, quel giorno, sedesse tra loro.
«Buongiorno, Hermione.» la salutò Polly che, seguita a ruota da Lauren, le fece alcune domande di cortesia a cui la mora rispondeva distrattamente. La sua attenzione era totalmente rivolta alla bionda accanto a lei che, in un'apparente tranquillità, sorseggiava una tazza di latte. Ma la mano tremante e lo sguardo che vagava ovunque tranne che su Hermione, non fecero altro che alimentare la sete della Regina dei Grifoni.
«Buongiorno, Dorea.» calcò il suo nome in un accento che lo fece risultare una colpa. La ragazza si irrigidí sul posto, il cuore le si fermò per un momento in un intralcio d'aria e, rigida come un tronco, voltò coraggiosamente, eppure con cautela, il viso nella direzione di Hermione.
«B-buongiorno. Come mai sei qui?» le chiese in uno sforzo che avrebbe potuto affaticarla, se fosse stato fisico. Lo sguardo di Hermione si fece tagliente e più scuro di quanto già era, di un vuoto torbido in cui Dorea si sentí spaesata e spaventata. La bionda iniziò ad agitarsi, mentre le guance perdevano colore. Hermione, in una malignità che aveva cominciato a far parte di lei, rispose con un'ironia pungente come la punta di un coltello.
«E dove dovrei essere, Dorea? Svenuta in infermeria o in coma al San Mungo?» ridacchiando in una risata sarcastica attirò gli sguardi di tutti i Grifondoro, compresi quelli di Ginny, Harry e Ron. Dorea, bianca come il terrore, deglutí a fatica e, con gli occhi quasi fuori dalle orbite, iniziò a tremare. La ragazza dalle iridi di cenere non aveva più la forza di bruciare, di emanare lava incandescente, non le rimaneva altro che soffocare con fumo e polvere, ceneri e spire.
Dall'altro lato del tavolo era seduto il goffo Neville, proprio accanto a Ronald. La sua amica Hermione sembrava aver un conto in sospeso con Dorea Spell, la compagna con cui divideva il banco di Pozioni, che non era affatto il punto forte di entrambi. Una volta, ricordava, stavano preparando una Pozione Peperina, ma qualcosa doveva esser andato storto, perché a Neville era diventata di uno strano colore azzurrino e quella di Dorea aveva disintegrato il tavolo da lavoro. Si, decisamente qualcosa era andato storto. Il ragazzo dai capelli scuri e il cuore puro si voltò verso il suo amico dai capelli rossi. Ron era pallido come non era mai stato, solchi scuri sotto gli occhi gli segnavano lo sguardo stanco e afflitto, l'espressione sofferente del volto manifestava un'agonia e un'angoscia interiori non indifferenti.
«Ma che le è preso? Sai cos'è successo?» Chiese Neville, sguardo curioso e bocca mezza piena. Il rosso, colpevole, non rispose alla domanda del suo amico, preso a guardare Hermione in una muta speranza di trovare una briciola di lei in tutto quel nulla, con gli occhi quasi colmi di lacrime soppresse e le guance d'un rosso vermiglio che era il risultato di una vergogna letale.
Provava compassione per Dorea, quella ragazza il cui unico errore era stato cedere alla passione, cedere al cuore. Lì, in tutta quella situazione, l'unico colpevole era lui, solo lui. Il bacio con la compagna di casata sarebbe potuta essere una questione frivola e risolvibile, un malinteso, ecco. Era stato Ron ad agire da vigliacco e a peggiorare tutto, lui commise uno sbaglio che pesò, al suo cuore frastagliato, come un mondo intero. Dorea, pallida e scarna, occhi tremuli e spirito dolente, abbassò lo sguardo, incapace di sostenere ancora quello scuro di Hermione. Le dispiaceva, le dispiaceva da morire. Le dispiaceva per aver consentito al suo cuore infiammato di prendere il sopravvento, di uscire dal suo petto in un momento di ebrezza farfallina, di spensieratezza più allegra, di leggerezza ubriaca di odori, colori e sentimenti troppo forti per essere trattenuti ancora, e ancora. Lei si era innamorata di Ronald Weasley, l'amico di Potter, il rosso con la fobia per i ragni, il ragazzino dalle lentiggini di fuoco, al terzo anno quando era poco più di una bambina, dal cuore acerbo e i sospiri caldi. Ma le piaceva ammirarlo da lontano, troppo irraggiungibile e bello per essere raggiunto, troppo in alto per lei. Ron, delicato come un fiore d'estate, caldo come il sole di Settembre, allegro come la risata di un bambino, ironico come una spina di rosa, dagli occhi limpidi di fanciullo e il sorriso affascinante di uomo. Troppo timorosa per farsi avanti, troppo sofferente per tener tutto dentro. Dorea non era mai stata un esempio di forza o tenacia e, a dir la verità, c'erano delle volte in cui dubitava della scelta che il cappello parlante aveva fatto, sette anni prima. A lei era sempre bastato vivere nella semplicità della sua quotidianità, nella sua monotonia e piccole abitudini, nei suoi gesti quotidiani che l'avevano sempre fatta sentire al sicuro. Era bastata una goccia d'alcol in più, un sorriso spontaneo, uno sguardo gentile e una parola amichevole per farla esplodere, per far scoppiare il suo cuore in un tripudio di stelline colorate, che avevano dipinto il suo mondo dei colori dell'arcobaleno. Ma era durato per pochi, bellissimi, inafferrabile secondi: le stelle si erano spente, ridotte a nane bianche. E tutto era tornato normale, monotono, ancora. Ma c'era quel senso di grande delusione verso se stessa per essersi lasciata andare, per aver ceduto al suo cuore e aver osato mettere in difficoltà l'amato Ron.
«M-ma di c-che parli?» balbettò Dorea, voce bassa e cuore debole, piano, timorosa e in soggezione. Colpevole.
Il silenzio calato sul tavolo dei Grifoni attirò anche i vicini Serpeverde che, sempre interessati ai drammi dei loro avversari per farsene beffa, non perdevano occasione per ficcare il naso dove non avrebbero dovuto. I Corvonero, rispettosi e i Tassofrasso, empatici, continuarono a conversare tra loro come se nulla fosse, con un orecchio, però attento alle parole di Hermione Granger.

Angolo Autrice.
Buon Anno a tutti! Spero che questo 2021 possa andare in po' meglio del 2020, per tutti.
Attenzione, lettori, nei prossimi capitoli Hermione remprimerà tutto ciò che è sempre stata, quindi.... Non sa neanche lei cosa aspettassi da se stessa.
Con ciò, ci ritroviamo al prossimo capitolo,
Baci,
-M💕

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