Tratto dal prologo:
"Probabilmente vi sarete chiesti innumerevoli volte che cosa sia la vita. Lo avrete cercato nei libri, lo avrete chiesto ai vostri genitori, avrete desiderato così tanto saperlo da non accorgervi che la risposta è proprio sotto...
"I keep on writing a sequel to stories I know that are not there I don't wanna die but I don't wanna live like this" -Feel something, Bea Miller.
Traduzione: "Continuo a scrivere un seguito alle storie, so che non sono lì, non voglio morire, ma non voglio vivere così."
S
econda parte del capitolo 38, buona lettura✨ In Sala Grande, studenti e professori erano rilassati come non succedeva da molto tempo. Si sentiva il tintinnare piacevole delle posate e il brusio non troppo fastidioso dei presenti, i borbottii dei fantasmi e le risate dei quadri. Cheryl sedeva al suo posto, gustando pesce fritto e insalata, mentre chiacchierava con Polly e Lauren, due compagne Grifondoro del corso di Storia della Magia. «Ho sentito in giro che... Quel bel manzone di Zabini è andato a letto con Sylvia Turner.» Disse Polly concitatamente, elettrizzata di avere uno degli scoop più bramati del periodo. Cheryl aggrottò le sopracciglia, dando un' occhiata a Blaise. Si, era un bel ragazzo. «Sylvia? La corvonero?» Chiese, curiosa. Lauren intervenne, scostandosi i capelli corti dal viso. «Si, proprio lei. Chi lo sa, magari gli piacciono quelle intelligenti...» Rispose, cominciando a fissarlo e ad attorcigliarsi un capello attorno al dito, cercando di essere provocante. La ragazza dai capelli blu scoppiò a ridere fragorosamente, attirando, di fatto, l'attenzione non solo dei Grifondoro, ma anche del bel moro a cui Lauren stava puntando. «Ma che cosa fai? È un Serpeverde!» Esclamò Cheryl. L'altra, però, non demorse e continuò a fissare un Blaise che ora ricambiava, confuso, il suo sguardo. «E a chi importa? Visto? Mi sta guardando.» Sussurrò alle due, senza mai demordere, ammiccante. Cheryl alzò gli occhi al cielo, sbuffando. A lei piaceva un ragazzo che neanche la considerava... Si sentiva una stupida a stare dietro a Seamus Finnegan e mescolarsi, confondersi, con le altre. Lei era solo una delle tante ragazzine cotte. Ma sentiva che non si sarebbe mai data pace se non l'avesse conquistato: mai nessun ragazzo era riuscito a resistergli, in termini romantici o meno. Quando lei voleva un uomo, le bastava qualche parola dolce, sguardi fintamente imbarazzati, sorrisi maliziosi nascosti dietro una maschera d'innocenza. Aveva tentato di approcciarsi indirettamente a Seamus, di solito faceva così per capire se poteva provarci, e lui aveva mostrato totale disinteresse. E poi c'era ancora la questione di quel mantello, che si era ritrovata addosso sottoforma di coperta, ma che in un attimo si era trasfigurato nella divisa di un Grifondoro. Solo, non sapeva quale, poteva essere praticamente di chiunque. Voleva almeno ridarlo al legittimo proprietario e ringraziarlo della gentilezza, tutto qui. Ma non aveva idea di come risalirgli. Vagabondando nei suoi pensieri non si accorse che qualcuno stava parlando con lei, nello specifico un ragazzo dai capelli castani, il sorriso smagliante e gli occhi di un azzurro-verde, di cui Cheryl sarebbe sempre stata affascinata, e con una particolare inclinazione per la pirotecnica, ma, per farla ritornare nel presente, ad Hogwarts, in Sala Grande, Polly dovette scuoterle il braccio più volte. «Ahia, Polly, sei delicata quanto un ippogrifo.» borbottò, inconsapevole dell'attenzione del moro. «A proposito di delicatezza... Dean? A cosa mi avevi paragonato, stamattina?» Chiese, sorridendo, sotto lo sguardo attonito di Cheryl. «A un troll di montagna in una biblioteca.» Rispose il moro, provocando una risatina da parte della ragazza dai capelli blu. «Fantasioso.» Commentò lei, arrossendo sotto gli occhi ingenui di Seamus. "Sto arrossendo veramente? Io non arrossisco mai! Ma che mi prende? È solo un ragazzo... Di cui sono cotta." Pensò la Grifondoro. Prima che si potesse creare un silenzio imbarazzante, in cui Cheryl sarebbe stata improvvisamente attratta dal cibo senza sapere cosa dire, Seamus le pose una domanda con una scioltezza tale che fece scoraggiare, ma, al contempo, elettrizzare, la ragazza. «Cheryl, mi hanno detto che sei brava in pozioni e presumo tu sappia che io, invece, non riesco a portare a termine una pozione senza farla esplodere. La McGonall crede che abbia un' inclinazione inquietante per le arti pirotecniche e non ha tutti i torti. Il punto è: quest'anno abbiamo i M. A. G. O, mi chiedevo se potessi darmi una mano.» Disse tranquillamente. "È così rilassato, ciò significa che non gli interesso nemmeno un po'." Cheryl, quando era nervosa, rispondeva di getto, senza pensare, senza valutare la persona a cui si stava rivolgendo, né i sentimenti che avrebbe potuto provocare in questa. Semplicemente, le parole partivano su un treno impazzito che partiva dal suo cervello e sfrecciava attraverso le labbra, saltando la fermata "coscienza". «Vuoi delle ripetizioni?» chiese, senza giri di parole, spiazzando Seamus, che boccheggiò per qualche secondo. "Pensavo di piacerle, forse ho capito male. Ma mi serve davvero una mano, o sarò rimandato." Pensò velocemente il moro. «Si, perfavore, non ti toglierò ore di studio, promesso.» Quasi la supplicò lui, sorprendendola. «Si, va bene.» Rispose lei, al che il ragazzo sembrò entusiasta. «Domani, alle 17:00, in biblioteca?» Chiese, gentile. Cheryl ci pensò, poi scosse la testa. «Meglio le praterie, sai, la pirotecnica...» si fece sfuggire, arrossendo subito dopo, ma Seamus non si offese, anzi, ci rise su. Mentre Cheryl fantasticava sul pomeriggio seguente, Pansy Parkinson faceva la stessa cosa, solo che, il suo, era un altro tipo di appuntamento. Con tranquillità gustò il budino al kiwi che aveva davanti, mentre faceva finta di ascoltare Astoria, che le stava dicendo dell'ultima novità di casa Greengrass: dato che i suoi genitori erano stati portati ad Azkaban, sarebbe stata la sua tanto odiata prozia, la tutrice sua e di sua sorella, fino a quando entrambe non sarebbero diventate maggiorenni. Ciò significava che lei doveva aspettare altri due anni. La tanto odiata prozia di cui parlava Astoria era la madre della defunta Ninphadora, Andromeda Black, che aveva tradito la nobile famiglia purosangue sposando Ted Tonks. Quindi, in un certo senso, era imparentata con i Black e, di conseguenza, con i Malfoy, ma non se ne sconcertava più di tanto, poiché tra purosangue c'era sempre un finissimo legame di sangue o lontana parentela. Andromeda era cugina della signora Greengrass da parte di madre, pertanto l'unica che si era offerta come tutrice di quelle due ragazze rimaste senza genitori. Gran delusione quando le viscide serpi codarde che erano il resto dei loro parenti si erano tirati indietro. Chi mai avrebbe voluto prendersi la responsabilità, il peso delle sorelle Greengrass? «Quella lì? Quella amica dei babbani?» Chiese a bassa voce Pansy, quando si decise ad ascoltarla. «Già, proprio lei. Non so come farò a sopravvivere e, contemporaneamente, a rimanere sana di mente, con una persona del genere. Pensa che ha frequentato anche i Weasley.» Disse la Regina delle Serpi, in una spigolosità cristallizzante e fredda che s'intrappolava tra le spire dell'aria e rompeva in maniera elegante e gelida una cautela già di per sé vacillante. «E Daphne?» Domandò curiosa la Dama di Serpeverde, lanciando un'occhiata alla bionda solitaria, dall'altra parte del tavolo. «Mia sorella è fortunata: a Luglio compirà 17 anni e sarà finalmente libera.» Rispose. «E il matrimonio con Malfoy?» Ahia. Tasto dolente, Pansy non avrebbe dovuto parlarne... Per un attimo lo sguardo ferreo di Astoria vacillò, nella sua maschera da Regina si aprí un minuscolo spiraglio di incertezza, ma si richiuse talmente velocemente che avrebbe potuto non dischiudersi mai. «Deciderà Andromeda.» affermò con una freddezza tale da ghiacciare completamente qualsiasi altra parola o espressione stesse per uscire dalle labbra dell'altra Serpeverde. Come se non fosse successo nulla, come se quella conversazione non fosse mai avvenuta, Astoria cominciò a conversare con Millicent Bulstrode, facendo capire alla Parkinson che, certe cose, non avrebbe dovuto chiederle. Funzionava così, tra loro: se uno diceva o faceva qualcosa che all'altro non piaceva, con eleganza e signorilità, lo si faceva capire, non come quei rozzi Grifonstupidi, che, la raffinatezza, non sapevano neanche dove abitasse. Dall'altro lato della Sala Grande, tra i Tassofrasso, c'era una ragazza tanto bella quanto timida, che era, un tempo, stata innamorata di Cedric Diggory e invidiosa di Cho, mentre, adesso, osservava con evidente interesse, Dean Thomas, quel ragazzo dalla bellezza insicura, invisibile, ma consistente. Nell'ultimo anno era diventato un giovane uomo dall'aspetto a dir poco incantevole. Lydia McDonald era affascianta dalle sue spalle forti da giocatore di Quiddich, dal suo petto largo, ma in proporzione con la sua figura, dalla schiena ampia e dagli addominali ben visibili anche sotto il maglione. Era incantata, però, soprattutto dagli occhi scuri, due pozze di petrolio che non sentiva mai su di lei, ma che tanto avrebbe voluto. Andava pazza per le sue labbra carnose, sulle quali si era ritrovata a fantasticare e, subito dopo, arrossire a causa dei suoi stessi pensieri. Il sorriso splendente di Dean era, però, davvero qualcosa di eccezionale, a parere di Lydia. Illuminava la stanza, tutto ciò che lo circondava. La ragazza dai riccioli di bronzo era ben informata su Dean, aveva chiesto, con molta discrezione, delle informazioni, pareri o esperienze. Sapeva che era davvero un ragazzo d'oro, spiritoso e altruista, che probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto conoscerla, ma c'era di mezzo la più grande nemica di Lydia, che le impediva di fare un passo fuori dalla sua intimità: la timidezza. Le timidezza è una brutta invidiosa. Si fa largo nella tua vita nei primissimi tempi, quando sei ancora in fasce e non puoi fare altro che osservare il mondo esterno, ti si avvicina offrendoti la mano, dicendoti che grazie a lei tutti ti si vorranno avvicinare. E allora ti fidi, intrecci la tua mano con la sua, vi sorridete, e cominciate a camminare insieme. Con dolcezze ti impedisce di fare amicizia con i bambini della tua età, convincendoti che ci sono già abbastanza giocatori a Gobbiglie, e che, forse, è meglio non disturbarli. E allora tu ti fidi, e l'ascolti. Poi ti suggerisce, all'orecchio, di non chiedere la penna a quella ragazzina del primo banco, potresti darle fastidio. Ti dice di non mettere quel rossetto, altrimenti sembreresti troppo appariscente. E tu e lei non volete attirare l'attenzione, vero? Ti blocca il braccio quando stai per alzare la mano, in classe, per rispondere a una domanda: e se dovesse essere sbagliata? Tutti rideranno di te e lei. Ti dà uno spintone quando vorresti parlare alla tua compagna di stanza o abbracciare quel ragazzo sulla panchina che sta piangendo in silenzio. Ti lega le braccia quando vorresti provare a volare sulla scopa e le gambe quando vorresti andare da quella ragazza bionda, che ti aveva salutato e tu non avevi ricambiato perché la timidezza ti aveva cucito la bocca, e chiederle scusa. Ti riempe di pugni allo stomaco, per non lasciarti parlare, quando vuoi solo urlare al mondo quello che provi e ti costella le ginocchia di lividi per farti stare in ginocchio, inerme, dinanzi a quella bellissima corvina che volteggia tra le braccia del ragazzo dei tuoi sogni. Ti mette le mani alla gola, quando la tua nuova cotta bacia l'eroina dai capelli rossi e ti brucia la lingua quando stai per sbottare, infastidita. Infine, come se non bastasse, ti sbatte la testa contro il muro, quando senti il cuore uscirti dal petto alla vista di lui, così bello, fastidiosamente vicino da sfiorarlo con un dito, ma troppo lontano per prendergli la mano. La timidezza ti ha tagliato le dita. La verità è che è una stupida invidiosa, che ti vuole tutta per sé. È egoista, egocentrica e maniaca del protagonismo. La conseguenza è che vieni additata come "La muta", "quella senza amici", "la stramba", quella a cui mettere i piedi in testa, perché tanto lo sanno tutti che non reagirà. Lydia aveva capito che la timidezza la stava uccidendo dentro, ma non sapeva come liberarsi di lei. Era una parte troppo importante e troppo integrante della sua vita, non poteva semplicemente scacciarla via. Eppure lo avrebbe voluto. Osservò di sottecchi gli altri studenti: tutti sorridevano, parlavano, ridevano, mangiavano in compagnia. Poi c'era lei, Lydia McDonald, anni diciassette, purosangue, nata e cresciuta a Godric's Hallow, studentessa alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Tassofrasso, bacchetta di legno di frassino, nucleo di piuma di corvo, rigida, dodici pollici, particolare inclinazione verso l'Astronomia e la Divinazione, nessun segno particolare. Seduta infondo al tavolo, in Sala Grande, da sola, senza qualcuno con cui parlare. Si alzò dal tavolo, senza salutare nessuno (anche perché non aveva nessuno da salutare) e uscì dalla Sala Grande. La sua mente era concentrata sui pensieri puramente di speranza, di un futuro con Dean e, magari, con qualche amico. Non prestava assolutamente attenzione a dove metteva i piedi, così, senza rendersene conto, si scontrò con un'altra persona, che cadde a terra rovinosamente. Quando Lydia si rese conto dell'accaduto, la ragazza si era già rialzata. Arrossì all'inverosimile e, in quel momento, cercava una via di fuga. «S-s-cusa è che- mi d-dispiace» Cominciò a balbettare la Tassofrasso, ma l'altra non sembrava altrettanto nervosa, sicché sorrise divertita e rilassata. «Sta' tranquilla, camminavo senza guardare.» Rispose la ragazza ancora non identificata da Lydia, che non l'aveva neanche guardata in faccia. Un qualsiasi altro studente l'avrebbe presa per una maleducata e l'avrebbe mandata a quel Merlino, ma la studentessa che aveva accidentalmente colpito era un tantino diversa. «Piacere di conoscerti, mi chiamo Ginevra.» la mano pallida della ragazza le si parò davanti agli occhi. La Tassofrasso alzò finalmente lo sguardo, per incontrare un paio di gentili e frizzanti occhi azzurri. Cominciò a tremare: Ginevra Molly Weasley, la fidanzata di Harry James Potter, conosciuto come il salvatore del Mondo Magico, la settima figlia della mitica famiglia Weasley, la sorella di uno degli eroi, delle leggende Fred e George, ella stessa eroina, una delle ragazze più belle e coraggiose che avesse mai visto, aveva davvero piacere di conoscerla? Ginny, dal suo canto, guardava la ragazza dai capelli color rame, che aveva iniziato ad avere piccoli spasmi ed era arrossita talmente tanto che la sua faccia aveva assunto lo stesso colore di un pomodoro. «Ti senti bene?» Chiese la Weasley, incerta, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Vide l'altra socchiudere gli occhi per un attimo, come per calmarsi, e poi riaprirli. «Si, m-mi dispiace. Sono L-Lydia.» Si presentò, con voce tremante. «Stavo andando in Sala Grande, vorresti venire con me?» le chiese gentilmente Ginny. Lydia voleva disperatamente urlare "Si! Vengo con te!", piangere dalla gioia e gridare, ma lei le tagliò le corde vocali. Ancora una volta la ragazza abbassò la testa, scuotendola. «Ve bene, come vuoi, ci vediamo in giro, Lydia.» Rispose Ginny, con voce squillante, ma un po' dispiaciuta. C'era qualcosa di strano, in quella ragazza, qualcosa che le impediva di uscire allo scoperto, esplodere. La rossa lo aveva percepito. Non voleva che una ragazza, che sarebbe potuta benissimo essere lei, vivesse un malessere così acuto. Aveva capito, dal tremore delle sue mani, dallo sguardo vacillante e dalle guance rosse, che Lydia era vittima di qualcosa che era cresciuta con lei, fino a diventare più grande e sovrastarla, soffocarla. Aveva capito che non era abituata ad avere rapporti umani, che era sola, e la solitudine porta a fare cose inimmaginabili. Aveva imparato, dalla storia di Tom Riddle, che la solitudine era la peggior nemica che qualsiasi persona potesse avere e che, per sconfiggerla, si era disposti a fare di tutto, come reclutare seguaci e uccidere persone. Non temeva certo che la giovane Tassofrasso sarebbe diventata una Strega Oscura, ma sapeva cosa si provava ad essere soli e sapeva che non era bello. Al suo primo anno, Ginny era sola. Harry, Ron ed Hermione stavano sempre per conto loro, Fred e George erano "troppo grandi" per portarla con loro e tutti gli altri studenti la vedevano solo come "La sorella piccola dei Weasley". Non aveva ancora fatto amicizia con Luna o Neville e i suoi genitori non erano lì con lei per abbracciarla. Si sentiva come un pesce fuor d'acqua. Aveva trovato il diario nel suo calderone, aveva pensato che fosse una buona idea tenere un diario segreto, così aveva iniziato a scrivere cosa faceva, come si sentiva, con le sue parole ancora da bambina e la calligrafia infantile. Poi il diario aveva risposto. Tom era diventato il suo migliore amico, si sentiva finalmente capita e appoggiata. Aveva iniziato a manovrarla a suo piacimento, ma lei non lo percepiva. Ginny Weasley, però, non era una stupida, già dalla tenera età di undici anni era molto perspicace e intuitiva. Aveva capito che c'era qualcosa di sbagliato. Lydia non avrebbe trovato nessun diario magico, ma... «Lydia!» La chiamò Ginevra. La ragazza sobbalzò. «A pensarci meglio, non mi va di andare in Sala Grande. Facciamo una passeggiata nel bosco? Hagrid mi ha detto che le fate hanno bisogno di un po' di compagnia. Beh, più che altro di qualcuno che faccia loro complimenti. Sono molto vanitose.» Le disse entusiasta e sorridente. La ragazza annuí prima che potesse capire cosa avesse detto Ginny, prima che lei potesse capirlo. S'incamminarono insieme verso i boschi. «Mi dispiace dirlo, ma non credo di averti mai vista.» Lydia abbassò di nuovo lo sguardo. «Non mi piace attirare l'attenzione.» rispose quasi in un bisbiglio. La rossa si voltò a guardarla. «So come ti senti. La solitudine fa brutti scherzi. Ti sembra che tutti siano felici, in compagnia, e allora ti scoraggi, pensi di essere l'unica così. Appena trovi, però, qualcuno nella tua stessa situazione, per te è come un miracolo.» Lydia si bloccò nel bel mezzo del cortile. Il suo cuore perse un battito. Lei le voleva tappare la bocca. In un altro momento glielo avrebbe lasciato fare, ma adesso aveva un motivo per opporsi. «Come lo sai?» chiese, quasi incredula. La Grifondoro si voltò a guardarla. «Forse perché anch'io mi sono sentita così, una volta.» Rispose sorridendole. «Parlami di te.»Le propose Ginevra. «Cosa? Beh, non c'è molto da dire...»rispose timidamente, sforzandosi di non iniziare a tremare. Lei, intanto, continuava a stringere le mani alla gola, facendole venire il magone. «Non c'è bisogno che mi racconti la tua storia. Ad esempio, qual'è il tuo colore preferito?» le domandò la rossa che camminava di fianco a lei. «Il blu. Non in blu normale, cioè... Sembrerò stupida, ma... Beh, mi piace il blu del cielo, nel mezzo tra il crepuscolo e la sera.» Affermò, quasi in un sussurro appena udibile. Non lo aveva mai detto a nessuno, né tantomeno qualcuno glielo aveva mai chiesto. «Io adoro il rosso. Forse è banale, è il colore della mia casa. Ma mi piace quel rosso caldo del camino acceso. Hai presente?» Lydia annuì. Passarono alcuni secondi in silenzio, nei quali risultò evidente che Ginny la stava mettendo alla prova: voleva che fosse lei a fare il prossimo passo. La ragazza dai riccioli di bronzo si sentiva in dovere di dire o fare qualcosa. «Sono purosangue, nata e cresciuta a Godric's Hallow. Mia madre era una Grifondoro, mio padre un Corvonero. Si aspettavano che sarei andata in una delle loro casate, e, invece, li ho delusi, finendo tra i Tassi. In realtà mi sento a mio agio, ma loro non lo capirebbero. Prima di ricevere la lettera per Hogwarts i miei mi facevano già imparare giochi magici, sport magici e cose così. Mi piace giocare a Gobbiglie, vorrei imparare a giocare a Quiddich e ascolto delle band babbane, come le Spice Girls. Non mi piacciono i peperoni e il miei muffin preferiti sono quelli alla cannella. Sono una frana in Erbologia e Pozioni, ma adoro l'Astronomia e la Divinazione. Non so disegnare.» Ginny era stupefatta. La stessa ragazza che aveva detto si e no due frasi da quando si erano presentate, se ne usciva con un monologo su se stessa. Fu una delle pochissime volte che la sentí parlare così tanto. «Tassofrasso è una bellissima casata, e andresti d'accordo con la mia migliore amica, in fatto di gusti musicali. Potrei insegnarti a giocare a Quiddich, se ti va.» Le rispose la Weasley, sorridendo. Lydia ricambiò timidamente, annuendo. «Visto che tu mi hai parlato di te, mi sembra giusto che io faccia altrettanto. Ho sei- cioè cinque fratelli.» Un'ombra passò sul volto di Ginny, ma se ne andò così velocemente che Lydia pensò di esserselo immaginata. «Sono cresciuta in una casa non molto grande, dove molto spesso indossavo gli abiti smessi dei miei fratelli. A Natale mia madre ci cuce i maglioni con le nostre iniziali. Ormai ne ho talmente tanti che non so più dove metterli. Come ho già detto, il mio colore preferito è il rosso, sono una frana a Scacchi Magici, adoro il Quiddich, mi piace ascoltare le Weird Sisters, odio il budino, e credo che le ciambelle al cioccolato e miele siano la cosa più buona del mondo. Neanche io so disegnare e Pozioni non è la mia materia preferita, neanche Divinazione. Ovviamente vado molto bene nel Volo, ma anche in Trasfigurazione. Trovo che Storia della Magia sia la materia più noiosa al mondo, e il nostro insegnante la persona più noiosa al mondo. È Hermione che mi passa gli appunti, io non faccio altro che addormentarmi, ma è più forte di me, non posso farci nulla: appena inizia a parlare, sbam, mi si chiudono gli occhi.» Le due ragazze risero insieme, mentre entravano nel bosco. La riccioli di bronzo scoprí che la sua nuova conoscenza non era brava solo nel Quiddich, come si vociferava, bensì aveva una certa attitudine nella cura delle creature magiche. Le ascoltava, le capiva e ci parlava. Ben presto Ginny e Lydia si divisero, ma con la promessa di rivedersi per il Quiddich. Mentre si dirigeva verso la Sala Comune, per incontrarsi con i suoi amici, Ginny pensava a quanto le sarebbe piaciuto che la Tassofrasso entrasse a far parte della sua cerchia: non sapeva spiegarsi come, ma le era stata subito simpatica e sentiva un'affinità complessa, quella di chi, come lei, aveva il corpo cosparso di lividi della solitudine.
Lydia McDonald (Emma Laird)
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Angolo autrice. Buon pomeriggio! Come va? Questo è un capitolo a cui tengo molto perché, oltre a presentarvi un altro personaggio (di mia invenzione), affrontiamo insieme un problema che affligge per la maggioranza gli adolescenti e che, se non superato, può comportare serie problematiche nell'età adulta. È una questione spesso sottovalutata, la timidezza, e ho voluto personificarla per sensibilizzare e far capire che non è qualcosa da prendere sottogamba. Nel capitolo appare un po' come una rapitrice che manipola la mente di Lydia, impedendole di vivere per davvero. Lydia ha raggiunto la consapevolezza di avere un problema, ma non è abbastanza forte per affrontarlo da sola. Ed ecco che subentra Ginny, che, cresciuta con sei fratelli, ha sempre dovuto spartire l'attenzione dei suoi genitori con gli altri fratelli e, essendo l'unica ragazza della famiglia, non ha mai avuto nessuno che la comprendesse fino infondo, tranne Herm, ovviamente. Ginny si rivede in Lydia e teme che la solitudine la possa portare a fare cose di cui potrebbe pentirsi, perciò si sente in dovere di fare qualcosa e farla parlare di sé è stato un grande passo. Ricordatevi, prima di scherzare con nomignoli o prese in giro, che le parole feriscono tanto e che portano una persona già timida di suo a chiudersi ancora di più in sé stessa. Usiamo le parole, invece, per sensibilizzare e far riflettere. Spero di esserci riuscita, Baci, -M💕