"... And if somebody hurts you, I wanna fight
But my hands been broken, one too many times
So I'll use my voice, I'll be so fucking rude
Words they always win, but I know I'll lose
And I'd sing a song, that'd be just ours
But I sang 'em all to another heart
And I wanna cry I wanna learn to love
But all my tears have been used up
On another love, another love"
-Another love, Tom Odell.Traduzione:
"E se qualcuno ti ferisce, voglio combattere
Ma le mie mani si sono rotte, troppe volte
Quindi userò la mia voce, sarò così maleducato
Le parole vincono sempre, ma so che perderò
E canterei una canzone, che sarebbe solo nostra
Ma le ho cantate tutte a un altro cuore
E voglio piangere, voglio imparare ad amare
Ma tutte le mie lacrime sono esaurite
Su un altro amore, un altro amore. "
Ginny sedeva a braccia incrociate, la sua attenzione rivolta totalmente alle parole di Luna Lovegood, che aveva lasciato da parte, per un attimo, la sua aura spensierata ed era tornata con i piedi per terra, tirata giù da una forza di cui non aveva mai sentito la potenza come all'ora, chiamata forza di gravità.
«Io e Neville eravamo fidanzati. Mi ha chiesto di diventare la sua ragazza subito dopo la guerra.» Luna parlava piano, come se avesse paura di lasciar fluire le parole sulla lingua, farle incontrare in una danza fluttuante con l'aria e farle arrivare alle orecchie scrupolose dell'amica. Oppure, aveva paura di far luce sulla sua anima annebbiata. Ginny avrebbe voluto che arrivasse dritta al punto, ma se la Corvonero le stava raccontando cos'era successo prima, allora voleva dire che era di fondamentale importanza. «Sapete tutti del grande gesto d'amore che fece nel bel mezzo della battaglia. Neville aveva cominciato ad interessarmi già dal sesto anno, e, piano piano, me ne innamorai.» Parlava come un saggio parla alla sua tribù, come se stesse raccontando un mito di cui era, segretamente, protagonista. Dalla sua voce trasudavano malinconia e forte rassegnazione. «Da fidanzati era tutto bellissimo: ci vedevamo tutti i giorni, nei prati della mia casa. Era come vivere in una favola: passeggiavamo a lungo sotto il sole cocente di luglio, di tanto in tanto ci rintanavamo all'ombra dei cipressi, ci scambiavamo effusioni ed era così perfetto.» La ragazza dovette leggere in viso la domanda di Ginny. E allora cosa diavolo era successo?
«Fino a stamattina ero convinta del fatto che, semplicemente, dopo un po' avessi smesso di piacergli. Forse non aveva più voglia di viaggiare fino a casa mia, oppure di sopportare le mie stranezze. Mi lasciò il 1 Agosto. Non piansi, non davanti a lui. Gli feci credere di averla presa con filosofia, ricordo esattamente ciò che gli dissi e, ripensandoci, forse gli devo essere sembrata una stupida.» Lo sguardo fumoso era puntato verso il basso, le labbra tirate all'ingiú, la voce risultava consapevole, ma triste. «Cosa gli hai detto?» le chiese Ginevra in un impeto di curiosità e di fraudolenza involontaria.
«'Il destino ci riserva opportunità ed esperienze tutte nuove che non potremmo mai sperimentare se restiamo chiusi in una casa dorata e guardiamo la vita scorrere fuori dalla finestra.' » Ginny spalancò la bocca. «Oh.» Mormorò, mentre l'altra sospirava, consapevole del suo errore.
«E lui ha pensato che non t' importasse, È come se gli avessi dato il via libera per lasciarti e cercarsi un'altra ragazza. Ma tu lo amavi ancora.» Constatò Ginevra in un sussurro, mentre la bibliotecaria riponeva alcuni tomi nei propri scaffali. «Lo amo, Gin. Lo amo più di me stessa. Vederlo con Hannah è una sofferenza che mai avrei immaginato di poter provare.» Il dolore non si può esprimere a parole. È una consistenza inconsistente, ma pesante, grave, alterigia, che spezza in miliardi di molecole l'anima e disgrega in coltre densa e torbida il cuore sanguinante. Il dolore è un grido gelato in mezzo al fuoco sofferente e passionale, una pugnalata dritta a quell'organo pulsante che noi esseri umani ci ostiniamo a chiamare cuore. È una morte lenta e straziante dell'anima, come quella della neve candida che, ghiacciata, abbandona la condensa e si schianta al suolo con una veemenza tale da risultare mirifico, idilliaco, incomprensibile ad animo umano perché di una magnificenza tale da risultare straziante. Il dolore è uno squarcio dell'essere, una condizione di martirio talmente corrosiva e criptica alla ragione, che noi stupidi umani ci limitiamo a catalogarla come malessere, per dargli un nome, poiché non dargliene uno alimenta la paura. Ginny non avrebbe mai potuto comprendere il dolore immenso che la sua amica provava. Per capirla doveva autolesionarsi, essere masochista, provare le sue stesse cose. Luna, con la voce ormai traballante, continuò. «Lui credeva che a me non importasse, credeva che non lo amassi. Ho sbagliato, è tutta colpa mia. Se solo fossi stata meno con la testa tra le nuvole, se gli avessi fatto vedere ciò che c'era in me oltre la mia spensieratezza, se solo fossi stata più... Donna e meno bambina.» Luna singhiozzava. Gli occhi fissi sul tavolo in legno di quercia erano completamente annebbiati dalle lacrime trasparenti. Si sentí afferrare la mano dalla rossa, e, in un impeto di forza rinnovata, alzò lo sguardo, trovando quello della sua cara amica già su di lei, comprensivo, gentile, affettuoso. «No, Luna. Tu lo amavi e credevi che lui ti amasse per quella che eri, cioè la ragazza bellissima e sognatrice che sei. Non è stata colpa tua.» Sussurrò soave. La riccia scosse la testa. «Non sono io. Ancora non l'hai capito, Gin? Ho le mie stramberie, è vero, e mi piacciono, mi fanno sentire unica. Credo nel destino, nelle mie creature e nelle favole. Ma è solo una piccola parte di me. Un'altra è quella che ti sta parlando ora.» A Ginny sembrò, in quell'esatto momento, che qualcuno le stesse togliendo una benda dagli occhi. Era stata cieca. Luna era una ragazza distrutta, dall'amore e dalla guerra. Curioso come vadano a braccetto pur essendo così diverse, ma l'uno scaturisce l'altra. Luna non era solo la ragazzina dall'aria trasognata, dai pensieri saggi e dalle strane maniere. Era prima di tutto una giovane donna, con dei sentimenti veri, feroci e pulsanti, che per troppo tempo aveva represso nel tentativo di proteggersi nella sua aurea candida. Era come se, dopo la guerra, l'incantesimo fosse stato spezzato, ma lei, spaventata da se stessa, avesse cercato di lanciarne uno nuovo, che non era potente come quello precedente perché qualcosa in lei era cambiato irrimediabilmente. «Scusami, Luna.» Mormorò dispiaciuta la Weasley, guadagnandosi uno sguardo confuso da parte della bionda. «Scusami per essere stata così cieca.» Spiegò. La Corvonero le sorrise, scuotendo il capo, la guardò con gli occhi di chi aveva già perdonato e il cuore di chi aveva già capito.
«Comunque, quando mi lasciò, all'inizio non fui capace di provare più nulla. Era strano, non piangevo, non mi disperavo, sembrava quasi come se Neville e il mio amore per lui non fossero mai esistiti. Credevo fosse cosa buona. Non lo era. Era solo una fase di preparazione, come il sole prima della tempesta. Non avevo capito che il mio cervello stesse attuando un processo di autodifesa. Non-» la sua voce si ruppe, fu costretta a fermarsi. Ginny, con le lacrime agli occhi, sapeva di cosa stava parlando. «Non avevi idea del fatto che quello che sarebbe arrivato dopo era la causa della tua autoconservazione.» Soffiò, mentre uno squarcio all'altezza del petto le fece mancare il respiro. Quando aveva visto il corpo di suo fratello Fred a terra, inerme, quando aveva visto George immobile, anima distrutta e corpo senza vita. Quando aveva osservato Ron straziato, Percy urlante, Bill incredulo, Charlie in lacrime e sua madre, la sua cara e povera madre, che gridava dal dolore. Quando tutto le era parso sfocato, attutito, quando non sentiva più nulla e suo padre l'aveva abbracciata disperatamente in un tentativo di proteggerla dallo scempio, quando Hermione le aveva stretto forte la mano, quando Harry era caduto in ginocchio, singhiozzante. Lei non aveva provato nulla. Si era chiusa in una bolla di sorda apatia, non aveva neanche visto i Mangiamorte che attaccavano, né aveva sentito le urla disperate e laceranti. Non aveva sentito l'odore di morte e lacrime, non le si era squarciato il cuore in un grido di pura sofferenza. Non ancora. Non aveva sentito Bellatrix Lestrange, non si ricordava come, con tanta freddezza, fosse riuscita a duellare con lei, prima che sua madre, impazzita dalla furia e dal dolore, distruggesse in mille pezzi la Mangiamorte. Poi qualcosa si era spezzato. Non seppe come, ma era quando aveva visto Hagrid portare in braccio Harry. Aveva lanciato un grido disumano e, solo in quel momento, solo in quell'istante cruciale, aveva realizzato che una parte della sua anima si era dapprima frantumata in miliardi di pezzi, poi si era staccata definitivamente da lei, provocandole una sofferenza talmente atroce da farla stare male anche fisicamente. Era come se, il suo cervello, stesse provando a non far gravare troppo la sua sofferenza spirituale cercando di trasformarla, in piccola parte, in dolore fisico. Luna si sentí capita. Strinse di più la mano dell'amica, per darsi e darle forza. «Li seguo. Neville e Hannah. Quando posso me ne sto nascosta, ad osservarli, ad immaginarmi al posto della Abbott. È da masochisti, non è vero? Senza contare il fatto che non dovrei invadere la loro privacy in questo modo.» Confessò, vergognandosene un po'. «Mi dispiace davvero tanto, Luna, non biasimarmi se ti dico che standoli a guardare fai del male a te stessa. Dimmi, hai intenzione di farlo ancora?» la bionda abbassò lo sguardo, scuotendo la testa.
«No. Stamattina io e Neville abbiamo chiuso. Sa che lo amo ed è andato comunque da Hannah. Non sono arrabbiata, non gliene faccio una colpa. Lui la ama davvero e io voglio vederlo felice.» Sembrava sconfitta. Come una guerriera che, dopo aver combattuto fino allo stremo, aveva capito che la sua causa era ormai persa, e si era rassegnata. Aveva capito che stava combattendo per qualcosa per la quale si doveva combattere in due. Si era resa conto, d'improvviso, che era da sola, seppur lo avesse, in cuor suo, sempre saputo. Aveva realizzato che, non solo quella che sarebbe dovuta essere la sua spalla era diventata la spalla di qualcun altro, ma, soprattutto, che era più felice di quanto lo era quando spalleggiava lei. E a lei andava bene così. Era stata lei a sbagliare con Neville, a non dimostrargli tutto ciò che provava per lui e adesso ne pagava le mere conseguenze. « Hai fatto un errore, è vero, ma ciò non significa che dovrai punirti a vita. Devi perdonare te stessa. Perdonati e potrai darti una seconda possibilità.» Ginny la guardava con occhi fiduciosi e affettuosi. Si rese conto che le voleva davvero bene, che fino a quel momento l'aveva sottovalutata e data per scontato. Le prese anche l'altra mano, le sorrise come se le stesse rivolgendo il primissimo sorriso sincero e la invitò a continuare.
«Ieri notte stavo facendo il giro di Ronda ed è sbucato Nott.» Luna sembrava aver perso, d'un tratto, il coraggio che aveva avuto fino a quel momento. Parlare a Ginny dei suoi sentimenti per Neville era stato più semplice, poiché Neville era Neville. Ma Theodore era Theodore. Era un Serpeverde, figlio di un Mangiamorte. «Gli ho tolto parecchi punti. Lui stava per obliviarmi, per togliermi il ricordo di averlo visto violare il coprifuoco. E io ho fatto una cosa...» Improvvisamente fu come se un macigno si fosse piantato nella gola di Luna, che deglutí a fatica. Ginny alzò un sopracciglio. «Cos'hai fatto? Non può essere tanto grave...»Chiese la rossa, abbassando il tono, come se intendesse l'opposto. «Non so perché l'ho fatto, potevo semplicemente difendermi con un Protego, ma...» Il cuore della Weasley aveva preso a battere più velocemente del normale. Stava per sbottare, per incitarla a darsi una mossa, quando riprese a parlare. «Ho usato Legilliments.»l'aria elettrica che stava per arrivare nei polmoni di Ginny, d'un tratto si bloccò in una nuvola di condensa. Tratteneva il respiro, con gli occhi a dir poco fuori dalle orbite. Le tremavano le mani e la testa aveva cominciato a girare. «C-cosa?» balbettò, quasi soffocando. Si costrinse a riprendere a respirare. «Non so perché l'ho fatto...» sussurrò incerta. «Dove l'hai imparato?» chiese solo la piccola di casa Weasley, con il magone alla gola. Per lei l' Occlumanzia era Arte da cui stare lontana. Le ricordava in modo atroce e inevitabile quello che Voldemort faceva a Harry, il suo amato Harry. Gli faceva vedere ciò che voleva, entrava nella sua testa e scavava tra i suoi ricordi, senza ritegno. «Mio padre. Prima che i Mangiamorte mi catturassero e mi portassero al Malfoy Manor. Non voleva che loro entrassero nella mia testa e ha funzionato. Ma io avevo imparato solo a difendermi, non di certo a lanciare l'incantesimo. Io non so come ci sia riuscita, né-» Luna fu interrotta bruscamente da una Ginny che, capendo ciò che l'amica le stava per dire, era del tutto scossa. «Mi stai dicendo che ci sei riuscita? Cioè- si passò nervosamente una mano tra i capelli lisci, assottigliando le labbra e strabuzzando gli occhi.- Sei entrata nella testa di Theodore Nott, il figlio di uno dei Mangiamorte più forti ancora in circolazione?» Le tremava la voce, non di paura, ma d' incredulità. Non poteva crederci. Come ci era riuscita? Sembrava una cosa impossibile, eppure... «Si, è così. Ma non l'ho fatto apposta, cioè, si, ho lanciato io l'incantesimo ma non so perché l'ho fatto.» Con la voce intrisa di nervosismo e dispiacere, Luna si passò, stancamente, una mano sul volto. Ginny non provò neanche a chiederle cosa avesse visto, perché aveva già capito che l'amica non glielo avrebbe mai detto. Era strano: non le sarebbe dovuto importare nulla di uno come Nott, ma dimenticava che Luna era pur sempre Luna, un po' stramba, certo, ma docile di cuore, gentile e sempre con una mano rivolta verso gli altri. Si sentiva terribilmente in colpa. Sentiva di aver violato la sua privacy, di essere entrata in ricordi intimi dei quali non avrebbe mai dovuto conoscerne l'esistenza. Aveva violato il suo spazio, la sua mente e la sua anima. Non avrebbe dovuto farlo. Non conosceva affatto Theodore Nott, e, entrando nella sua testa, non aveva fatto altro che divorare, voracemente, sprazzi della sua storia. «Non lo biasimerei se adesso lui ti odiasse.» Disse la rossa, facendo un sorrisetto. «Era per questo che ti osservava, in cortile? Anche se... Non sembrava arrabbiato.» Rifletté la rossa, mentre quasi si sentivano gli ingranaggi del suo cervello lavorare velocemente in cerca di una spiegazione. Luna si sentí avvampare. Le sue guance si colorarono di un rosso acceso che risaltava in maniera imbarazzante sulla sua pelle lattea. Iniziò a sentire caldo, tanto che tolse la sciarpa che aveva intorno al collo. Accorgendosi del disagio dell'amica, Ginny aggrottò, confusa, le sopracciglia. «È successo qualcos' altro?» Chiese, aspettandosi ormai di tutto. Luna iniziò a biascicare parole confuse, non alzando mai gli occhi dal tavolo e arrossendo all'inverosimile. 'Che diavolo è successo, ancora, di più grave che usare un Legilliments su un figlio di un Mangiamorte?' Si domandò lei, non aspettandosi minimante quello che la bionda le stava per dire. Non l'avrebbe immaginato neanche nei suoi pensieri più remoti e bizzarri, non avrebbe mai potuto concepire un pensiero del genere, perché era del tutto fuori dal solo immaginare. La bionda non faceva altro che tremare e balbettare, balbettare e tremare, finché la Grifondoro non sbottò, nervosamente. «Eddai, non può essere così grave!» Esclamò, alzando la voce e guadagnandosi un'occhiataccia dalla Bibliotecaria e da una Corvonero seduta più in là. Ginny sbuffò, conscia del fatto che, lì dentro, il silenzio era sacro. Solo che lei non era abituata all'assenza di rumori. «È peggio, Gin. Peggio. Non tanto per quello che è successo, ma per come mi sento io.» Mormorò, aprendo una finestra fatta di legno massiccio. Ginny restò in attesa paziente, affiancandola alla finestra, permettendo ai loro respiri e alle loro parole di uscire da loro stesse e mescolarsi con l'aria fresca proveniente dall'esterno. La rossa evocò un bicchiere d'acqua e ne prese un sorso. «Ci siamo baciati.» In men che non si dica, l'acqua che stava per scivolare, fluidamente, nella gola della Grifondoro, diventò improvvisamente troppa per essere contenuta nella faringe, perciò si riversò di nuovo nella bocca che, impreparata, si spalancò, facendole sputare tutto fuori, bagnando il prato sottostante la finestra. Ginny prese a tossire convulsamente, rischiando di esser cacciata fuori dalla rigida bibliotecaria. L'amica le diede dei colpetti sulla schiena per farla riprendere, ma la rossa quasi non respirava più. Quando riuscì a far circolare aria nei polmoni, si voltò, con il viso stravolto, verso Luna. «Non credo di aver sentito bene. Puoi ripetere?» Chiese Ginny con voce strozzata. «Hai capito bene, Gin.» Rispose, guadagnandosi un'occhiata tra l'incredulo e l'inferocito. Ancora con le guance bollenti, gli occhi spalancati e i pugni stretti, la ragazza dagli occhi limpidi appoggiò i gomiti sul davanzale. «Stai scherzando? Devo ricordarti chi è lui?» Era arrabbiata. Non aveva dimenticato la guerra, non aveva dimenticato la sofferenza, la disgrazia, la morte. Lui era il figlio di uno di loro. Anche se non era stato marchiato, anche se non portava il suo simbolo, aveva combattuto dalla loro parte. Ma lei non sapeva ciò che Luna aveva visto nei ricordi di Theo. Non sapeva che si era ritrovato in mezzo alla battaglia, confuso, senza capire contro chi o cosa stesse combattendo realmente. «La guerra è finita, Gin e abbiamo perso, tutti.» Sussurrò in una malinconia velata, facendole intendere che ciò che sapeva di Theodore Nott era niente. La rossa sospirò. Ma che le era preso? Se la McGonall aveva lasciato tornare a scuola molti Serpeverde c'era una ragione. Conosceva a malapena la storia dei Nott: il padre di Theo era un fanatico pazzo, che per anni aveva cercato di scavalcare Lucius Malfoy nel tentativo di prendersi il posto come braccio destro del Signore Oscuro. La madre era molto innamorata di suo marito, ma aveva capito che aveva perso del tutto il lume della ragione, quindi ne aveva preso le distanze, insieme a Theo. Il signor Nott era ancora libero, ma né suo figlio, né sua moglie, sapevano dove si trovasse. Alla fine la signora Nott era stata esiliata, ma era stato concesso al figlio di frequentare Hogwarts. Se era innocente agli occhi della legge, doveva esserlo anche ai suoi. Ma di certo non poteva diventare sua amica, né tantomeno rivolgergli la parola. «Scusa Luna, hai ragione. Spiegami cos'è successo.» Disse in un bisbiglio stanco, vinto. «Non so di preciso come sia successo e neanche perché. Era come se ci fosse qualcosa a spingerci l'uno verso l'altra... Io-» Luna era arrossita ancora, al ricordo di quella notte, al ricordo di come si era sentita sotto il suo sguardo, al suo viso bellissimo, i suoi capelli che aveva avuto il privilegio di stringere tra le dita. Alla sensazione assurda di quando aveva poggiato le mani sui suoi fianchi e a quando aveva completamente perso la testa appena le labbra del giovane dagli occhi verdi si erano posate sulle sue. Sentí una risatina alla sua destra e si voltò verso l'amica. «Perché stai ridendo?» chiese, inclinando la testa.
«Oh, scusa è che... È esilarante vederti così in imbarazzo, non lo eri mai stata. Comunque, era attrazione fisica. Fisicamente siete attratti l'uno dall'altra, solo che non ve n'eravate mai accorti, prima.» La bionda guardò fuori dalla finestra, osservando il prato verdeggiante e diversi studenti che chiacchieravano e si svagavano. «Cos'è cambiato?» La rossa scrollò le spalle. «Non lo so, il genio è Hermione. Avevi detto che volevi parlarne con me e con lei. Come mai?» chiese Ginevra, riflettendoci solo in quel momento. L'aria fresca del pomeriggio le aveva dato sollievo e lucidità, dopo tante, troppe informazioni e sentimenti. «Siete mie amiche.» Rispose l'altra, ma entrambe sapevano che non era solo per quello. Anche Padma, Parvati e Cheryl erano sue amiche, ma non si sarebbe mai sognata di confidare una cosa del genere a loro. Dopo un'occhiata eloquente, Luna sospirò. «Perché tu sei il cuore, Gin. Agisci d'istinto, segui i tuoi sentimenti. Hermione è la mente, prende le decisioni in modo razionale, calcola i pro e i contro. Anche se le poche volte che l'abbiamo vista prendere decisioni seguendo il suo cuore, si è rivelata in tutta la sua bellezza interiore.» Confessò, sorridendo. «Herm è la mia migliore amica, vorrei tanto che delle volte ascoltasse di più i suoi sentimenti. Ma non è questo il punto.» Replicò Ginny. «Da questo punto in poi, deve ascoltare anche Hermione.» Luna si strinse la coda alta, poi, girandosi verso la rossa, la invitò ad andare a cercarla.
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Life.||Dramione
FanfictionTratto dal prologo: "Probabilmente vi sarete chiesti innumerevoli volte che cosa sia la vita. Lo avrete cercato nei libri, lo avrete chiesto ai vostri genitori, avrete desiderato così tanto saperlo da non accorgervi che la risposta è proprio sotto...