43- I was drunk.

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"And we've drunk a couple bottles, babe
...
the papers say it's doomsday"
-As the World Caves In, Matt Maltese

Traduzione:

"E abbiamo bevuto un paio di bottiglie, piccola
...
i giornali dicono che è il giorno del giudizio"

La mattinata terminò più leggera di com'era iniziata e il primo pomeriggio, nel suo colore azzurro acceso, era arrivato con un tepore che diede a Hermione la sensazione di conforto, una mano delicata e gentile ad accarezzarle la spalla. Non era ancora riuscita ad avvicinarsi ad Harry, che si era ostinato ad evitarla tutta la mattina e non aveva incrociato il suo sguardo nemmeno per sbaglio. Eppure Hermione aveva capito lo stesso che Harry era stato devastato dal terrore, che aveva lottato contro se stesso per dare ascolto a Ginny e non chiamare gli Auror subito, che il cuore doveva essersi distrutto dalla paura e dallo sconcerto troppo grandi e troppo forti. Ma la strega non era riuscita a trovarlo, da nessuna parte e, ormai, era giunta l'ora della sua punizione, a cui non poteva mancare. Quasi l'aveva accolta con piacere, sapete? Una piccola pena da scontare per il suo enorme errore, un piccolo sconto al peso al petto che non la faceva quasi respirare, una boccata d'aria fresca che riusciva a rendere il tutto, dentro di sé, meno condensato, meno asfissiante. Quando arrivò alla serra e la professoressa Sprout le mostrò cosa fare, lei non faceva altro che pensare ad Harry e a come doveva essersi sentito, tanta da voler contemporaneamente restare lì, con le mani nella terra e le cuffie sulle orecchie che le impedivano di ascoltare tutto fuorché i suoi pensieri, oppure scappare via il prima possibile e raggiungere il suo migliore amico, ovunque si trovasse.
«Attenta a quella Belladonna, cara.» esclamò la professoressa Sprout, le guance paffute arrossate dall'alta temperatura presente in un angolo della serra, in cui la donna stava sistemando delle piante carnivore che avevano bisogno di una dormita. Hermione riuscì ad afferrare il vaso di Belladonna appena in tempo, a un millimetro dal bordo del tavolo. L'insegnante rientrò nel castello, avendo dimenticato di chiedere a Lumacorno una pozione per le appena nate Mandragole, e così Hermione rimase da sola nella Serra afosa, il sudore a scorrerle sulla fronte in goccioline e le mani piene di terra. Quando il caldo diventò talmente insopportabile da impedirle quasi di respirare, la ragazza aprí una finestra, consapevole di non poter in nessun modo interrompere l'incantesimo senza il consenso della Sprout. Una folata sottile di aria fresca le entrò nei polmoni, in una carezza piacevole e rifocillante, quindi la giovane strega si rimise a lavoro, travasando un arbusto che produceva nettare di fate. Il cinguettio degli uccelli le riempiva le orecchie e le alleggeriva l'animo, in una sorta di terapia che le scioglieva i nervi tesi e la mente impegnata e trafficante fra i pensieri. La tranquillità e la quietezza della natura furono però spezzate da qualcosa di altrettanto piacevole, ma più intenso e vibrante, che afferrò il cuore di Hermione e se lo strinse in una morsa che non era affatto dolorosa. La strega si voltò di scatto, le guance sporche di terriccio e visibilmente arrossate per un motivo diverso dal caldo afoso, i capelli carichi di umidità, gonfi più di quanto già non lo fossero, gli occhi febbricitanti che guardavano fuori dalla finestra aperta. Era la risata più bella che avesse mai sentito, così sincera e pura, cristallina, a dirla tutta, che le fece ridere il cuore, per aggiustarglielo un altro po' in quel processo di guarigione, iniziato la notte precedente. Hermione si sentí felice come colui o colei che stava ridendo, si sentí leggera e per un attimo pensò di star solo sognando, un sogno bellissimo che l'aveva portata in una fetta dell'universo in cui esisteva solo quella risata. Hermione si affacciò alla finestra, curiosa di sapere da chi potesse provenire un suono tanto bello. "Da qualcuno di puro." Pensò nell'immediato. Eppure il suo sogno dovette infrangersi in mille pezzi non appena gli occhi le furono catturati da crini chiarissime, candide alla luce del sole. Fili d'oro che parevano quasi argento, abbaglianti, certo, ma di una lucentezza che t'invitava a guardarli per ore. Draco se ne stava lì, da solo, la camicia sbottonata a metà, le maniche arrotolate fino al gomito, i capelli disordinati. E in tutto quel disordine risultava perfetto, perché in realtà, lui, del disordine ne aveva bisogno, nel caos ci stava benissimo, perché qualunque cosa fosse successa lui non si sarebbe lasciato scomporre. In una semplicità disarmante come la bellezza di un raggio di sole nel gelo di Dicembre, si divertiva a stuzzicare un piccolo snaso, che, capriccioso ma dolce come il miele, gli stava sulle spalle e gli si nascondeva tra i fili di stelle. A Hermione tremarono gli occhi, vibrarono le membra, una sensazione che mai aveva provato prima la pervase da dentro e le si scatenò dappertutto, non lasciandole nemmeno il fiato per respirare. Hermione si aggrappò con le mani al bordo della finestra, si sporse per osservare qualla figura che mai avrebbe pensato potesse essere così bella. Arrossí al solo pensiero, rimangiandosi a morsi ciò che aveva pensato, ma quando il giovane dalle ali di cristallo si voltò, lei fu costretta a sputare tutto fuori. La prima cosa che vide furono le sue labbra distese e morbide, la fila superiore dei denti che si lasciava intravedere, le pieghe d'espressione che sembravano richiamarla. Draco stava sorridendo e a Hermione sembrò di essere in un mondo parallelo ed estraneo in cui non esisteva altro che il sorriso morbido di lui, le sue movenze eleganti eppure rilassate, quella regalità che faceva parte di lui anche mentre lui nemmeno ci faceva caso. Un Serafino, ecco cosa percepiva di star guardando, bramando con gli occhi, con le labbra tremule e con il corpo improvvisamente troppo caldo. Sapeva però che in realtà Draco era quell'angelo di nebbia e cristalli, di corone di spire e piume di neve, che era stato cacciato via dal Paradiso, spedito dritto sulla terra per incantare le anime più buone e sensibili, per provocare dolore con la sua sola presenza intoccabile che ammaliava il più temerario dei coraggiosi. Ma lei in quel momento non percepí altro che eterna pace ad abbracciarle l'anima, una nuvola candida, paragonabile allo zucchero filato, tanto dolce e sottile, alleggerita dagli occhi chiari e luminosi, per una volta sinceri, benché non posati su di lei. Draco, in un movimento fluido delle anche, si voltò nella sua direzione, in un'eleganza trasparente eppure tanto riflettente da risultare sublime, come un diamante di ghiaccio che, nella sua delicatezza dirompente, era capace di intrappolare un piccolissimo grammo di luce nelle sue centinaia di facce, baciarlo, abbracciarlo e accarezzarlo, per poi lasciarlo andare da tutte le parti, in tutte le direzioni e in tutti i secondi possibili, farlo riflettere ovunque in miliardi di colori di versi, finché quello non sentiva il desiderio di ritornare dal diamante ghiacciato che tanto lo aveva fatto sentire felice.
Ma proprio mentre quei due cristalli che aveva al posto degli occhi si posavano su di lei così, ancora puliti, ancora bellissimi, lei si voltò, il cuore che voleva correre via dal suo petto e le guance più rosse di quanto non le avesse mai avute. Strinse le mani sul bordo della finestra, dietro di lei, strinse gli occhi come a volersi cancellare dalla mente l'immagine di lui, ma quella, al contrario, le entrò ancora di più nelle membra, attraverso il sangue e le ossa, i polmoni e le narici. Quando riaprí gli occhi vide la Sprout arrivare con un enorme cesto, carico di pozioni, piante e fogli di pergamena.
«Oh, cara ho dimenticato di dirti che avresti potuto annullare l'incantesimo!» esclamò, appena vide la finestra aperta e le guance accaldate della giovane. Poggiò il cesto sul bancone da lavoro e con un semplice colpo di bacchetta il calore afoso nella serra si attenuò, permettendo a Hermione un po' di sollievo. Mentre la strega si asciugava le goccioline di sudore dalla fronte, l'insegnante iniziò a tirar fuori innumerevoli fogli di pergamena, che riempirono quasi tutto il tavolo, tra le piante e le foglie svolazzanti. Hermione riprese a travasare, mentre la Sprout, con una penna d'oca e le guance arrossate, borbottava tra sé e sé, fogli volanti a sfuggirle dalle mani.
Hermione si morse un labbro, indecisa se chiedere cosa la turbasse tanto o continuare a farsi gli affari suoi. La Sprout sembrava non trovare pace, indecisa e nervosa e alla fine la ragazza si decise a domandare a mezza voce, delicata come la spuma marina di fine luglio.
«Professoressa, c'è qualcosa che non va?» la donna, in un borbottio innervosito, alzò gli occhi piccoli su di lei, scrutandola per qualche secondo, poi sospirò.
«Vedi, signorina Granger, la Preside mi ha affidato il compito di scegliere le piante decorative più adatte al Ballo delle Streghe, ma la maggiorparte di quelle è ancora in crescita e non sbocceranno prima del 2 Novembre. Sono piante assai capricciose ed esigenti, non un giorno dopo, non un giorno prima.» Le spiegò, iniziando a cercare qualcosa tra le pozioni versate in bottigliette dalle forme assurde. Hermione, però, era inciampata a un certo punto del discorso: il Ballo delle Streghe. Che cos'era? Quando ne avevano parlato? Beh, probabilmente quando Hermione era troppo impegnata a sparire. E in quel momento si spiegarono i sussurri concitati ed eccitati a cui aveva scelto di non prestare attenzione, i ragazzini elettrizzati, i più grandi altrettanto agitati. Sicuramente avrebbe chiesto a Cheryl e Ginny, le due anime festaiole, se sapevano qualcosa a riguardo anche se, ne era certa, quelle due non si erano lasciate sfuggire nulla. In un battito di ciglia si ricordò che avrebbe dovuto dire qualcosa, anche se lei non sapeva molto di piante.
«Professoressa, forse potrebbe chiedere a Neville. È un grande appassionato di erbologia e sono sicura che sarebbe contento di aiutarla.» consigliò con il tono sicuro, consapevole delle grandi capacità dell'amico. «Il signor Longbottom? Sicuramente un appassionato, ma molto maldestro... Anche se, devo ammettere, che ha delle capacità innate- l'insegnante sospirò un secondo, il sorriso lieve a piegare le labbra secche- tutte prese da sua madre.» sussurrò piano, mentre il cuore di Hermione fece un balzo inaspettato. Alice, la madre di Neville, la donna dai capelli corti e gli occhi dolci vista nella foto dell'Ordine della Fenice, le ritornò in mente. Delle volte le persone dimenticavano che Neville era cresciuto senza genitori, rinchiusi al San Mungo da anni, il senno che li aveva abbandonati. Lui non aveva mai dato a vedere la sua sofferenza a riguardo, ma Hermione non dubitò che fosse enorme. I pensieri della giovane furono interrotti dalla donna che, con tono gentile, le disse che sarebbe potuta andare via. Si tolse il grembiule carico di terra e uscì dalla Serra, sperando di non essere in condizioni troppo pietose. Stava andando verso l'ingresso del castello, il cortile vuoto e tranquillo le calmò i pensieri agitati che le frullavano in testa in modo caotico. Hermione chiuse gli occhi, l'aria le entrò nei polmoni gentilmente, quasi ad augurarle buona fortuna. Harry era il suo pensiero principale in quel momento e doveva trovarlo a tutti i costi. Non poteva far finta di nulla, non poteva andare in Sala Grande per cenare e non sedersi accanto a lui, sorridergli o guardarlo negli occhi. Uno spostamento d'aria e un respiro di troppo, un secondo in più e una vibrazione più violenta, un urto deciso ma senza cattiveria la costrinsero ad aprire gli occhi sempre troppo sinceri. Non fece in tempo ad afferrare una piega o un ritaglio di pelle che si trovò a terra, la schiena dolente e la testa pulsante. Confusa, strizzò gli occhi, cercando di tirarsi su dall'erba inumidita, il profumo della rugiada ad attraversarle le narici. Si tirò a sedere e prima che potesse alzare gli occhi per rendersi conto di chi l'avesse scaraventata a terra, una voce che conosceva, suo malgrado, troppo bene, le parlò in una sfumatura strana, che a primo impatto le sembrò quella di sempre.
«Guarda dove vai, Granger.» gli scivolò dalla lingua, mancante però di quella nota di sottofondo tipica, la malignità che di solito gli macchiava il suono della voce. Hermione si rialzò a fatica, gli occhi che trovarono i suoi senza indugio. Eppure quella strega tanto coraggiosa fu costretta a posare lo sguardo altrove, perché gli occhi di Draco Malfoy non erano semplici da guardare, non lo erano mai stati. Erano traboccanti di vuoto e questo la spaventava terribilmente. Non avevano una sfumatura o ne avevano talmente tante da annullarsi tra loro, in entrambi i casi il risultato era lo stesso: distesa infinita di nebbia, torbida bruma spumosa, anni luce di galassie spente, morte insieme ai secondi passati a decifrare quelle pupille tanto enigmatiche e ingannevoli. La strega dai riccioli di rame stava per andare via, ma quel mago dai fili di luna aveva deciso che non sarebbe andata così.
«Eri ubriaca stanotte.» riportò lievemente a galla i ricordi di Hermione, che si erano assopiti tra le piege della sua mente, schiacciati dalla preoccupazione di perdere per sempre i suoi migliori amici. Draco la osservò mentre gli occhi le si abbassavano in un punto imprecisato del suo petto, le labbra strette e il volto sporco di terra. Non sapeva cosa voleva da lei, eppure non se l'era sentita di lasciarla andare così. Sentiva una sorta di forza interiore che prendeva il sopravvento all'improvviso e gli faceva fare cose che, ne era certo, non avrebbe mai fatto. Quello che non sapeva Draco era che il suo animo contorto e insidioso si stava dividendo in due: una parte non voleva avere nulla a che fare con quella ragazza che aveva odiato per così tanto tempo, l'altra era insediata nel suo subconscio e stava piano piano, come una lava incandescente e densa, scivolando verso il suo inconscio. Voleva trovare uno spiraglio di luce, e quello spiraglio era, in qualche modo strano, Hermione Granger, che anche nei suoi momenti più spenti emanava una luce che gli faceva vibrare le ossa.
«Si, lo ero. E comunque ti ringrazio per- emh, aver avvisato Ginny.» La voce leggermente rauca di lei gli arrivò alle orecchie vibrante, come una scossa di terremoto piccola, eppure destabilizzante.
«Prego, Granger. Devo dire che è stato alquanto divertente vederti annegare nell'alcol.» gli si srotolò sulla lingua in un modo tanto fluente e naturale, con un sottotono sinceramente divertito, che ha Hermione salì un brivido lungo la spina dorsale. L'attraversò all'improvviso, le scosse le ossa e i muscoli, le afferrò i polmoni e glieli strinse come a volerli abbracciare. Non sapeva cosa dire, cosa fare, dove guardare, come respirare. Era così diverso che non si ricordava più neanche dove fosse o dove volesse andare. Intrappolata in una spirale di vibrazioni che non facevano altro che tenerla inchiodata lì, davanti a lui, la strega tanto coraggiosa e insolente appariva d'un tratto disorientata, insicura, come una bambina, con le guance rosse coperte dal marrone della terra, le mani completamente infangate, i capelli un cespuglio ingarbugliato di riccioli e gli occhi puri, dolce caramello sciolto al sole, le ciglia lunghe a fare da corona di raggi. A Draco sembrò proprio una bambina e un calore tenue eppure stravolgente gli scaldò il cuore. Un piccolo sorriso gli comparí sulle labbra, piegate contro la loro volontà da quella parte del subconscio che avrebbe voluto rigirarsi tra le dita uno di quei riccioli di bronzo.
«Come sempre vedo che gioisci delle mie disgrazie. Nulla che non mi aspettassi» Rispose lei senza guardarlo, mentre gli passava accanto per entrare nel castello. Ma proprio nel momento il cui le loro spalle si sfiorarono, il calore del suo corpo la investiva e il suo profumo le si intrappolava tra le narici, Draco agí ancora. Quella sera non ne voleva proprio sapere di lasciarla andare e, senza nemmeno pensarci, le afferrò il braccio. Il cuore di Hermione si fermò un istante di troppo, le guance tornarono ad infiammarsi, gli occhi sgranati, il respiro bloccati in mezzo ai polmoni, la bocca asciutta. D'istinto strappò via il braccio dalla mano diafana del ragazzo, che si mordeva la lingua in una punizione per aver agito in modo così istintivo e sconsiderato.
«Non sai proprio niente.» la voce profonda e roca gli uscì più seria di quanto avrebbe voluto. La mora aggrottò le sopracciglia, confusa e allo stesso tempo sorpresa, un sospiro le scappò involontario, mentre sulla bocca e tra le orecchie le tremavano ancora le vibrazioni della sua voce. Le sopracciglia le si aggrottarono leggermente, in un secondo la sua espressione mutò in un dubbio scottante, che ricacciò indietro quasi subito.
«Che cosa dovrei sapere, Malfoy?» la voce le uscì troppo flebile per i suoi gusti, ma gli occhi fermi, fissi su una parte imprecisata sul volto di lui, furono abbastanza per renderla meno incerta di quanto fosse in realtà. A Draco pungeva la lingua, le labbra, gli occhi, la gola, le guance, il petto, le gambe. Tutto in lui era ricoperto di spine che crescevano a dismisura, una in più ad ogni respiro di lei. Che cosa avrebbe dovuto sapere, la Granger? Che lei, in un modo strano e contorto, sbagliato e incancellabile, aveva aperto di botto uno dei drappi scuri che lo circondavano e aveva fatto entrare una luce flebile, che a Draco, abituato al buio voschioso della notte, era parsa una fontana di sole? Cosa avrebbe dovuto spiegarle? Che la odiava in un modo così viscerale e incandescente da sentirsi strabordante di un fuoco ghiacciato che lo ustionava da dentro, ma che non poteva continuare a negare a se stesso che lei era bella- eccome se lo era ? «Proprio niente. Il Whiskey Incendiario era di scarsa qualità.» Asserí senza alcun dubbio o tremore nella voce, negli occhi e nelle movenze, eppure Hermione percepí vagamente che era una risposta improvvisata.
«Beh - il tono di Hermione si fece saccente - un Whiskey del 52' non mi sembra così pessimo. Il nonno di Parvati lo comprò da un ricco commerciante dell'India, dice l'abbia pagata una somma di galeoni pari allo stipendio di un professore ad Hogwarts. Non sembri avere buon occhio con i liquori, Malfoy.» Draco sentí un impulso sfondargli la gola, scivolare sulla lingua e arrivare fino alle labbra chiuse, dietro i denti rigidi, e poi venir morso, spezzato in due, trattenuto. Draco si trattenne dal dirle qualcosa di offensivo come avrebbe normalmente fatto. Quando se ne rese conto si trovò a distogliere lo sguardo da lei, la vista che gli bruciava al pensiero di aver stroncato un ipotetico insulto alla ragazza che aveva sempre odiato. «In verità- scoccò lei, mentre si avvicinava a lui a passi lenti, come una splendente stella cadente si avvicina alla terra- aveva un sapore avvolgente, oserei dire sensuale» quella parola le accarezzò le labbra rosee, il volto ancora sporco di terriccio che improvvisamente, agli occhi di Draco, non sembrava più quello di una bambina, ma quello di una donna che riusciva ad essere desiderabile e sublime anche in completo disordine, con i capelli che erano un nido di rondini e gli abiti carichi di marrone vivo. In confronto a lei, nella sua eleganza sempre composta, Draco sembrava un principe nei giardini del suo castello, i capelli mossi appena dal vento fresco, gli occhi una lastra di ghiaccio affascinante, attraente e assolutamente bellissima, le spalle distese, la camicia bianca a fasciargli il petto in un abbraccio davvero sensuale, la mano destra parzialmente infilata nella tasca del pantalone elegante, probabilmente su misura - o non si sarebbe spiegata la perfezione con cui il tessuto avvolgeva le gambe e arrivava esattamente sopra la scarpa lucida.
"Diamine, Malfoy è diventato bello." Hermione lo ammetteva e basta. Lui era affascinante e continuare a negarlo era solo uno spreco di energie, e lei, di energie, ne aveva perse fin troppe. Fece un paio di passi avanti anche lui, finché non si trovarono faccia a faccia, in un confronto e una battaglia di occhi che non si incontravano per il terrore che l'uno potesse capire cosa si celasse dietro lo sguardo dell'altro. «Sensuale?» rimarcò tra le labbra piene, il respiro a farsi più denso. Hermione si sentiva soffocare. Sentiva il suo odore dappertutto, il fiato caldo a sfiorarle le guance, i suoi occhi a perimetrale ogni centimetro della pelle. Era troppo vicino. Le opzioni erano solo due: allontanarsi o avvicinarsi ancora di più, ma se l'avesse fatto poi non ci sarebbe stata più via d'uscita. In bilico, in un'indecisione che non faceva parte di lei, ma che la prese all'improvviso e alla sprovvista, la ragazza tentennò. Allora fu Draco a decidere per lei. In uno scatto furono a un soffio l' uno dall'altro, le vibrazioni tanto violente da poter essere toccate e, finalmente, le pupille che si incrociavano per incastonarsi le une nelle altre, in una resa che era costata molto ad entrambi, ma che si era rivelata più bella di quanto avessero mai immaginato. Gli occhi di Herm erano scuri, pezzi d'oro che le galleggiavano sotto le ciglia scure, il bronzo sfumato dal cioccolato nei contorni dell'iride.
"No, no, no. C'è un limite, c'è un dannato limite." S'impose Draco, la sofferenza a sgorgargli dalla mente offuscata da pensieri che non avrebbe mai fatto se solo lei non fosse stata così vicina, così viva.
«Ci si vede, Granger.» In un battito di ciglia Draco la superò, il profumo di lei ancora intrappolato tra le narici e lo sguardo della mora pesante sulla sua schiena. Hermione era scossa. Non sapeva che cosa le era preso, non sapeva nemmeno perché fosse ancora lì, con lo sguardo fisso su di lui che si allontanava, sfuggente come il fumo e la nebbia di ottobre. Si sentiva profondamente sconvolta da se stessa e da quello che aveva sentito da dentro le ossa: c'era qualcosa di diverso, ma non avrebbe saputo identificare tale cosa, né in quale momento fosse avvenuto un cambiamento. "Solo perché mi sono resa conto che ha un bel faccino non vuol dire che il nostro rapporto cambierà. Resta la persona che più disprezzo." Si convinse Hermione prima di fiondarsi nella Sala Comune Grifondoro, sperando di trovare lì Harry e conscia di aver perso fin troppo tempo con quello. I colori caldi la investirono appena mise piede nell'atrio, le sue condizioni discutibili attirarono qualche sguardo stranito, finché non incrociò quegli occhi smeraldo che aveva disperatamente cercato per tutto il giorno. Hermione andò dritta dal suo migliore amico, che fece per andare via, su per le scale, ma la strega fu più veloce. Gli afferrò una mano e la strinse, come a volergli far toccare la sua disperazione. Gli occhi troppo sinceri e puri di Harry la facevano sentire sporca, colpevole, uno schifo.
«Ti prego Harry. Ho bisogno di parlarti.» Sussurrò, il dispiacere a farle tremare la voce. Il ragazzo, ancora rigido, si ammorbidí leggermente e tutta la sua stanchezza affiorò sul viso pallido. La ragazza ingoiò un nodo alla gola, che le si era stretto intorno alle corde vocali.
Quando Hermione ed Harry arrivarono al cortile esterno, vuoto a quell'ora di cena, si sedettero su una delle panchine in marmo. Se il mago restò seduto, la strega non riuscì a star ferma per più di cinque minuti, quindi si alzò di botto, con le mani che si torturavano tra loro, il nervosismo misto al sincero rammarico che le si attanagliava intorno, come una nuvola scura e vischiosa.
«Sono stata una stupida, Harry e hai tutto il diritto di avercela con me. Sparire in quel modo dopo- le parole le si bloccarono in gola, intrappolate tra il respiro e la lingua- dopo tutto quello che abbiamo passato è stato da vera stupida. Io non-mi dispiace davvero.» non lo aveva guardato neanche per un secondo o, ne era sicura, si sarebbe spezzata in lacrime. Ma la sua voce rotta scosse il cuore del giovane come un terremoto, che socchiuse gli occhi per un attimo, come a riprendere forze. Harry era una delle persone più buone al mondo, gentile d'animo e con un coraggio tanto grande da far vergognare anche i più nobili: lui aveva il coraggio di perdonare, di dare una seconda possibilità, di essere comprensivo e umano.
«Hermione io ti ho perdonata dal preciso istante in cui ho saputo che stavi bene. Ma sono arrabbiato con te perché mi hai lasciato indietro. Sei convinta di farcela da sola, di essere abbastanza forte da affrontare tutto da sola. Ti dico una cosa, Hermione: non lo sei. La tua convinzione ti distrugge e sai perché lo so? - s'interruppe lui, in attesa di una risposta, mentre l'amica lo guardava con gli occhi sgranati di chi sa che le parole che sta ascoltando sono dure, ma vere. La riccia scosse la testa. - Perché circa un anno fa la situazione era inversa; io ero convinto di poter fare tutto da solo: affrontare la morte di Sirius, di Albus, Voldemort, la guerra, il dolore, le anime perse durante quella maledetta battaglia. Io ero convinto che in questo modo vi avrei protetti tutti, ma tu mi hai detto che ero uno stupido se pensavo che mi avreste lasciato andare. Beh, io ti dico lo stesso: sei una stupida se davvero credi che ti lasceremo fare tutto da sola. Herm tu hai affrontato una guerra, hai perso una parte di te stessa, hai perso i tuoi genitori-» la voce tremante di Hermione lo interruppe, gli occhi lucidi commossi dalla verità. «Anche tu hai perso i tuoi genitori, Harry, eppure sei sempre stato così forte che-» Ma lui non la lasciò finire. Con lo sguardo dell'ovvio e con la voce sinceramente stupita dal fatto che la riccia non lo avesse già capito, il ragazzo intervenne, gli occhi leggermente spalancati. «Ma Hermione, io non li ho mai avuti! Ero talmente piccolo che me li ricordo a stento e ho avuto tutti i miei diciassette anni di vita per convivere con la loro assenza. Tu li hai avuti da sempre e li hai persi all'improvviso, non sai come farli tornare da te. È diverso.» Precisò lui e ancora una volta Herm gli diede ragione. Si sedette accanto a lui, la testa che si andò a posare sulla sua spalla. Aveva ancora la terra ovunque, ma ad Harry non importava, a lui non era mai importato di queste cose.
«Ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa. Non ero pronto all'idea di perderti, non lo sarò mai, Herm.» sussurrò il corvino, appoggiando a sua volta la guancia sinistra sul capo della mora. Erano fratelli, lo erano diventati dal momento in cui si erano conosciuti. Si erano scelti e si erano legati l'un l'altra sempre di più, finché non erano più stati capaci di staccarsi. Non c'era nessuna anima viva oltre ad Harry che sapesse davvero tutto di Hermione, a nessun altro avrebbe affidato la sua stessa vita, perché sapeva che lui avrebbe fatto tutto pur di proteggerla e renderla felice.
«Ero ubriaca, ieri notte.» le scappò un risolino leggerlo dalle labbra e, di riflesso, anche il salvatore del Mondo Magico sorrise. La sua migliore amica, Hermione Jean Granger, la perfettina ligia alle regole, ubriaca fradicia alla rimessa delle barche. E chi lo avrebbe mai detto? «Ho ricordato momenti della mia infanzia, alcuni molto belli, altri un pochino meno. Ma erano tutti così pieni, vivi. C'erano, sai?» Chiese lei retoricamente, ma Harry non ebbe nemmeno bisogno di chiederle chi, perché lui aveva capito già. «Loro erano nei miei ricordi, sono nei miei ricordi. Voglio portarli da me, noi dobbiamo portarli di nuovo da me, insieme.» la mano del ragazzo strinse quella di Herm e non ci fu bisogno di altre parole: Harry ci sarebbe sempre stato.
«Ginny mi ha detto quello che è successo tra te e Ron e ho visto la discussione con Dorea in Sala Grande.» Affermò. La mora s'irrigidí, i nervi tesi che le pulsavano da sotto la pelle, il respiro divenuto irregolare, le labbra strette in una linea dura, la schiena dritta e le gambe incrociate. Nonostante il suo cambio improvviso d'umore, Harry continuò a voce calma e pacata. «Devi parlare con Ron, Herm, ti assicuro che non è tutto come sembra. Non nego di essere ancora un po' arrabbiato con lui, anche dopo ciò che mi ha detto, ma dovresti davvero ascoltare cos'ha da dire.» Mormorò, le parole che si disperdevano nel leggero venticello di una serata senza nuvole di Ottobre. Hermione non era pronta. Il solo pensiero di dover ascoltare anche una sola parola di Ronald Weasley le faceva rivoltare lo stomaco. Si sentiva troppo delusa e tradita, la rabbia che avrebbe potuto sgorgarle dalle vene come sangue nero, avvelenato, ad una sola parola del rosso rivolta a lei. «Lo farò, te lo prometto. Ma non adesso, non credo di averne le forze.» sospirò ferita, la delusione a traballarle nella voce. Passò qualche minuto in cui un silenzio affatto imbarazzante calò tra loro, movimentato dallo sfiorarsi delle foglie l'un l'altra grazie al vento tiepido, il verso trillante dei grilli nascosti chissà dove tra i fili d'erba e quello dei gufi, di cui si iniziavano a intravedere gli occhi gialli, fluorescenti nel semibuio. Poi, d'un tratto, al corvino venne in mente qualcosa, come un fulmine a ciel sereno, che gli risvegliò i nervi e fece rizzare la schiena. Accortasi dell'istantaneo cambiamento dell'amico, Hermione si voltò a guardarlo, un cipiglio ad aggrottarle le sopracciglia.
«Che succede?» Domandò, nella voce già si percepiva la preoccupazione. Harry si alzò in piedi e si passò una mano fra i capelli, in un gesto nervoso, prendendo a camminare avanti e indietro senza sosta. La mora si agitò di riflesso, la mente affollata dalle possibili mille cose che avrebbero mai potuto così tanto scuotere Harry, ma non gliene veniva nessuna abbastanza valida in mente.
«Ma come- come diavolo ho fatto a dimenticarmene?» si chiese tra sé e sé. «Herm c'è una cosa che dovresti sapere, anche Ginny e Ron. Ho incontrato Millicent Bulstrode ieri e non ero molto lucido, ti stavo cercando, ero nel panico, quindi ho chiesto aiuto a lei.» la mente di Hermione si fermò per un secondo, giusto il tempo di metabolizzare le parole che Harry aveva sputato fuori, quasi fossero velenose. Il suo migliore amico, però, non le concesse altro tempo per riflettere, perché terminò di raccontarle quello che era accaduto. «E in cambio le ho promesso una boccetta di Felix Felicis, e beh, mi era sembrato sospetto, troppo sospetto. A che le serve la Fortuna Liquida? Che deve farci? Il suo aiuto, comunque, non mi è stato necessario, quindi non le darò nulla.» le gambe di Hermione scattarono in piedi, le tornarono in mente le parole di Draco Malfoy: "Millicent è inoffensiva. Tende a fidarsi di chi fa un passo verso di lei." La riccia parlò, tono fermo e stridulo, quasi oltraggiato, che arrivò alle orecchie del ragazzo in modo violento.
«No! Tu le darai esattamente quello che vuole, per due ottime ragioni. Primo: sapremo cosa vuole farci e potremmo capire se è lei il mittente, spiandola. Secondo: ce la faremo amica e sarà lei stessa ad avvicinarsi a te, eludendo Kasey.» l'espressione confusa di Harry anticipò le parole piene di dubbio, non capace di comprendere le parole dell'amica, che invece era a conoscenza di diverse dinamiche interne grazie a un alleato.
«Che intendi, Herm? Che c'entra la Juliard?» domandò.
«Millicent e Kasey sono molto amiche, ma hanno litigato. Eppure...le ho osservate, Harry, e la Juliard ha un occhio di riguardo per la Bulstrode. Se fossi tu ad avvicinarti a Millicent sarebbe sospetto e Kasey partirebbe all'attacco. Ma se fosse lei ad avvicinarsi a te, beh...» gli occhi verdi del moro s'illuminarono di comprensione, un sorrisino a piegargli le labbra sottili, mentre guardava quella strega brillante con lo sguardo colmo di ammirazione. «Sei davvero un genio, Hermione. Ora devo solo preparare la pozione. Potresti chiedere a Ginny, quando siete sole in stanza, di portare un pentolone, acqua di Luna, biancospino e miele di Acacia nel bagno di Mirtilla? Il resto degli ingredienti so dove recuperarli.»
«Certo.» Assentí lei, un sorriso fiero le incurvò le labbra piene. Quella sera Hermione ed Harry s'infiltrarono nelle cucine come facevano quando avevano dodici anni e potevano stare in due- o in tre, ma un po' stretti- sotto il mantello dell'invisibilità, come quando i loro sorrisi non erano ancora spezzati e sporcati dal peso della vita, ma erano solo innocenti e puri, come quelli dei bambini. Quella sera Hermione e Harry si riempirono di torta alla melassa e di succo di zucca, di risate perse tra i vecchi ricordi di quand'erano piccoli e le parole a far riaffiorare alla mente tutte le belle e serene esperienze che avevano vissuto. Quella sera Hermione fu un po' più vicina a se stessa e alla sicurezza che avrebbe potuto riabbracciare i suoi genitori molto presto. Quella sera Harry fu un po' più vicino a quella che molti osavano chiamare felicità.

Angolo Autrice.
Non ci sono scuse o giustificazioni per la mia lunga assenza, solo una confessione sincera: ho avuto un piccolo blocco. Con la speranza che il capitolo possa esservi piaciuto, vi lascio qui una foto di Cheryl, o come la immagino io.
Ci sono anche Padma e Parvati, la prima interpretata dall'attrice dei film, la seconda no perché non capivo bene chi fosse l'attrice del personaggio, quindi ho scelto di darle un volto io. Voi, ovviamente, potete immaginarle come più vi piace.
Baci,
-M💕

Cheryl Thompson (Inanna Sarkis)

Cheryl Thompson (Inanna Sarkis)

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Padma Patil (Afshan Azad)


Parvati Patil

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Parvati Patil

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 02, 2022 ⏰

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