Capitolo 5 • Istituto Omega

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«Che cosa diavolo avevi in mente?»

«Non... Non avevo scelta! Se non fossi andata con lei, ci sarebbe andata da sola.»

«E tu non potevi fare in modo di tenerla dentro casa? Non potevi avvertire l'Ordine?»

Furono le urla a farmi aprire gli occhi. Sentivo le palpebre come se fossero incollate e di conseguenza svegliarmi sembrava la cosa più complicata che avessi mai fatto.

Quando riuscii ad aprire gli occhi, con una certa difficoltà, le voci si fecero più chiare e distinguibili.

Mi ritrovai a fissare il soffitto bianco, così abbagliante che in un primo momento fui obbligata a socchiudere gli occhi.

Ero in una stanza luminosa ma senza finestre, che sembrava quella di un ospedale.

Poco dopo mi ritrovai a trattenere a stento un verso di sconforto: mi sentivo in bocca il forte, e in quel momento estremamente nauseante, sapore di tutta quella vodka che avevo bevuto la sera prima e avevo lo stomaco in subbuglio. La testa incredibilmente pesante, poi, mi impedì di dare un senso a quella situazione, almeno in un primo momento.

Mi raddrizzai goffamente, appoggiandomi con la schiena alla testiera del letto e portandomi una mano alla testa dolorante.

Sentii solo vagamente i due che si erano urlati contro avvicinarsi.

Alla fine mi ritrovai davanti agli occhi Rose e un uomo alto che non conoscevo.

Rose sembrava sconvolta: i capelli le erano sfuggiti dalla coda di cavallo e le ricadevano disordinati, sporchi e aggrovigliati sulle spalle. Il trucco era sbavato e i vestiti strappati in più punti.

Sul viso aveva un'espressione spaventata e nervosa: gli occhi che brillavano tradivano lacrime che minacciavano di sgorgare.

L'uomo muscoloso che era con lei non doveva essere molto più grande di noi: a occhio e croce sembrava avere al massimo venticinque anni. Aveva la pelle scura, lineamenti duri che lo facevano sembrare perennemente arrabbiato e grandi occhi neri.

Non appena posai gli occhi sulla mia amica, nella mia mente esplosero le immagini dei ricordi della sera. Li allontanai in fretta: erano stati solo un brutto incubo, gli effetti di quella brutta sbronza che avevo preso.

Cercando allo stesso tempo di dare un senso a quella situazione e di allontanare quei ricordi, che mi avrebbero permesso di capire, presi parola.

«D-dove sono?»

Rose si mosse verso di me e io, istintivamente, mi ritrassi. Una voce dentro la mia testa sembrava continuarmi a ripetere che dovevo starle lontana, che era pericolosa.

«Stai lontana da me.» Queste parole uscirono dalle mie labbra inconsapevolmente, mentre cercavo di convincermi che quello che era successo la notte precedente non poteva essere la realtà.

Non poteva e basta.

Rimasi a osservare Rose ritrarsi. Sul volto aveva un'espressione allo stesso ferita e dispiaciuta.

Continuò a guardarmi mentre arretrava, con gli occhi pieni di lacrime, come se stesse per scoppiare a piangere da un momento all'altro.

L'uomo, con voce profonda, si voltò verso di lei.

«Vai dal Comandante Davis, ha bisogno di un rapporto completo» la congedò, con un tono che non ammetteva repliche.

Lanciandomi un'ultima occhiata, la ragazza annuì e uscì fuori dalla stanza.

ELYRIA • L'ultimo soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora