Capitolo 35 • Erede

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Quando il mio corpo si scontrò con l'acqua gelida in fondo al burrone, mi convinsi del fatto che quello era stato un gesto stupido, davvero stupido.

Sprofondai per diversi metri, prima di cominciare una difficoltosa risalita. Trattenni istintivamente il fiato, ma presto cedetti, bisognosa di ossigeno. Quando la mia bocca e i miei polmoni si riempirono di acqua, non mi sentii soffocare.

Nel momento in cui i bordi neri che erano apparsi ai lati del mio campo visivo scomparvero, ebbi l'orribile e allo stesso tempo affascinante sensazione di poter respirare sott'acqua.

Spaventata, chiusi di nuovo la bocca e il naso. Non era il momento per sperimentare poteri sconosciuti.

Nel momento in cui la mia testa infranse la superficie dell'acqua, presi un respiro profondo. Ci misi qualche secondo per capire di non essere l'unica in quel lago.

Diversi Domini stavano cercando di rimanere a galla e di raggiungere la riva. Capii in fretta che sarebbe stato difficile: c'erano almeno tre metri che separavano la superficie dell'acqua dal pavimento di quell'ultimo livello.

Cominciai a nuotare il più velocemente possibile verso il muro di pietra, sperando che i miei poteri si sbloccassero di fronte alla necessità.

Dovetti abbandonare subito l'idea di arrampicarmi: le acque del lago erano troppo agitate ed enormi onde si abbattevano sul muro prima di ritornare indietro e trascinare con sé tutti coloro che provavano a uscire.

Un'idea mi balenò per la testa.

Non potevo pensare di librarmi in aria come avevo fatto prima, visto che l'acqua sembrava tenermi prigioniera dentro a sé, quindi dovevo per forza usare l'elemento che conoscevo meglio in altro modo.

Decisi di comandare l'aria affinché si creassero delle specie di piccole piattaforme sospese su cui potessi issarmi. Mi concentrai nonostante l'acqua agitata che avevo attorno e alzai un braccio. Aprii la mano verso il vuoto davanti a me e, sentendo ormai il familiare formicolio al di sotto della pelle, vidi l'aria condensarsi davanti a me in quello che sembrava proprio un gradino.

«Sì!»

Non persi tempo e allungai entrambe le braccia per issarmi su quella piattaforma. Al secondo tentativo riuscii a salire sul gradino, reso scivoloso dall'acqua che gli si infrangeva contro. Mi alzai in piedi e, quando fui sicura di non cadere di nuovo nel lago, cominciai a crearne altri davanti a me.

Mi mossi cauta ma veloce su quel sentiero, lasciando dissolversi i gradini che mi lasciavo alle spalle.

Non appena il mio piede toccò il cemento del piano, mi lasciai andare a una piccola risata liberatoria.

Ripresi a correre, bagnata fradicia, verso il primo corridoio che mi capitò sott'occhio. Ben presto mi accorsi che la spada e la daga che avevo preso dall'armeria non c'erano più.

Ero disarmata.

Imprecai senza fermarmi, guardandomi attorno per cercare qualche indizio su dove potesse essere il centro di controllo. Non fu difficile trovarlo, viste le sue dimensioni gigantesche.

Non appena vidi l'enorme portone di metallo che portava la scritta "Centro di Sicurezza", mi ci fiondai dentro.

In un primo momento pensai che non ci fosse nessuno, ma poi, in mezzo al rosso dell'allarme, lo vidi.

Era lo stesso ragazzo dai capelli color carota che avevo incontrato quella mattina. Lo stesso ragazzo che aveva cercato di infilzarmi con un pugnale. Non si accorse di me: stava digitando velocemente sulla tastiera di uno dei centinaia di terminali presenti in quella stanza.

ELYRIA • L'ultimo soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora