Capitolo 28 • Vodka

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Se avessi avuto il trucco, avrei sicuramente macchiato la semplice maglia bianca che Will aveva indosso. Stavo continuando a singhiozzargli contro il petto senza un minimo di contegno.

Dopo un po', lo sentii battermi dolcemente una mano sulla schiena.

«Entriamo» disse. «Direi proprio che qui abbiamo un serio bisogno di alcol.»

Si staccò con delicatezza e si spostò di lato per farmi entrare all'interno. Tirai su con il naso e mi sfregai la manica della giacca sugli occhi gonfi. Entrai in casa, venendo investita dal una piacevole ondata di calore.

Non mi ero accorta nemmeno di quanto freddo ci fosse fuori.

«Da questa parte» disse, appoggiandomi una mano sulla schiena e spingendomi verso il luminoso salotto.

La casa di Will era favolosa.

Il lucido parquet nero era lucidissimo e faceva un contrasto interessante con i mobili chiari e moderni. Quello che credevo essere un semplice salotto si rivelò un open space con cucina a vista. Fra il divano e la gigantesca televisione a schermo piatto c'era un lungo e basso tavolo di vetro, sopra il quale c'erano quattro bottiglie di differenti gusti di vodka.

Will mi condusse davanti al divano bianco, dove mi sedetti subito. Mi tolsi il capellino grigio e la giacca di jeans, prima di legarmi i capelli spettinati in una veloce crocchia disordinata.

Afferrando una poltrona, Will si piazzò dall'altra parte del tavolo.

«Mettiti comoda» disse, indicando il divano. «Puoi anche stravaccartici sopra come preferisci.»

Era turbato e non faceva nulla per nasconderlo. In viso aveva un'espressione seria, indecifrabile, e, mentre si piegava in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia, non potei fare a meno di notare la rigidità dei suoi movimenti.

In quel momento non mi poté sembrare più bello di così.

I suoi lineamenti duri e marcati erano risaltati dalla sua espressione accigliata e i suoi occhi dorati, socchiusi, sembravano una calamita per il mio sguardo.

Quando battei le palpebre, l'immagine di William principe riapparve. Il sangue continuava a sgorgare dalla ferita, dalla quale spuntava ancora la daga, ormai completamente impregnata.

Questa volta la visione durò solo qualche istante, e scomparve non appena battei di nuovo gli occhi. Ma quegli attimi bastarono a farmi stringere lo stomaco. Contrassi il viso in una smorfia involontaria e mi mossi a disagio sul divano.

«Evelyn...» mi chiamò cauto. «Stai male ancora per quello che è successo ieri?»

Ieri? pensai, prima di ricordare di colpo tutto quello che era successo il giorno precedente.

Come diavolo avevo fatto a dimenticarmene?

Rimasi zitta, scuotendo la testa. Non potevo dirgli di Adam e, anche se avessi potuto, non ne avrei probabilmente avuto il coraggio. Non in quel momento, almeno.

Will non insistette, almeno per il momento. Si limitò ad afferrare una bottiglia a caso e a versarne il contenuto in un bicchierino.

«Tieni.»

Accettai volentieri, buttando giù tutto in un sorso. Mi era mancata quella sensazione, mi era mancato il forte sapore che mi costringeva a storcere tutta la faccia e mi era mancata la sensazione dell'alcol che mi bruciava la gola.

«Menta» annunciai.

Will non mosse un muscolo e mi continuò a guardare sempre con la solita espressione indecifrabile. Non trovai le forze per cercare di capire a che cosa stesse pensando.

ELYRIA • L'ultimo soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora