12.

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⚠️questo capitolo contiene tematiche molto delicate, tali una lieve forma di autolesionismo ed un crollo emotivo, è sconsigliata la lettura a persone sensibili.⚠️

i primi boccioli.

Con il proseguire, lento e rilassato, delle giornate, Akaashi non poté che sentirsi grato di aver qualcuno a cui aveva parlato della mattia.
Egli rappresentava per lui una valvola di sfogo, un debole raggio di luce che non lo faceva sentire completamente perso nel buio più totale.
Konoha era diventato l'unico avente la possibilità di vedere Keiji nei suoi momenti di più totale debolezza, quando piegato a metà da quel dolore lancinante.
Era l'unico a sostenerlo o a coprirgli le spalle.

Più di qualche volta aveva provato a convincerlo a fare qualcosa, proponendogli magari di parlarne a sua madre o anche alla dottoressa della scuola. A chiunque potesse risultare utile.
La risposta del corvino era sempre rimasta la stessa: no.
Non si spingeva mai eccessivamente oltre con le spiegazioni, ma rimaneva irremovibile nella propria posizione.
Riferire a sua madre una notizia del genere l'avrebbe completamente distrutta, e rivolgendosi a qualche medico, essendo lui minorenne, avrebbe unicamente causato tale avvenire.
Non poteva, c'erano cose più importanti di lui, della sua vita, in ballo.
C'era sua madre.
Konoha non demordeva, ma gli sembrava di star correndo in circolo: la forza di volontà di quel ragazzo era imbattibile.

Dal canto suo, Akaashi sentiva la malattia peggiorare, giorno dopo giorno.
Non mangiava più come prima, non ci riusciva. Sentiva costantemente la gola chiusa, la pelle di tutto il corpo prudere dall'interno, una costante ed interminabile sete.

La notte, quando non trovava più mezzi di distrazione, sentiva la propria sanità mentale vacillare.
Voleva urlare, piangere, prendere tutto e tutti a pugni, strapparsi la pelle che costantemente formicolava o prudeva, poi rannicchiarsi su se stesso e sparire nel nulla, solo per rialzarsi e scappare via dalla propria stessa persona pochi istanti dopo.
Ma non poteva fare nulla di ciò.
Poteva limitarsi solo a permanere nel silenzio, circondato dall'oscurità della propria stanza, lontano dal mondo. Poteva, doveva, indossare quella maschera di cemento ogni giorno, che pareva graffiargli la candida pelle. Poteva, ogni tanto, lasciarsi andare alla disperazione, sfociando in pianti disperati e mal trattenuti, mentre tentava di grattare via quell'interminabile prurito, graffiandosi a profondamente la pelle e consolandosi minimamente tramite quel calore familiare del sangue che scorreva sulla pelle lacerata. Poteva sfociare la propria frustrazione sulle sue dita, tirandovi via compulsivamente pellicine su pellicine.
E non poteva fare altro.
Il suo corpo, sempre più fino e fragile, stava divenendo costantemente più danneggato, scalfito brutalmente e agonizzante nella repressione di un dolore letale.
Oh, dolce morte.

Non ci volle molto prima che il corvino iniziasse a notare dei delicati bozzetti formatasi sotto la pelle del proprio fianco: erano sodi e doloranti al tocco, spingevano verso l'esterno.
Inizialmente, Akaashi non volle credere a ciò che aveva capito.
"No..." si diceva "sicuramente sarà qualche azione difensiva del mio corpo contro i graffi."

Quando, giorni dopo, quei piccoli bozzetti furono sostituiti da leggeri e delicati fiori, dai petali rossastri, Keiji sfiorò il fondo.
Rimase qualche secondo a fissarsi allo specchio.
Tra il rossore delle ferite ed il marrone delle croste, sulla curva del proprio bacino, tre fiorellini sostavano noncuranti. Sfoggiavano la propria bellezza mortale dinnanzi la loro vittima con un non-so-che di bellicoso.
Il respiro del riccio si fece man mano sempre più intenso, esattamente come il battito del suo cuore. Il petto si alzava ed abbassava velocemente, l'aria emetteva un delicato fruscio passando tra i petali.
Con la vista offuscata, o dalle lacrime o dalla disperazione, egli si strappò via dalla pelle quelle tre piantine, rilasciando un urlo mal contenuto quando percepì il dolore.

Sweet death. /BokuAka/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora