16.

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backstory.

Una sera, mentre se ne stava fermamente immobile sul letto, con il petto rivolto verso il soffitto, Akaashi realizzò di star più o meno lentamente perdendo la cognizione del tempo.
Non ricordava, infatti, quanto tempo avesse speso in quella scomoda posizione, senza permettersi alcun movimento se non un lento alzarsi ed abbassarsi del proprio petto. Forse erano solo cinque minuti, o due ore. O due giorni.
No, due giorni era improbabile: sua madre si sarebbe fatta viva per controllare le sue condizioni.
Sua madre...
Quando, quel fatidico pomeriggio, si era rialzato ed aveva riaperto la porta del bagno, la donna vi sedeva davanti. Aspettava, rispettosa e sofferente, che il minore si ricomponesse, dolorosamente consapevole di non poter fare assolutamente niente.
Oh, mamma, se ti capisco. Pare siano questi i patti della morte più dolce.
Keiji era sicuro non avrebbe facilmente dimenticato l'espressione che lei portava in volto, stanca e consumata, per tutto quel tempo che gli restava per esistere. Poi, poteva solo sperare lei riuscisse a superare la cosa.
Impertinente, da parte sua.

Voleva dormire, sentiva un estremo bisogno di farlo: chiudere gli occhi e dimenticare per un attimo la cruda realtà in cui si trovava, gioendo nell'illusoria verità di un sogno in cui si poteva ancora considerare possessore di un futuro. Tuttavia, non appena le palpebre parevano calare un minimo, rivedeva come flash le espressioni ferite e preoccupate di Bokuto, di sua madre, dello stesso Konoha. E sentiva il petto appesantirsi, il respiro voler cessare.
Ciò lo aveva tenuto ben lontano da un sonno tranquillo fino a che non aveva raggiunto il suo più estremo limite, oltre al quale vi era probabilmente solo il delirio.
Quella sera, però, non si sentiva stanco.
Aveva sì le braccia pesanti, brucianti sotto quelle carezze dovute dai teneri fiori sboccianti, ed un senso di tristezza in cuore, ma non voleva dormire. Non voleva fare nulla, veramente. Non voleva lottare, non voleva scappare, non voleva dormire, non voleva restare sveglio.

"...non troppo tardi, l'Hanahaki inizierà sicuramente ad infettare il paziente anche dal punto di vista ormonale." gli parve di sentire ancora, come fosse un eco: "Il concetto è molto semplice: essendo l'infatuazione regolata principalmente da Dopamina, Ossitocina e Testosterone, gli Hanahaki utilizzano delle particolari cellule, uniche nel loro genere, per amplificare estremamente la produzione dei suddetti ormoni, i quali comportano solitamente fenomeni di schizofrenia e/o depressione."
Un giorno caldo ed opprimente, il corvino e sua madre avevano ricevuto un appuntamento da un medico specializzato nella rara patologia accusata dal minore, il quale, dopo esser stato visitato, aveva scoperto sempre di più su quella sua dolce morte.
"I casi di schizofrenia sono i più rari, mentre quelli di depressione i più comuni: l'Hanahaki spinge solitamente il soggetto a perdere interesse ed affetto in qualsiasi cosa, o persona, al di fuori di quella amata, comportando un senso di sofferenza ed apatia, a cui chiaramente si unisce un'insonnia, o ipersonnia, un senso di profonda fatica ed un'importante difficoltà nel concentrarsi e memorizzare, dovuti alla HDP (Hanahaki Depression Phenomena)."

Si sentiva in quel modo, ora? Era stanco? Triste? Spossato?
Difficile dirlo.
Non diede peso alle parole che aveva udito quel giorno, non curandosi minimamente di parlare neppure con sua madre di quel suo sentire, alla quale erano stati affidati i nomi dei medicinali da usare in caso di questa o quella specifica sintomatologia. Non avrebbero sicuramente risolto il problema, ma dicevano l'avrebbero alleggerito.
Non voleva impasticcarsi e sentirsi stordito. Odiava quella sensazione, odiava non poter esser completamente cosciente.

Non vedeva Bokuto da due giorni, esattamente, nonostante fosse andato a scuola.
Girò lo sguardo verso il proprio cellulare: sarebbe stato così facile, solo un minimo movimento delle braccia e gli avrebbe potuto scrivere, o chiamarlo. Oh, quanto avrebbe voluto sentire ancora quella voce, quella risata. Quanto gli mancava.
Le sue dita sfioravano lentamente l'apparecchio tecnologico, con una delicatezza disumana. Come scottato da esso, lo lanciò di fianco al proprio corpo.
«Non potrei mai essere tuo amico come prima, Bokuto-san.»
Le ultime parole che aveva rivolto al più grande gli rimbombarono in mente, in un inquietante eco.
Akaashi era ben consapevole di cosa intendesse, ma probabilmente non era lo stesso per il maggiore.
Avrebbe dovuto tarare le proprie parole, soppesarle e studiarle prima di pronunciarle, così da evitare tali fraintendimenti, più affilati di una lama.
Cosa poteva aver pensato Bokuto, in quel momento? Che l'avesse solo preso in giro, per tutti quegli anni? Che, ora, steso inerme su quella superficie morbida, il minore non stesse percependo la morte più dolce avvicinarglisi lenta? Che non provasse un amore così profondo e puro da consumarlo di rimando?
Lo odiava?
Keiji sentì un conato salirgli in gola.

Sweet death. /BokuAka/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora