25.

580 64 214
                                    

"Reunion".

La lettera fu piegata delicatamente, come fosse di cristallo, ed infilata tra le prime pagine di un libro non curante.
"Reunion", spiccava sul titolo.
Una porta si aprì di colpo, il libro cadde a terra con un tonfo sordo.

(...)

Quando Bokuto si svegliò, erano le 5:30 di un mattino troppo afoso. Con il battito a mille ed il respiro irregolare, apparentemente illusorio, il ragazzo saltò giù dal letto, non capendo se fosse stato lui ad urlare o qualcun altro, togliendosi brutalmente di dosso le coperte umide di sudore. Rabbrividì nonostante il caldo.
Si guardò attorno, il panico ancora stringente le proprie lunghe dita attorno al suo collo: era in camera sua. Il sole non era ancora sorto, e dalla finestra non chiusa entrava la flebile luce dei lampioni.
Con la testa instabile e vorticante, il giovane s'alzò in piedi, prendendo in mano il cellulare.
Era stato tutto..?
Gettò il dispositivo sul letto sfatto, correndo in bagno. Il primo autobus sarebbe passato alle sei e un quarto.

Le mani non smisero di tremare nemmeno sotto il getto di acqua gelida, nemmeno quando tentava di afferrare il flacone di shampoo senza causare eccessivi rumori.
Dieci minuti, ed era pronto.
Casa sua distava venti minuti di corsa dalla fermata, ed erano ormai le 5:40.
Afferrò la prima tuta disponibile, assieme ad una maglia nera ed una felpa aperta eccessivamente leggera. Mise il telefono, che scoprì solo dopo al 15%, in tasca, correndo giù per le scale. Provò a non fare rumore, ma con tutta l'adrenalina che aveva in corpo la cosa non fu facile.
Dinnanzi l'uscio, una donna lo guardava confusa ed assonnata.
«Kōtarō..?» la sua voce si fece avanti, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. «Cosa fai sveglio a quest'ora? Mi hai fatta spaventare, credevo...»
Sentendo il tempo scorrere come un cappio sempre più stretto attorno alla propria gola, il più giovane fu costretto ad interrompere sua madre, girandole attorno in uno scatto fulmineo, e così aprendo la porta precedentemente chiusa a chiave.
«Keiji.» fu l'unica cosa che disse, che riuscì a dire, prima di iniziare a correre all'esterno.

L'aria calda ed il buio parevano star bloccando il giovane ragazzo dagli occhi color oro in una bolla, sempre più fragile ed instabile, ma due turchesi brillanti lo spinsero a metter forza nelle gambe, a sfruttare i frutti di anni di allenamento.
Passò davanti il parchetto dinnanzi il quale usava incontrarsi con Akaashi, proseguì lungo una strada dritta, poi girò a destra. Un gatto gli tagliò la strada, ma riuscì a raggirarlo senza farsi, o fargli, del male.
Ore 5:57, era davanti la fermata dell'autobus.
Ed in quel momento, realizzò di non aver preso alcun soldo quando era in casa.

Il sole iniziò a prepararsi a sorgere, il cielo si fece di un pallido e rossastro blu chiaro. I freni dell'autobus fischiarono non appena questo si fermò dinnanzi il ragazzo. Il controllore spiccava alto, visibile dall'esterno.
Bokuto sentì un'ondata di panico investirlo, e per un attimo gli parve di vedere tutto nero.
La stazione dei bus era vuota a quell'ora, non aveva speranza di chiedere niente a nessuno, e l'autobus sarebbe poi ripassato dopo due ore.
Troppo da aspettare.
Istintivamente si tastò le tasche, col cuore che pareva battergli in gola, percependovi il cellulare.
Pregando tutte le divinità del mondo, lo tirò fuori: una banconota da 1000 yen spiccava piegata sotto la cover trasparente.

Ignorando le occhiate confuse, allarmate ed attente del controllore, Kōtarō riuscì a pagare il biglietto, fattogli cortesemente dall'autista stesso. Con il pezzo di carta colorato in mano ed il cuore che ancora non accennava a calmarsi completamente, andò a sedersi in uno dei tanti sedili liberi, mantenendosi a distanza da quelle poche persone presenti. Quando il mezzo partì, il giovane quasi si sentì svenire.
C'era mancato così poco.

Specchiandosi sullo schermo del cellulare spento, capì come mai stesse attirando tutti quegli sguardi: nonostante la doccia, i suoi occhi erano rimasti arrossati e leggermente gonfi, aveva un pallore insolito in volto ed i capelli, essendosi asciugati, non completamente, durante la corsa, erano crespi e tirati disordinatamente all'indietro. Vi passò una mano, non curandosene eccessivamente, e notò con la coda dell'occhio un ometto magrolino guardarlo.
Voltò il capo completamente, ricambiando l'occhiata. Lo sconosciuto sobbalzò visibilmente, girando la testa; le luci dell'autobus illuminarono due o tre lentiggini che aveva sulle guance.
Bokuto trattenne una risata sbuffata: doveva averlo guardato male.
Altri cinque minuti, ed il bus si fermò ufficialmente. Il sole stava sorgendo lento, illuminando rispettosamente quelle lettere rosse che sostavano sulla cima della struttura:
OSPEDALE.

Sweet death. /BokuAka/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora