21.

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assenza.

Era Giugno, e le temperature stavano timidamente iniziando ad alzarsi.
Le giornate scolastiche parevano farsi sempre più lunghe ed interminabili, tenendo quei poveri ragazzini prigionieri in delle aule di cemento e colori a matita.
Un piccolo Keiji correva per quelle conosciutissime stradine asfaltate, diretto verso il parco in cui lui ed i suoi amichetti, tra cui Bokuto, usavano incontrarsi per giocare. Aveva fatto più tardi del solito quel giorno, a causa dei compiti.
I suoi passetti risuonavano sul terreno, scoordinati e repentini, accompagnati dal frastuono del fiatone; quando riconobbe il cancello del parco, si sentì sollevato.
Regolando la propria andatura, raggiunse immediatamente i ragazzini, notando l'assenza del piccolo gufo.
«Akaashi-kun!» si sentì chiamare da uno di loro «Sei arrivato finalmente!»
Lui trotterellò lì vicino, un'espressione seria e serena in volto.
«Dov'è Bokuto-san?» chiese, dopo aver educatamente salutato «Non è ancora arrivato?»
Il bambino che aveva di fronte fece palleggiare un paio di volte il pallone, indossando una smorfia storta. Fece cenno verso degli alberi lì vicino.
«S'è rattristato tutto di colpo ed è lì da mezz'ora. Abbiamo provato a richiamarlo, ma non vuole più giocare.» spiegò quindi.
Il riccio diresse il proprio sguardo verso il punto indicatagli, avvisando la combriccola che sarebbe andato a chiamarlo e poi li avrebbe raggiunti.
I suoi passetti quindi tornarono ad essere uditi, sta volta in direzione del boschetto.

Questo era al centro del giardino, composto da numerosi alberi alti e verdi, pieni di foglie. Ai loro piedi vi era sempre una fresca ombra, e non poche volte si poteva trovare qualcuno seduto lì sotto, godendosi il silenzio e la protezione generata da quelle foglie verdi e brillanti.
Sta volta, con le ginocchia strette al petto, un ragazzino dai capelli disordinati e scuri sostava.
Keiji gli si avvicinò, in silenzio, sedendoglisi di fianco.
«Ciao Bokuto-san.» parlò quieto, non ottenendo alcuna risposta «Che succede?»
Il più grande emise uno sbuffetto, grugnando qualcosa, prima di riaquietarsi. Aveva un'aria strana attorno agli occhi.
Akaashi gli si fece più vicino, strappando con le piccole manine alcuni fili d'erba dal terreno:
«Perché non vieni a giocare? Non possiamo vincere così.»
Kōtarō parve scalciare, borbottando un:
«Vincereste più facilmente senza di me.»
Il ricciolino lo analizzò qualche istante con lo sguardo, posando poi il capo sulla sua spalla, in segno di vicinanza.
«Non ti va di giocare.» sussurrò, osservando il cielo con i propri occhi chiari.
Il silenzio che seguì era innaturale, e preoccupò abbastanza il bambino più piccolo, il quale optò per spostarsi davanti il maggiore, in ginocchio.
Bokuto sobbalzò internamente quando percepì il capo dell'altro alzarsi dalla sua spalla, sinceramente spaventato dall'idea di vederlo andare via. Sentì il proprio animo tranquillizzarsi quando le manine di lui toccarono le proprie, sciogliendo quella presa che teneva ancorate le sue ginocchia.
Tenne il volto coperto.
«Bo, cosa è successo?» gli chiese, intrecciando innocentemente le loro dita. L'interpellato scosse il capo.
Keiji sospirò internamente, iniziando a parlare con calma. Gli raccontò della propria giornata, del nuovo disegno che aveva fatto, del gufo di peluche che aveva visto e gli aveva tanto ricordato l'amico, degli onigiri che sua madre gli aveva promesso. Cercava di tranquillizzare l'animo tormentato dell'altro, comportandosi come in una normale giornata.
Alla fine, un paio di iridi dello stesso colore del sole si puntarono sulla sua esile figura. Non erano arrossate, solo opache.
«A scuola ho perso una partita a palla.» borbottò, stringendo le manine pallide del suo amico «E- ed hanno detto tutti che era colpa mia. Io non volevo, 'Kashi! Mi ero impegnato tanto!» mise su un piccolo broncio, tenerissimo «P-poi, poi però le cose sono andate sempre peggio, e-e io non riuscivo più a tenere la palla!»
Si fece quieto improvvisamente, ed Akaashi colse l'occasione per fargli allungare le gambe, aperte e leggermente flesse, così da sedervisi in mezzo, con le proprie sotto le sue ginocchia. Gli accarezzò gli avambracci, come sua madre usava fare su di lui quando lo notava giù di morale.
Bokuto continuò:
«Allora hanno detto, tutti quanti, che...che è meglio giocare senza di me, tanto non faccio la differenza. Che io ci sia o meno, nulla cambia. I-io non voglio essere inutile, Agaashi.» il suo labbro inferiore tremava, e le sue piccole mani ricercarono subito quelle dell'amichetto.
Keiji le strinse, guardandolo con uno sguardo dolce.
«Bo, se tu davvero fossi inutile, credi che tutti gli altri ti starebbero chiamando, adesso?» parlò calmo, puntando le proprie iridi nelle sue «Prima erano in grande difficoltà, e mi hanno esplicitamente chiesto di venirti a cercare. Come potrebbero mai vincere senza di te?»
Il capo del più grande si era raddrizzato un poco, attento sulle parole del ricciolino.
«Poi, i tuoi compagni di scuola sono senza dubbio invidiosissimi, ecco perché mentono per buttarti il morale a terra.»
Kōtarō parve riflettere per qualche secondo, chiedendo quindi un "davvero?" molto timido.
Keiji si alzò, tendendogli la mano:
«Vuoi venire a verificare tu stesso?»

Sweet death. /BokuAka/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora