26.

610 66 141
                                    

il termine della fine.

Entrambi i ragazzi sbiancarono nell'udire quel suono così improvviso ed allarmante, ambo preoccupati da un plausibile negativo sviluppo della malattia avvenuto nonostante quella recente confessione.
Machiko ed un infermiere entrarono spaventati nella stanzetta d'ospedale, mentre l'altro uomo era corso ad avvisare i medici specializzati. Keiji si asciugò velocemente il volto, stringendo istintivamente un lembo di maglia del maggiore: non voleva andarsene, non ora che aveva visto la felicità così vicina.
Nonostante ciò, tuttavia, il riccio cominciò a sentire la gola chiudersi, la paura salire.
Kōtarō lo guardò, posizionandosi in piedi di fianco a quel letto misero. Posò una mano su quella minuta e floreale del più piccolo, accarezzandovi il palmo, cercando di apparire calmo. In realtà, anch'egli percepiva ondate ed ondate di terrore investirlo repentine, ma in quel momento la salute e le condizioni di Akaashi erano il suo unico pensiero.

Quando il più piccolo prese a tossire, tuttavia, il cuore del ragazzo dai capelli bicolore salì in gola, ansioso quanto terrorizzato.

La mano fine e pallida del minore non pareva aver la ben che minima intenzione di abbandonare quel casuale lembo di maglia, nemmeno quando i suoi occhi ripresero a lacrimare dal dolore, nemmeno quando i suoi polmoni parvero accartocciarsi e strapparsi a metà, nemmeno quando i medici arrivarono e provarono a separare i due giovani.
Keiji tremava, piangeva, tossiva. Non capiva cosa stesse accadendo, ma chiaro come il sole era il dolore che pareva starlo spezzando a metà, calpestando e poi lanciando via.
Delle voci si mischiarono confuse nella sua testa, che prese a girare. Il volto di Bokuto si faceva sempre più sfocato, impreciso, scuro.

Tutti quei mortali fiori che aveva sul corpo rizzarono i petali in un attimo, alcuni strappandosi a metà data la tensione. I medici riconobbero immediatamente il segno, pronti e preparati ad agire.
Un'infermiera appena giunta con loro preparò un ago contenente una soluzione biancastra, iniettandola repentinamente nel braccio destro del riccio, in un gesto quasi impercettibile e guidato dall'esperienza, che fece lentamente addormentare il minore.
I due uomini la aiutarono a spostare quel leggero letto, su cui il giovane aveva ormai lasciato la presa dal tessuto appartenente a Kōtarō, il quale guardava ora la scena allibito e spaventato, sperando che tutto stesse andando bene e che quella non fosse unicamente la triste fine di una tragedia Shakespeariana.
Dopo aver fatto un velocissimo cenno alla madre dell'infermo ed al ragazzo fin troppo alto, i medici sparirono in una seconda stanza, pronti ad intervenire su un qualcosa di sconosciuto per i due.
Bokuto guardò la donna che lo affiancava in silenzio, incapace di pronunciare parola alcuna.
Si spostarono in una specie di "sala d'attesa", sedendosi su delle sedie di plastica, sta volta rosse ed imbottite. L'odore di disinfettate alloggiava nell'aria.

In quei momenti, Kōtarō era convinto il tempo si stesse facendo le migliori risate dell'intera sua esistenza.
Rallentava, accelerava, teneva quei due animi in pensiero tra le proprie dita, facendoli scivolare da un lato, quasi lasciandoli cadere, per poi riafferrarli dall'altro, lanciarli in aria, bloccarli ancora.
Ed ecco che un battito di ciglia prendeva il valore di dieci minuti, mentre un controllo repentino all'orologio di metallo posto sulla parete, dopo aver fissato il pavimento per ciò che sembravano ore, assumeva la durata di due secondi. Le risate risuonavano nello sfondo.

Kōtarō si pizzicò un braccio, controllando di essere sveglio. Purtroppo o per fortuna, era così.
La donna di fianco a lui non fiatava, nascondendo dietro anni d'esperienza e di maternità un senso d'ansia e di puro terrore da far tremare il più coraggioso dei re e dei guerrieri. Il giovane non osò spiccicare parola, ancora parzialmente oppresso dai sensi di colpa per aver fatto patire al riccio ciò che tutt'ora lo stava schiacciando rudemente.
Se ti fossi svegliato prima questo non sarebbe accaduto.
Rilasciò l'ennesimo respiro profondo, affondando il proprio volto tra le mani, chiudendo gli occhi. Quando iniziò a percepire la testa girare vorticosamente, comprese la necessità di alzarsi, scappare anche per qualche secondo da quell'odore di disinfettante, cambiare aria.
Dopo aver avvertito, in un mormorio sommesso, la madre del suo amato, si diresse in bagno.

Sweet death. /BokuAka/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora