orgoglio su carta.
Katsue Bokuto era da sempre stata una donna incredibilmente dolce e gentile, sempre pronta ad aiutare e dall'orgoglio immenso. Per moltissimi aspetti era identica al figlio, il quale aveva, infatti, da lei preso fieramente il cognome, oltre che quella capigliatura talmente singolare e riconoscibile.
Nonostante la dolcezza d'animo di lei, tuttavia, Kōtarō non poteva negare di averne genuinamente paura: quando la donna pretendeva qualcosa, che fosse rispetto, educazione o ordine, era suo compito scattare immediatamente sull'attenti, così da evitare le severe conseguenze alla disobbedienza.
Ella, infatti, pur essendo comprensiva e genuinamente amorevole, non chiudeva occhio sulla maleducazione o sulla prepotenza, ed aveva infatti educato Kōtarō di conseguenza: mai il ragazzino aveva avuto dei comportamenti scontrosi o prepotenti nei confronti di nessuno, ed aveva sempre cercato di mettere in pratica, al meglio, gli insegnamenti di sua madre.
Nonostante il piccolo si mostrasse naturalmente di carattere buono e docile, nella donna la preoccupazione di una possibile mancanza nel bambino di una seconda figura familiare l'aveva sempre accompagnata, in quanto lo stava crescendo da sola, spartendo ore di gioco con ore di lavoro.
La conoscenza di Akaashi, da ragazzini, aveva indirettamente aiutato la donna fin dal primo istante, poiché il ricciolino teneva continuamente compagnia a Kōtarō, non facendolo mai sentire solo. Katsue sempre fu grata, allo stesso tempo, anche a Machiko per la sua empatia.Le cose iniziarono a cambiare verso i sette anni di Bokuto.
Un amico di vecchia data della donna, Noel Hanne, di origini canadesi ma che da sempre aveva vissuto in giappone, rimpatriò dopo anni passati all'esterno, finalmente avente le possibilità di stabilirsi nel paese che l'aveva visto crescere. Lei fu felicissima di rivederlo, e seppur con qualche difficoltà, presto anche il piccolo Kōtarō si aprì all'uomo, il quale fece nascere in lui l'amore per la pallavolo.
In quei pomeriggi rimasti liberi, quando il ragazzino ed i due adulti potevano stare assieme a giocare, mai assente era un pallone di spugna rosa, scolorito.
Noel non esitava a lanciarlo al bambino, che goffamente lo tirava indietro, inciampando più di qualche volta. Il sorriso che regalava all'uomo dopo ogni singolo "passaggio" era più brillante del sole, nonostante le ginocchia ed i gomiti che andavano ad arrossarsi sempre di più.
Katsue guardava quella scena, e sentiva il cuore scaldarsi. Per quale motivo tutto ciò sembrava così...naturale?I due adulti si fidanzarono ufficialmente quando Kōtarō compì otto anni e mezzo.
La presenza di lui aveva decisamente rasserenato la vita della donna e del bambino, aggiungendo quel piccolo pezzetto di mosaico mancante. Ed era bello, genuinamente bello, vedere come il bambino andasse a nascondersi dietro le gambe dell'uomo quando sentiva sua madre chiamarlo perché aveva fatto qualche pasticcio, come disegnasse sempre la sua famiglia includendolo. Non lo chiamava "papà", ma Katsue era sicura lo vedesse come tale.
Bokuto crebbe accompagnato dai due per un altro paio d'anni, serenamente. Si riferiva a Noel, solitamente, chiamandolo "zio" e non pensava mai due volte prima di spingerlo a giocare con lui a pallavolo, o a leggergli qualcosa, o in generale a farsi dare attenzioni.
Un pomeriggio di marzo, poi, il piccolo si avvicinò alla mamma, volendole fare una domanda.
«Agaaashi sta facendo un lavoretto per la festa del papà.» le disse, facendo dondolare i piedini giù dalla sedia su cui sostava.
«È Akaashi tesoro, non "Agaaashi".» lo corresse con un sorriso dolce lei.
Kōtarō crucciò le sopracciglia, ripetendo tra sé e sé quel nome così complicato. Quando non riuscì a pronunciarlo, scosse la testa.
«Gli ho chiesto perché lo stesse facendo, e lui mi ha detto che lo fa per ringraziare suo papà che gioca sempre con lui.» continuò, ripetendo qualche parola, adesso con la completa attenzione della donna su di sé. Kōtarō intrecciò leggermente le proprie dita. «Posso fare un regalo per la festa del papà a zio Noel?» domandò con un filo di voce.
Lei sorrise, carezzando una guancia morbida di suo figlio:
«Vedi Noel come un papà, tesoro?»
Bokuto scosse la testa veloce, guardando negli occhi la donna.
«No! No, zio è buono, gioca sempre con me ed è dolce!» tuonò, facendo un piccolo labbruccio.
Aveva, nel suo innocente animo da bambino, accostato la figura di quell'uomo, che si era perfino permesso di alzare le mani sulla giovane donna, a quella paterna, fraintendendola. Colui che aveva chiamato "padre" era colui che aveva fatto loro più male di tutti.
Katsue abbracciò suo figlio, prendendolo in braccio e spostandosi sul divano.
«Quello non era un papà, piccolo. Quello era un uomo molto, molto cattivo che pagherà e sta ancora pagando le conseguenze delle sue azioni.» gli sorrise, accarezzandogli con delicatezza i capelli «Un papà è una persona che ti sta accanto, che gioca con te, che ti supporta e ti insegna come essere un bravo bambino. Un papà...è qualcuno che ti vuole bene, come nessun'altro.»
Kōtarō rimurginò qualche istante su quelle parole, spalancando la bocca in un'espressione di stupore:
«Quindi...zio Noel è il mio papà?!»
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Sweet death. /BokuAka/
Fanfiction"Cosa si scrive, quando non si ha più tempo per farlo? Cosa si dice, sapendo che quelle saranno le ultime parole che potrai mai pronunciare? Cosa si pensa dell'amore, quando questo diviene la causa della tua fine?„ Il giovane liceale Akaashi Keiji...