LA FIGLIA DELLE STELLE

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Ci sono due cose
durature che possiamo
sperare di lasciare
in eredità ai
nostri figli  :
le radici e le ali.

(Harding Carter)

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Molti anni prima, ad Arcobalacqui, al convento delle suore dell’ordine delle Carmelitane Scalze, la madre superiora, Suor Maria Lucilla ma che tutti chiamavano Suor Luce, avrebbe ricordato quella notte come una delle più funeste degli ultimi vent’anni, forse anche di più.
Era iniziata con un’estate di grande siccità, con pochi ma violentissimi rovesci temporaleschi.
Erano seguite dopo poco tempo delle violente trombe d’aria, che avevano sradicato piccoli alberi e uno di essi aveva danneggiato in modo serio l’ala principale del convento, compresi gli affreschi interni.
Le pitture avevano un notevole valore storico e artistico, risalenti nientemeno che ai tempi dell’invasione dei Longobardi di Alboino.
Suor Luce, la madre superiora, laureata con un master alla Sorbona di un Parigi in restauro e conservazione dei beni culturali nonché valente pittrice, si era fatta un nome di peso nell’ambiente, prima di ricevere la chiamata del Signore, che la prese con la stessa forza dell’accecamento di Paolo di Tarso e con il fervore di Chiara da Montefalco.
Ma non con la stessa santità, pensava spesso, raddoppiandosi le penitenze e i digiuni.
Suor Luce valutò con precisione e professionalità l’entità dei danni.
Armata del suo MacBook Pro, la madre superiora scrisse le lettere di richiesta di sovvenzione al Ministero dei Beni Culturali e a sua Santità in Vaticano.
Nonostante tutti i rilievi fossero stati fatti a regola d’arte da lei in persona con la reflex digitale, con tanto di misurazioni e catalogazioni, nonostante avesse stilato di suo pugno tutto il progetto d’intervento e avesse già contattato le ditte a cui affidare i lavori, la risposte furono negative.
Testarda e armata di una fede incrollabile, Suor Luce non si perse d’animo e si rivolse al parlamento europeo e ad alcune sue vecchie importanti e facoltose conoscenze, le quali in tempi brevi, fecero arrivare gli aiuti necessari.
In questo lasso di tempo, Suor Luce chiese a Dio di sostenere lei e le sorelle, si rimboccò le maniche, usò tutti i soldi che aveva in banca e comprò il materiale che in quel momento sarebbe servito per un intervento provvisorio di mantenimento.
Ammirando con sincerità la forza e la determinazione di questa suora simpatica e carina e delle consorelle che le davano una mano, da Arcobalacqui non tardarono ad arrivare falegnami e muratori locali, i quali rimasero esterrefatti dal polso fermo e deciso di Suor Luce, portando il lavoro a un buon punto, prima che arrivassero le grandi nevicate.
Durante una passeggiata serale fuori dalle mura del convento, SuorLuce, fumava la sua amata pipa d’avorio lavorato, ricordo di quel marinaio marsigliese che le aveva preso il cuore di giovane e brillante pittrice alla ribalta nelle maggiori gallerie d’arte in Europa.
Mentre passeggiava nel bosco, Suor Luce ritornava con la mente e il cuore a quei giorni ormai lontani del suo passato e al momento in cui aveva preso la decisione fatale di abbandonare tutto, fama arte e denaro, per prendere il velo.
Si chiamava Jouris, era un capitano di lungo corso della marina francese, lo conobbe durante una sua mostra personale a Nantes, allestita in un antico edificio del centro della città.
Aveva gli occhi di topazio e naso fantastico, il buon Jouris.
L’aveva incantata con la sua dialettica, il suo senso dell’umorismo e una cultura da far paura a una congrega di laureati.
Non c’era argomento che non sapesse dire la sua con competenza e passione, quando gli s’ illuminavano gli occhi nella foga del discorso, lei rimaneva incantata dalla sua voce calda e rassicurante, dai suoi modi gentili e dalle rughe sul suo viso quando sorrideva.
Iniziarono a frequentarsi, lei aveva un altro nome all’epoca ma ormai non ci pensava più, era di famiglia aristocratica, dal portamento perfetto e cadenzato, i modi educati e il corpo longilineo dalle forme armoniose, una sinfonia di bellezza incorniciata da una intelligenza fine, una sensibilità come poche e una creatività spigliata.
All’epoca teneva i capelli rossi ramati tagliati corti, un taglio maschile che la rendeva assai ribelle ma con eleganza estrema nel vestire.
Lei e Jouris si frequentarono per più di un anno, un amore e una passione travolgente, nessuna distanza riusciva a tenerli separati.
Una sera, dopo aver fatto l’amore in riva al mare sotto il chiaro di luna, Jouris le propose di sposarlo.
Lei toccò il cielo con un dito e gli comunicò in quel momento di essere incinta di quattro settimane, ma che aveva aspettato per essere sicura. Jouris rimase interdetto, non sembrava contento, ma poi con uno dei suoi sorrisi più belli la prese di nuovo tra le braccia e furono sospiri, urla e onde che lambirono i loro corpi nudi e appagati, avvinghiati tra loro in un sospiro d’amore.
Lei era felice, aveva tutto, amore, carriera e ora anche un figlio.
Si accordarono per andare a presentare Jouris alla famiglia di lei, austera e tradizionalista, ma ebbe la prima brutta sorpresa.
Tornando a casa, notò che tutte gli effetti personali di Jouris erano scomparsi, dalla trousse in bagno a tutti i vestiti nell’armadio, libri compresi.
Telefonando in ogni dove, scoprì che Jouris si era imbarcato in una missione sui sommergibili di stanza in Medio Oriente, nelle zone più calde e quindi irraggiungibile.
Piena di rabbia e disperazione, lei non si diede per vinta, lo avrebbe trovato a qualunque costo, ma la gravidanza cominciò a darle dei problemi e dovette fermarsi.
Chiese aiuto alla famiglia ma quest’ultima non solo le voltò le spalle, ma pretese che abortisse il bastardo che avrebbe portato disonore e scandalo al loro buon nome.
Lei si oppose con tutte le sue forze ma il padre fu inamovibile, arrivando a segregarla in casa e ad aspettare la nascita del pargolo.
Il parto non fu una passeggiata, non vollero portarla in ospedale e il medico di famiglia più di una volta ebbe la sensazione di perdere il nascituro cosi contatto l'ostetrica del suo paese al momento del parto per scongiurare complicazioni gravi a madre e feto che andò immediatamente a casa della ragazza.
La sua tempestività fu prodigiosa e alla fine tutto andò per il meglio.
O almeno così la madre credeva.
Diede alla luce una bella bimba che avrebbe voluto chiamare Camilla.
Ma non gliela fecero vedere.
Le dissero che la bambina era nata morta, soffocata d un giro vero al collo del cordone ombelicale.
Eppure lei l’aveva sentita piangere, la sua piccolina.
Il medico redasse un falso certificato di morte e nella piccola bara fu sepolta un’altra bambina nata morta da una prostituta drogata che era fuggita da li a poco, lasciando la salma senza una identificazione.
Nessuno sarebbe tornato a reclamare quel piccolo cadavere.
Ignara di tutto, andò in depressione post partum, iniziò a bere sempre di più, a guidare la sua auto veloce lungo le strade della Costa Azzurra in modo spericolato, a frequentare club privè di ogni genere buttando via il suo corpo e la sua anima in orge e festini licenziosi.
Una sera, Anouk Clery, la sua migliore amica, preoccupatissima perché non la sentiva da due giorni, si precipitò in casa e la trovò nuda riversa in bagno con una boccetta vuota di pillole e una bottiglia vuota di vodka al fianco.
Finì in clinica psichiatrica, da cui ne uscì solo dopo molti mesi di ricovero e trovò di aver perso tutti, anche gli amici e il lavoro.
Anouk, che lavorava nella gendarmeria nazionale, era una poliziotta dotata di acume e testardaggine necessaria, aveva pestato più volte i piedi ai pezzi grossi, anche a livello sindacale, ritrovandosi nel più oscuro archivio della gendarmeria nazionale.
Sempre meglio di essere lasciate a casa senza stipendio con due figli, il mutuo della casa e un tumore al seno contro il quale stava combattendo ogni giorno.
La sua amica le era stata vicina dopo che il marito era scomparso anche lui dal giorno alla notte dopo aver saputo della malattia.
S'immerse nell'archivio, passò giornate intere attaccata al pc, chiese favori anche a chi le aveva voltato le spalle nel momento del bisogno, facendo leva sui sensi di colpa.
E trovò l'indizio.
Si presentò dall'amica con l'unico indizio che non avevano potuto cancellare, con quella prova in mano, Anouk mise sotto torchio il dottore ed ottenne di riffa o di raffa una confessione in piena regola:
la bambina era viva, consegnata nelle mani degli orfanotrofi ecclesiastici per essere adottata da qualche ricca famiglia dalla facciata buona.
Fu cosi che la ex pittrice si trasformò in suo Maria Lucilla, in arte Suor Luce, e da quel momento iniziò la ricerca che durava ormai da sedici anni, senza alcun risultato.
Aveva passato la maggior parte degli orfanotrofi di Francia, ma non trovò mai nulla della sua Camilla sembrava scomparsa nel nulla. Ora, in Italia, ad Arcobalacqui, la sua ricerca si era trovata a un punto morto.
Come lei.
La disperazione non le dava tregua e il suo cuore era diviso in due ma non voleva arrendersi e la speranza di una madre nel ricongiungersi alla propria creatura che aveva avuto dentro di sé da ben nove mesi sarebbe rimasta viva più che mai fino all'ultimo giorno della sua esistenza anche se celato in fondo al suo cuore sapeva che solo un miracolo divino le avrebbe resituito quella figlia strappata via senza pietà.
Eppure quella notte il cielo era strano, Suor Luce aveva letto che si sarebbero potute vedere delle comete che sarebbero passate a vista d'occhio.
A lei piacevano le stelle, erano le sue amiche del cuore, come Anouk, l'ultima vera amica con cui era rimasta in contatto.
Poi le vide, le comete.
Tante di più della Notte di San Lorenzo.
Una autentica pioggia di luce che solcò i cieli rendendoli per qualche istante più luminosa del giorno stesso.
Suor Luce guardava a bocca aperta, con la pipa nella mano destra, con occhi sognanti.
Fu in quel momento che avvenne il lampo accecante, seguito da un botto assordante.
Suor Luce vide divampare l'incendio nel bosco, con una estensione che le fece paura.
Tirò fuori il cellulare e chiamò immediatamente i pompieri, la protezione civile e la polizia.
Poi la vide.
Emerse dalla zona delle fiamme, camminando a passo stentato.
Era una ragazzina nuda, età stimabile tra la prima e la seconda adolescenza, che si dirigeva verso di lei agitando le braccia con aria spaventata.
Suor Luce corse verso di lei, avvolgendola nel suo mantello.
La abbracciò, la ricoprì di baci e cercò di farla parlare ma quella ragazzina non proferiva parola.
Si accorse anche che era completamente calva.
Suor Luce pensò a tante cose, sapeva che avrebbe dovuto dirlo alla polizia, fare segnalazioni e quanto altro sul ritrovamento della ragazza.
Ma tastò sul petto il ciondolo con il nome di colei che sarebbe stata sua figlia, Camilla.
Pensò alle notti in bianco a pregare Dio inginocchiata con le mani congiunte davanti alla statua del Cristo nella chiesa del convento sperando che avvenisse il miracolo divino .
E adesso era li ora, davanti a sé, quel miracolo proprio nella notte di San Lorenzo, non poteva essere un caso, finalmente Dio l'aveva ascoltata.
Così, istintivamente mise il ciondolo al collo della ragazza, la prese in braccio e la portò dentro al convento, prima che morisse di freddo.
Aveva ritrovato sua figlia, era una figlia delle stelle, un dono che il cielo aveva voluto farle quando lei aveva perso la fede.
Il suo desiderio

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