Capitolo 6

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Il trillo della sveglia interrompe il mio sonno con un sussulto. Una leggera luce proveniente dalle tapparelle pervade la stanza e giunge sino ai miei occhi. Sbatto più volte le palpebre e mi stiracchio. Come ogni notte ho dormito tutta accucciata ed ora ho dei dolori atroci al collo. Mi alzo sbadigliando e riordino il letto in maniera impeccabile rimboccando bene le coperte sotto il materasso. Mi dirigo verso il bagno con passo altalenante e decido di farmi una doccia per svegliarmi. Aspetto che l'acqua diventi bella calda e poi entro dentro chiudendo la tendina. Il getto della doccia è forte e piacevole: inizia subito a sciogliere le contratture del collo e dei muscoli delle braccia facendomi sentire immediatamente meglio. Dopo qualche minuto esco e mi avvolgo infreddolita con un grande asciugamano bianco. Mi fermo di fronte allo specchio ma non so per quale motivo mi manca il coraggio di guardarmi per intero e di osservare il mio corpo nudo tisico e ossuto, senza una forma e pieno di sporgenze a tratti piacevoli ed a tratti mostruose. Lascio cadere l'asciugamano per terra e mi volto al contrario verso il muro per rivestirmi in fretta e furia.

Passo ad asciugare i capelli con cura, spazzolandomi con pazienza la folta chioma bionda che cade fino a metà schiena. Quando ho finito mi accingo a pulire i sanitari pieni di capelli che cascano e che si strappano debolmente attutendo al suolo.

L'orologio scocca le 7.45 mettendomi fretta. Fortunatamente questa mattina non mi tocca prendere l'autobus: Vittorio si è proposto di darmi un passaggio con la sua macchinetta nuova. Passo un leggero tocco di mascara sulle ciglia ed un velo di burro di cacao colorato sulle labbra e scendo giù. Mio padre è ancora in casa e sulla tavola da pranzo ha già disposto tutto per la mia colazione.

-Dormito bene?- mi domanda appena mi vede. Dal tono della voce capisco che è ancora nervoso per quello che è successo ieri.

-Si grazie, te?- Annuisce con il capo e si siede accanto a me versandosi i cereali nella tazza di latte.

-Entri più tardi a lavoro?- chiedo guardando l'orologio

-Si- risponde nuovamente serio e coinciso -Ho preso un permesso. Devo svolgere alcune mansioni.-

Scuoto il capo e addento la prima fetta biscottata -Capisco.- dico con il suo stesso tono di voce. L'aria tesa tra noi è quasi palpabile Sono consapevole del fatto che tutta questa tensione è stata causata da me, come so anche che non è la prima volta che ciò accade. E' come un circolo vizioso, ci ricaschiamo sempre. Io faccio qualche cavolata che compromette la mia salute, lui si arrabbia e si preoccupa, io mi risento e per un po' di tempo vige tra noi questo scambio di battute secche e rapide che non fanno altro che aumentare la distanza. Poi come sempre, un bell'evento o il tempo fanno tornare tutto apposto. Ma in realtà sappiamo entrambi che anche se facciamo finta che vada tutto bene, le pareti della nostra casa in realtà sono piene di crepe, che aumentano e diventano più profonde ogni giorno di più.

Mi prendo il mio tempo per colazionare e quando sento il clacson della macchina di Vittorio nel vialetto, scappo fuori per raggiungerlo. Quando mi siedo accanto a lui sul sedile mi sento tristemente al sicuro.

-Come stai puffetta?- mi chiede schioccandomi un bacio sul capo. Puffetta. Mi mancava sentirmi chiamare in quel modo. Il nomignolo è nato quando il film dei Puffi stava spopolando nelle sale dei cinema. Per l'occasione mi ero comprata il cappello dei piccoli omini azzurri e, quando Vittorio mi aveva visto conciata in quel modo, era scoppiato a ridere a crepapelle. Imitando la voce da bambina lo sgridai: -Non mi devi prendere in giro, io sono un piccolo grande puffo.- Da quel momento in poi per lui ero diventata puffetta: un soprannome carino ed affettuoso da utilizzare quando c'è qualcosa che non va nel senso giusto.

-Abbastanza bene- dico con la vocina dei cartoni animati -E te Grande Puffo?-

Sghignazza e mettendo in moto esclama -Tutto alla grande!-

Il Sapore della felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora