-E uno, due, e tre...- la mia maestra di danza scandisce il tempo scioccando energicamente le dita. Cammina per la sala da ballo con postura eretta ed attenta su ogni nostro movimento ed ogni nostra espressione. -Tempo Adele, tempo!- mi richiama battendo a ritmo di musica le mani -Ascolta la melodia.-
I miei occhi cercano di rimanere concentrati su un punto per mantenere l'equilibrio, ma né il mio corpo, né la mia testa sono in grado di sopportare ancora allenamenti così intensi. La mia fronte è madida da un leggero velo di sudore e le mie guance sono arrossate dalla fatica e dal caldo soffocante della palestra. Le calze sono troppo strette e mi provocano un formicolio fastidioso di cui non riesco a liberarmi in alcun modo, per non parlare delle scarpette che mi intorpidiscono le dita dei piedi. La cosa più dolorosa in tutto ciò è lo sguardo di mia madre sull'uscio della porta. Come ad ogni mio allenamento, rimane ad osservarmi per verificare i miei progressi e, da ex ballerina qual era, cerca di darmi consigli su come migliorare le mie prestazioni da danzatrice. Avverto la sua presenza prorompente, così come il suo sguardo severo, verso le mie gambe che non si muovano abbastanza agilmente, verso la mia postura che qualche volta si ingobbisce appena e verso ogni mio salto compiuto probabilmente con una pesantezza per lei inconcepibile. Mi volto appena nella sua direzione. Voglio verificare che sia così, o meglio, voglio illudermi che il suo sguardo non traspiri la delusione che mi immagino, ma solo preoccupazione verso le mie difficoltà.
Mi giro e le mie speranze si spengono immediatamente. E' appoggiata alla porta con le braccia conserte ed il viso impassibile. La fronte accigliata, gli occhi bassi e le labbra strette. La noto sbuffare appena e mormorare qualcosa in francese che percepisco appena. Basta poco, basta spostare la concentrazione sulla sua insoddisfazione e verso la sua piccola bocca che mi rimprovera anche da lontano a farmi perdere l'equilibrio durante una piroette e a farmi cadere a terra. La musica si ferma e tutte le altre bambine mi scrutano di sottecchi in silenzio. L'insegnante si avvicina a me con la stessa postura rigida di mia madre ed afferma con forza che la danza è concentrazione e dedizione. -Tu dove stai con la testa oggi?- -Qui.- vorrei rispondere- Ma vorrei essere altrove, vorrei trovarmi in un posto molto lontano da qui.-
-Vai a cambiarti- mi ordina poi facendo un cenno con il capo verso gli spogliatoi -Per oggi hai finito.-
Mi alzo in silenzio e claudicante esco dalla sala.
-Voglio capire che ti è preso oggi?- mi domanda mia madre sconcertata
-Sono stanca- sibilo appena
-Stanca?- ripete esterrefatta -Non esiste la stanchezza in questa disciplina.- afferma risoluta -Esiste la dedizione, la costanza, l'impegno. Tu invece oggi mi sembravi solo un sacco di patate che gesticolava.-
Le dò le spalle per nascondere le lacrime che stanno per sgorgare dai miei occhi, mentre la sua voce assordante continua a risuonare potente nelle mie orecchie. -Rispetto alle tue compagne sei goffa, pesante. Non hai eleganza e non c'è fluidità nei tuoi movimenti. Non azzecchi perfino i passi più semplici!- esclama ancora camminando da una parte all'altra. -Non c'è alcun tipo di bellezza in te mentre danzi. Il tuo corpo è incolore, così come il tuo viso che sembra che più che danzare stia affrontando un combattimento di boxe. Da domani si cambia regime...-
Gli ordini di mia madre da seguire alla lettera nei giorni seguenti vengono elencati uno dietro l'altro senza sosta, mentre io rimango in silenzio e subisco i suoi sfoghi. Sfoghi, perché avrebbe voluto esserci lei sul palco; sfoghi perché aveva rinunciato a molto per me con il risultato di non riuscire a vedere sua figlia realizzare un sogno. -E' stato per un mio errore, una mia mancanza se mi sono rotta il ginocchio. Non voglio che per una svista succeda anche a te.- conclude alla fine.
***
Sono in bagno mentre ripenso alla mia caduta di quando ero piccola durante la lezione di danza. Mia madre con le sue parole irruenti e taglienti, mi aveva convinto di non possedere alcun tipo di bellezza ed eleganza. Truccandomi allo specchio oggi invece per qualche motivo, mi sento bella. Il make up diviene un'aggiunta superflua per aggiustare le abituali occhiaie che compaiono sotto le palpebre e per mettere in risalto i miei occhi cristallini e lucenti. Sorrido riscoprendo il fascino delle mie labbra dalla forma preziosa ed elegante. Persino il neo sulla guancia ha un qualcosa di affascinante.
Mi sistemo i capelli di un biondo splendente e scendo giù ad aspettare scalpitante l'arrivo di Landon. Quando suona il campanello sono attraversata da un'ondata di gioia e di eccitazione.
-Buon pomeriggio signorino Landon- esclamo facendogli cenno di entrare. Lui mi osserva scrupoloso senza proferire parola e si dirige diretto verso il salone.
-Da che pagina iniziamo?- domanda serio
-Dalla pagina ottanta che parla della lievitazione.- rispondo con altrettanta compostezza.
Il mio tono di voce è così realistico che si rende conto solo più tardi, sfogliando le pagine, della battuta fatta per smorzare un poco la tensione.
Mi guarda con fare risoluto mentre io cerco di scioglierlo con occhi dolci. Ci osserviamo per qualche secondo in silenzio fin quando non è lui a cedere. Per la prima volta è Landon che si perde in un mio sorriso.
-Eh va bene.- esclama alla fine sedendosi -Ti perdono e la smetto di fare l'offeso, tanto non mi riesce bene. Ti avverto però, se non mi fai mangiare la pizza anche oggi giuro che non mi vedi più.- mi minaccia puntandomi l'indice contro.
-Non mi azzarderò mai più.- prometto incrociando le dita e portandole alle labbra.
Lui annuisce decretando l'inizio del nostro pomeriggio. Alterniamo lo studio alle fasi di preparazione per la pizza. Per non sporcarsi, gli presto il grembiule da cucina di mia nonna ed ora una foto sul mio cellulare lo immortala nella sua posa più bella da "vecchietta con la cucchiarella in mano". Prepariamo l'impasto e lui mi aiuta a lavorarlo con forza. Una forza che non possiedo più nelle braccia. -Guarda.- mi consiglia mettendosi dietro di me. Le sue braccia si sovrappongono alle mie e le nostre mani si intrecciano scorrendo sul fresco ed umido. Avverto il suo respiro sulla mia guancia ed il suo calore divampare per tutto il mio corpo. -Ora è perfetta.- afferma dopo aver formato la sfera tanto desiderata. I nostri volti si girano nello stesso momento ed i nostri nasi si sfiorano appena. Restiamo qualche secondo fermi, quando lui allunga una mano e con estrema dolcezza mi sporca la guancia di farina -Una piccola e delicata Biancaneve- mormora sorridendo. -Adele- aggiunge poi -Si.- bisbiglio con il cuore pulsante. -Ho apprezzato veramente la tua lettera. Quindi per favore, raccontami più spesso che cosa ti succede in quella testolina matta. Ho bisogno di sapere. Ho bisogno di starti vicino.-
-Va bene- annuisco arrossendo. Lui si allontana piano piano da me e afferra un canovaccio per tenere l'impasto al caldo. Io respiro profondamente. Per la prima volta dopo tanto tempo nel mio corpo il freddo ha smesso di esistere ed il ghiaccio si è sciolto.
***
Quando decidiamo di chiudere i libri, mio padre è già rincasato e la pizza è già in forno.
-Arriva!- annuncia Landon poggiando poco dopo la teglia al centro tavola.
-Che bella!- esclama mio padre disfacendo il tovagliolo e posandoselo sulle gambe. Si inumidisce appena le labbra e si tira su le maniche della camicia. E' tornato dal lavoro tardi, stanco ed affamato e quella pizza davanti a lui è la cosa più bella che ammira da quando si è alzato.
La margherita fuma e l'attesa che si freddi un poco per tagliarla non fa che aumentare l'acquolina in bocca di entrambi gli uomini.
-A te l'onore.- afferma Landon passandomi il coltello adatto. Mi sporgo appena in avanti ed inizio ad incidere quella distesa di pasta, morbida al centro e croccante ai lati, che chiama a sé i suoi spettatori come una ninfa ammaliante.
Ognuno di noi ne afferra una fetta. Scelgo quella più piccola e la poso nel piatto. La guardo esattamente come lei guarda me. La mozzarella sembra sprizzare fuori con il suo colore appena dorato, scintille di energia bollenti. Il fumo continua ad appannarmi la vista, che rimane comunque concentrata su quella piccola porzione di affetto. Sento lo scricchiolio dei primi assaggi di papà e di Landon, i quali esprimono con vocalizzi silenziosi l' appagamento dei loro palati e dei loro stomachi. Afferro la fetta con le dita e tremando appena la porto alla bocca. Ed eccola la magia: la mozzarella filante che si stende sulla lingua accompagnata dalla polpa di pomodoro dolciastra, e poi la pasta al centro che, soffice e dal gusto saporito, non si presenta né gommosa e né pesante. Ed infine il bordo, che non bruciacchiato appena ed al punto giusto, si sgretola croccante sul palato. Il suo gusto crea un circolo di energia e fermento che il mio corpo accoglie a piena gioia. E rido. Incomincio a ridere senza una spiegazione logica. E' una risata di liberazione, di gioia, di soddisfazione. Gli uomini accanto a me mi osservano dapprima imbarazzati e poi, sopraffatti da quell'ondata di felicità improvvisa, seguono la mia risata.
-La sento- penso -La sento la libertà di essere felice.-
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Il Sapore della felicità
Genç KurguIl romanzo che vi propongo è un viaggio verso la ricerca di se stessi e della propria identità attraverso un percorso fatto di salite e discese, esperienze e riflessioni. Nel mio scritto ho cercato di ricordare i bisogni e le bellezze della vita, co...