Capitolo 34

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-Di cosa hai bisogno?- mi aveva chiesto Landon tenendomi stretta tra le sue braccia.

-Di spegnere la testa.- mormorai asciugandomi le ultime lacrime.

-Conosci un modo?- mi chiese ancora cercando di incontrare i miei occhi insanguinati.

Feci cenno di sì con il capo. Mi alzai dal letto e mi diressi verso l'armadio da cui tirai fuori le scarpe da ginnastica.

Correre. Mi aveva sempre fatto bene correre; l'unica attività che mi dava ogni vota l'opportunità di allontanare i pensieri, che si perdevano leggiadri lungo la strada che percorrevo. Venivano spazzati dal vento prorompente che nella sua violenza mi regalava inspiegabilmente briciole di libertà.

Corro, corro veloce senza curarmi di nulla, né della pioggia che attecchisce al suolo, né dell'umidità che entra dentro le ossa, né della presenza di Landon che in angoscia per me segue passo passo il mio andamento. Averlo con accanto mi fa sentire al sicuro e mi invoglia a spingere di più con le gambe che si librano da terra come passeri in volo. -Mia madre che è tornata in anticipo solo per rimproverare mio padre che non riesce più a sostenere economicamente le spese.- -Mia madre che con la sua aria precisa e curata mi squadra dalla testa ai piedi e mente affermando che mi trova bene.- -O forse mi trova veramente bene- penso subito dopo -A lei in fin dei conti i fisici snelli sono sempre piaciuti.- -La sua voce disprezzante che scandisce le parole "tua figlia" come se lei fosse fuori dalla mia vita ormai.- -Ciò che mi hanno fregato anche questa volta sono le aspettative. Immaginavo la mia riconciliazione con Alexia molto più pacifica e serena. Io che apro la porta di casa e che l'abbraccio forte riscaldandola dal freddo. Lei rintanata nel suo cappotto di pelliccia che mi sorride con le sue piccole labbra coperte da una passata di rossetto rosso e che non fa altro che muovere le gambe unite avanti ed indietro per sconfiggere il freddo. Io che l'abbraccio per riscaldarla un poco mentre lei mormora con il suo perfetto accento francese -Oh chèrie!- E poi il suo ingresso in casa mentre papà ed io l'aiutiamo con i bagagli. La prima serata stese sul tappeto bianco, davanti al tepore del cammino a spettegolare delle nuove ed in particolare a raccontargli di Landon.-

Mi fermo in cima alla collina "Monte piccolo" da cui è possibile osservare tutta la città rintanata nei suoi appartamenti. Mentre la mia testa è bombardata dai pensieri, fuori vige uno strano silenzio smorzato solo dal rumore della pioggia che picchietta tutto ciò che incontra. Landon ed io siamo zuppi. Il cappuccio della felpa non è bastato a proteggere i capelli che ora sgocciolano pesanti sul mio petto.

-Cos'ho che non va?- domando poi ad alta voce

-Nulla.- risponde lui afferrandomi la mano -Tu vai bene così, con i tuoi pregi ed i tuoi difetti.-

-E allora perché ogni volta che mi rialzo poi sento che sto affondando di nuovo?-

-Fa parte della vita. Bisogna imparare a saper riemergere.-

Il mio respiro è pesante e affaticato. Landon stringe le labbra e poi mi tira a se prendendomi per i fianchi -Siamo tutti fragili Adele. Tutti siamo segnati da cicatrici, alcune si vedono e si riaprono ed altre rimangono all'oscuro. Quella con tua madre è ancora aperta ma questo non vuol dire che prima o poi non si chiuderà. Ci vuole tempo, pazienza e soprattutto tanta forza di volontà, ma è possibile guarire. C'è sempre una possibilità se ci si crede veramente. Io ci ho creduto e credo ancora in molte altre cose, come del fatto che tu non affonderai ancora Adele, non affonderai perché adesso hai qui con te un altro salvagente a cui aggrapparti.-

Lo fisso diretta negli occhi. Nessuna esitazione, nessuna frase fatta. E' vero, non sta recitando. Lo bacio di nuovo impulsivamente.

Questa ero io. Questo era lui. Questi eravamo tutto ciò di cui avevamo bisogno.

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